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FERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE VOLONTARIA / PRESSIONI COMMERCIALI.
Molti colleghi ci stanno chiedendo dei chiarimenti per la compilazione dei piani ferie perchè stanno ricevendo “strane richieste” da parte dei vari Responsabili. Continuano inoltre ad arrivarci parecchie segnalazioni di forti pressioni commerciali. Per questi motivi riteniamo necessario precisare alcune questioni rimandando comunque il tutto ad un’informativa più completa, che vi faremo avere prossimamente.
FERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE:
Sulle ferie ormai l’Azienda, grazie anche ad accordi sindacali sottoscritti in questa banca, vuole tutto. Vuole che le ferie vengano esaurite tutte nel corso dell’anno (insieme alle ex-festività e permesso frazionato) e ora qualche responsabile troppo zelante pretende anche che si facciano nei periodi che gli sono più graditi.
RICORDIAMO PERO’ CHE I DIRITTI ALLE FERIE DEI LAVORATORI SONO SANCITI DAI CONTRATTI, che, nonostante vari peggioramenti degli ultimi anni, non consentono a NESSUNO di imporre o chiedere “regole fantasiose”, quali, ad esempio (sono solo alcuni casi che ci sono stati segnalati), percentuali di ferie da fare entro il primo trimestre o il secondo e così via. Inoltr e deve essere chiaro che NESSUNO può pretendere che in determinati periodi non si facciano ferie e magari indicarne altri in cui sarebbe meglio farle.
Quindi vi invitiamo con forza a segnalarci immediatamente eventuali situazioni del genere.
Ci preme inoltre sottolineare due questioni che ci paiono particolarmente importanti per i lavoratori, restando naturalmente sempre a disposizione per tutti gli altri eventuali dubbi o richieste di chiarimento.
Per quanto riguarda i 3 giorni di ferie fruibili anche a ore, dovete ricordarvi che non è obbligatorio inserirli da subito nel piano ferie. Proprio perchè possono essere fruiti a ore non devono essere programmati necessariamente già adesso.
Per la fruizione a ore delle ferie è richiesto un preavviso di 48 ore. Inoltre sono fruibili anche nelle giornate semifestive. Quindi consigliamo, chi avesse in programma dei giorni di ferie in giornate semifestive, di utilizzare quelle ore, qualora non avesse disponibilità di banca ore.
Per quanto riguarda i giorni di sospensione volontaria, è molto importante ricordare che, se non vengono interamente fruiti nel corso dell’anno di competenza, l’Azienda può procedere alla sostituzione d’ufficio delle causali di assenza al fine di esaurire prioritariamente le ferie e i permessi ex-festività dell’anno, nonchè i residui di banca ore in scadenza dell’anno.
PRESSIONI COMMERCIALI:
La questione è indubbiamente estremamente delicata e l’impressione generale è che si sia alla mercè delle politiche commerciali dell’Azienda. Ma non è proprio così, perchè restano degli aspetti che è possibile “difendere”.
Ad esempio l’Azienda ha più volte ribadito che non vuole, da parte dei vari Responsabili, che ai singoli colleghi vengano richiesti report giornalieri sull’andamento delle vendite dei vari prodotti. Per questo vi invitiamo a segnalarci immediatamente eventuali richieste di questo genere.
Inoltre deve essere chiaro che nel caso in cui non si riesca a rispettare la asfissiante richiesta aziendale dei 5 o 6 appuntamenti giornalieri NESSUNO PUO’ ESSERE SANZIONATO; allo stesso modo, non costituisce violazione disciplinare non raggiungere il budget o altri obiettivi.
Al contrario, l’Azienda sanziona frequentemente ed implacabilmente tutti quei colleghi che, magari per forzare la vendita di prodotti, non rispettano la normativa e violano le procedure stabilite.
Sappiamo benissimo, in quanto le viviamo noi stessi ogni giorno, che le pressioni sono pesanti e continue, però è fondamentale sapere quelli che sono i propri legittimi diritti e che, se lo si vuole, è possibile esigerli ed opporsi collettivamente al degrado delle condizioni lavorative.
Dunque restiamo a vostra disposizione per tutte le eventuali segnalazioni di irregolarità.
Il tema di questo numero potrebbe essere lo stress lavorativo, quello che l’azienda nega ci sia nel nostro gruppo e che, a fronte degli approfondimenti richiesti dall’Asl di Rivoli, a seguito del nostro esposto, l’ha indotta a chiedere la collaborazione dell’Università di Milano.
Come riportato in un recente comunicato degli RLS, apprendiamo che “l’indagine, commissionata all’Università di Milano, si è conclusa “non rilevando criticità’’ riguardo la salute psicofisica dei lavoratori, ma una “moderata presenza di ansia sul lavoro sperimentata da gestori e assistenti alla clientela, verosimilmente legata alla fase di adattamento al nuovo modello di banca”.
L’esito dello studio (che vedremo se soddisferà le richieste avanzate dall’Asl) ci lascia un attimo perplessi (per così dire). Sebbene nessuno dubiti della serietà professionale dell’Università di Milano, non possiamo non rilevare come la storia della collaborazione tra la stessa ed Intesa sia di lunga durata e si sia snodata attraverso studi e convegni organizzati congiuntamente. Cose normali, nel paese dei conflitti d’interesse, per cui non ci preoccupiamo e restiamo in fiduciosa attesa.
Nel frattempo vi proponiamo due contributi che confermano che lo stress lavorativo nel Gruppo Intesa Sanpaolo non esiste.
Il primo è uno scambio di mail tra due gestori di Filiali Personal. L’abbiamo trovata davvero interessante e gli autori ci hanno autorizzati a pubblicarlo.
Il secondo è di un assistente alla clientela, già autore della divertente storiella di Rag e Raz. Con questo contributo il collega conferma che la sua vena letteraria è sempre feconda e rappresenta bene quello che avviene nelle filiali.
SCAMBIO DI MAIL TRA COLLEGHI DI FILIALI PERSONAL
Colgo l’occasione per segnalarti una curiosità: premesso che da oltre un anno contesto il fatto che tra i collocamenti vi siano esclusivamente prodotti che aumentano il rischio di portafoglio dei ns clienti ( ma soprattutto aumentano la redditività dell’azienda ) e che prima o poi ci saremmo ritrovati a fare i conti con l’oste ( infatti basta vedere in questi giorni che siamo tempestati di telefonate e visite non programmate di clienti allarmati che scoprono che gli investimenti effettuati da marzo 2015 ad oggi non ce n’è uno che abbia mantenuto il valore iniziale ), ma la poca lungimiranza e l’avidità delle funzioni commerciali ha sistematicamente spinto per questo tipo di prodotti; come accennavo è curioso il fatto che le polizze Ramo I ( Base Sicura ) da febbraio 2015 NON sono state più inserite tra i prodotti da spingere nonostante offrano redditività simile a certificates e unit ! Abbiamo a ns mani budget volumetrici con richieste monster su tutto e ZERO su Ramo I, anzi …… ci sono pervenuti più volte elenchi di clienti possessori di codesto ed unico investimento di difesa in cui veniva richiesto di smontare tutte le edizioni passate di ramo I per “riqualificare” ( per chi ? ) le somme rivenienti. Come vorrei far parlare codesti geni con i nostri clienti in crisi esistenziale, invece o sono silenti o si limitano a farsi vivi in videolync lamentandosi dei deludenti dati provenienti dai collocamenti o ci girano video aziendali dove gli strateghi di turno continuano a fornire rassicurazioni a cui nemmeno loro credono più o discorsi altisonanti da passerella di inizio anno !
Mi riconosco in pieno in quello che dici, in effetti la storia del 2015 è tutta concentrata in questo: prendere gli investimenti più conservativi dei clienti e buttarli dentro la fornace dei prodotti “qualificati”. E l’hanno chiamata riqualificazione del gestito!
Bisognava fare esattamente l’opposto: prendere tutti i prodotti azionari e obbligazionari che avevano raggiunto il massimo a marzo 2015 e parcheggiarli in prodotti conservativi in attesa dello storno.
Mi ricordo una riunione dove uno di Eurizon spingeva tutti i consulenti a convertire le gestioni monetarie o tranquille in una nuova linea che aveva il pregio di avere il monetario quasi a zero. Bei risultati!
La cosa più imbarazzante sono i fondi flessibili: sono sotto (a volte anche di molto), non rendono un fico, hanno commissioni di uscita elevate. Praticamente sei prigioniero del nemico…
Poi anche il tempismo sui certificati è stato notevole: emettevano sul petrolio quando era a 50 dollari, adesso è a 30 e punta ai 20….
E che dire dei titoli del lusso, presi ai massimi, o dei cambi delle valute emergenti tipo lira turca?
A volte c’è veramente da vergognarsi di fare questo lavoro….E soprattutto di doverlo fare in questo modo!
Ritaglio di Riteil – Customer Satisfaction
Dopo un’ora abbondante di attesa, la signora Razdori si siede sbuffando nella seggiola dall’altra parte della mia postazione. Incautamente provo a “buttarla” sul ridere:
«Buongiorno Signora Razdori, abbiamo in previsione una prova di uscita in emergenza, sa . . . in caso di incendio o di terremoto . . . »
«Non faccia lo spiritoso, Ragioniere! Altro che uscita! Qui l’ emergenza è all’ entrata: sono accampata qui da due ore. Mi addebiti questa tassa che poi me ne vado. Ho fretta!»
«Ecco signora Razdori . . . . ., vedo che lei ha un contratto multicanale e . . . »
«Che cos’ho io? Di cosa va blaterando??»
«No, dicevo, un contratto di “internet banching”. Lei potrebbe pagare l’ effeventiquattro da sola tramite il canale di internet. Se vuole la assisto usando la nostra postazione qui in filiale»
«Ah, parla di quella cosa che mi ha fatto firmare Giovanna due mesi fa? Senta Ragioniere, tutto quello che mi propone mi fa solo perdere tempo. Sono già un po’ alterata: mi passi questo F24 e finiamola qui. Sa come si dice in Veneto? “Peso el tacòn del buso”. Ecco: lei è la dimostrazione vivente di questo proverbio. Ho fatto proprio bene a darle ZERO. Ma evidentemente non è servito a nulla, perché lei è ancora qui.»
Nel frattempo sopraggiunge la direttrice. Tacco alto e passo di carica: sembra un battaglione di cosacchi a cavallo. Si piazza alle mie spalle e chiede: «E quello dove va?»
«Quello chi?» Rispondo io.
«QUELLOOO!» Indicandomi sul monitor un cliente ripreso dalla telecamera mentre si avvicina a una porta interna.
«Ah, il signor Ghiandoli. Sa, soffre un po’ di prostata e sta andando in bagno»
E la direttrice:«Un po’? Ma se è già la seconda volta che ci va! E poi, chi gli ha dato il permesso di usare i nostri bagni?»
«Gliel’ho detto io. Però va in quello dei maschi. Se uscisse dalla filiale perderebbe il posto in fila e non riusciremmo mai a concludere un’ operazione. Sa, la sua autonomia è inferiore al tempo d’attesa . . . . »
«Vabbè, ne parliamo poi. Intanto vediamo di darci una mossa» conclude la direttrice allontanandosi sempre a passo di carica.
La signora Razdori non perde l’occasione per infierire:«Ha sentito la direttrice? Nell’ attesa mi sono letta tutto il giornale, ma temo che non basti più. La prossima volta mi porterò “Guerra e Pace”»
«Scusi signora Razdori , ma temo di non capire: cosa significa che mi ha dato ZERO?»
«Ma sì. Mi è arrivato un esseemmeesse dal vostro servizio di “Castomer sadisfecscion” e io, pensando a lei, ho dato ZERO. Perché sorride adesso?»
«Ecco, vede signora Razdori, il suo gestore è Giovanna e nell’ esprimere la sua insoddisfazione, lo Zero lo ha affibbiato a Giovanna anziché a me. Adesso mi spiego perché Giovanna sia stata trasferita da un giorno all’ altro e apparentemente senza alcuna motivazione.»
«NO! GIOVANNA NO!» Conclude la signora Razdori con le mani nei capelli.
Ottenute le necessarie autorizzazioni da parte dell’Autorità di Vigilanza (la Covip), lunedì 11 gennaio si è insediato il Consiglio di Amministrazione del Nuovo Fondo Pensioni di Gruppo che ha innanzi tutto provveduto alla nomina delle cariche istituzionali (presidente, vicepresidente, direttore generale, ecc…).
Ma quanti e chi sono i consiglieri cui è affidata la gestione della nostra previdenza integrativa in una fase di trasformazione strutturale così delicata? Sono venti, dieci di nomina aziendale e dieci di nomina sindacale.
L’hanno deciso con gli accordi di ottobre le cosiddette “fonti istitutive” che ricordiamo sono, con ferrea conventio ad excludendum, l’azienda e i sindacati firmatari di contratto.
Nel frattempo, i Consigli e le Assemblee dei Delegati dei fondi che confluiranno nella nuova entità vedranno progressivamente ridursi il loro ruolo fino ad autocertificare la propria scomparsa. Saranno così soppressi organismi che, per la metà riservata ai lavoratori, sono composti da eletti, in certi casi anche solo da pochi mesi (gli iscritti al Fondo Sanpaolo IMI ricorderanno certamente la doppia faticosa elezione di primavera). Fin qui, verrebbe da dire, nulla di nuovo.
E’ dalla lettura dell’elenco dei nominati di parte sindacale che invece emerge una succosa novità. Solo nove di essi, infatti, sono esponenti dei sindacati firmatari mentre il decimo è Gian Paolo Gallizio membro del CdA del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI e rappresentante della CUB-SALLCA.
Ma che cos’è successo? Un refuso, un imperdonabile errore, un tradimento?
Niente di tutto questo ma per spiegarlo bene occorre tornare indietro di qualche puntata.
Nel 2010, le modalità di costituzione del Fondo Sanitario Unico di Gruppo hanno rappresentato, probabilmente, uno dei punti più bassi mai raggiunti a livello aziendale sul terreno della democrazia e trasparenza sindacale (e non è facile viste le tante nefandezze compiute nel tempo…).
La soppressione di fatto dei consigli delle preesistenti casse sanitarie (secondo il canovaccio che abbiamo sinteticamente descritto prima) avvenne in maniera arrogante ed affrettata. Lo Statuto della Cassa Intesa (che prevedeva un referendum tra gli iscritti) non fu rispettato e ciò ha provocato un contenzioso legale ancora aperto e che, per il momento, ha visto soccombere le “fonti istitutive”. L’architettura del nuovo Fondo (decisa in splendida autonomia da vertici aziendali e sindacali) penalizzò fortemente gli iscritti “anziani”, già pensionati o prossimi ad esserlo, che ancora oggi si battono per soluzioni maggiormente equilibrate. Sul piano sindacale, anche il Sallca (e i lavoratori che ci avevano dato fiducia con il loro voto) furono pesantemente danneggiati: il nostro eletto nella Cassa Sanpaolo (guarda caso l’unico a votare contro il processo di unificazione) venne cancellato con un tratto di penna. Ci sono voluti quattro anni perché si tenessero nuove elezioni e il sindacalismo di base (sempre grazie al consenso dei lavoratori) potesse tornare a svolgere il proprio ruolo nel nuovo Fondo sanitario.
Quando, a fine 2014, l’Azienda ha fatto capire di voler procedere con determinazione sulla strada del processo di unificazione anche dei fondi previdenziali (quanto meno di quelli a contribuzione definita) abbiamo subito detto che non avevamo preclusioni “ideologiche” al progetto ma che non avremmo accettato supinamente soluzioni affrettate che riservassero alla sola azienda (e non anche ai lavoratori iscritti ai Fondi) i possibili vantaggi economici dell’operazione e non fossero totalmente rispettose di un percorso democratico anche sotto il profilo del pluralismo sindacale.
Insomma, per evitare il ripetersi della “storiaccia”, avremmo usato tutti i mezzi a nostra disposizione (maggiori rispetto a quelli utilizzabili nella vicenda del fondo unico sanitario) con la forza derivante dal supporto che i lavoratori ci avevano sempre manifestato e l’autorevolezza acquisita in anni di presenza e di lavoro negli organismi dei fondi previdenziali di matrice sanpaolina.
In una prima fase i sindacati firmatari si sono limitati a dire che non avrebbero assecondato passivamente le tempistiche aziendali e che (questa volta) sarebbero state rispettate le norma statutarie ed i regolamenti dei vari fondi interessati (sic !).
La vera svolta, secondo noi, sono state le elezioni della primavera scorsa per il rinnovo degli organi collegiali del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI.
Nei nostri volantini di propaganda, infatti, abbiamo chiesto con molta chiarezza ai lavoratori di darci la maggior forza possibile non solo per proseguire il lavoro svolto nei precedenti mandati ma, soprattutto, per poter sorvegliare e condizionare, in modo efficace, il percorso di unificazione dei fondi previdenziali che stava, proprio allora, partendo in sordina.
I risultati elettorali dovremmo averli bene in mente ancora tutti. Per la prima volta la Cub-Sallca è riuscita a mandare, non uno, ma due propri rappresentanti in CdA (su sette di parte elettiva) e tutte/i le/i nostre/i candidate/i per l’Assemblea dei Delegati sono stati elette/i e tra i più votati in assoluto, sia per quanto riguarda le Aree Professionali che i Quadri Direttivi.
Inoltre, ha molto colpito il fatto che tale risultato sia maturato dopo la sciagurata ripetizione del voto (per gravi pasticci procedurali), un evento che avrebbe dovuto penalizzare un’organizzazione come la nostra esclusivamente basata sul lavoro volontario e priva di agibilità sindacali riconosciute dalle aziende. E invece, probabilmente, è successo proprio il contrario, poiché noi ed i nostri elettori abbiamo dimostrato ancora maggior determinazione, interpretabile anche come particolare attenzione alle sorti del risparmio previdenziale dei lavoratori.
Tanto per chiarire ulteriormente le posizioni del Sallca, nel corso della riunione d’insediamento del nuovo CdA del Fondo SanpaoloIMI, i nostri due rappresentanti (la cui dichiarazione è stata poi ripresa in un nostro volantino diffuso in categoria) hanno auspicato “che si sia fatto tesoro degli errori compiuti nel processo di unificazione degli enti sanitari del gruppo e che stavolta il processo sia realmente inclusivo e preveda la partecipazione di tutte le forze sindacali rappresentative degli iscritti. E’ ovviamente inaccettabile che alcune forze sindacali che hanno una rappresentatività da numeri decimali partecipino alla costituzione del Fondo Unico solo perché firmatari di CCNL mentre altre forze, ben più radicate nelle diverse realtà, non possano svolgere quel ruolo di rappresentanza per il quale gli iscritti si sono chiaramente espressi”.
Insomma, il mandato ancora una volta ricevuto da migliaia di colleghi non poteva essere né tradito, né eluso.
E così questa volta è stato.
Le fonti istitutive, infatti, hanno riconosciuto la legittimità delle nostre richieste ed accettato di inserire un nostro rappresentante nel CdA del nuovo Fondo ed un altro nella costituenda Assemblea dei Delegati.
Naturalmente, enunciato il principio, non sono poi mancati passaggi complicati dovuti al fatto che il Sallca, per l’azienda, formalmente “non esiste” e, parallelamente, i nostri rapporti con i vertici sindacali non sono certo idilliaci. E tuttavia quando un obiettivo è chiaro e condiviso le soluzioni tecniche si trovano sempre e così è avvenuto.
Dal punto di vista dei nomi, la nostra scelta è stata quella di indicare Gian Paolo Gallizio (rieletto a giugno nel CdA del Fondo Sanpaolo Imi) per il Consiglio di Amministrazione e Renato Strumia per l’Assemblea dei Delegati (organismo per il quale, sempre l’anno scorso, era risultato il più votato in assoluto tra i quadri direttivi). Pur entrando a far parte di un consesso di “nominati”, abbiamo quindi cercato di rispettare (per quanto possibile) il voto dei nostri elettori.
Crediamo sia opportuno sottolineare che, per un sindacato di base “non firmatario di contratto” e quindi “non riconosciuto”, quanto successo rappresenta un fatto assolutamente inedito nella storia del nostro settore e forse in assoluto.
Un risultato che è per tutti noi un motivo di grande soddisfazione in quanto rappresenta un riconoscimento del nostro ruolo e del grado di rappresentatività reale della nostra organizzazione, nonché un apprezzamento per le competenze dei nostri rappresentanti.
Per questo ci sentiamo di dedicarlo in primo luogo alle colleghe ed colleghi che, negli anni, hanno accettato le nostre proposte di candidatura (talvolta come indipendenti) e soprattutto a quelli che lo hanno fatto nei primi anni, quando “metterci la faccia” era ancora più difficile (e si perdeva pure…).
E, comunque, come abbiamo cercato di spiegare con questo volantino, un simile esito della vicenda non sarebbe mai stato possibile se così tante e tanti lavoratrici e lavoratori non ci avessero dato e confermato ostinatamente il loro consenso in molte successive occasioni.
Ennesimi ringraziamenti, quindi. Anche se pensiamo che, questa volta, sia più importante, da parte nostra, rafforzare in chi ci ha sostenuto la consapevolezza di aver contribuito, con il proprio comportamento, a vincere una battaglia collettiva (una volta tanto !!) di forte impatto sia sul terreno della democrazia sindacale sia su quello della tutela concreta degli interessi dei lavoratori.
Restiamo infatti assolutamente convinti che la presenza negli enti del welfare aziendale di consiglieri e delegati espressione del sindacalismo di base (certo competenti ma anche critici e indipendenti rispetto a vertici aziendali e segreterie sindacali e pronti a denunciarne eventuali accordi al ribasso) sia un risultato utile per tutti. Anche per chi diserta le urne o non ci vota perché non condivide le nostre idee o, più probabilmente, non ci conosce.
Di qui in avanti si apre una nuova fase della quale non ci nascondiamo le difficoltà sia di carattere “sindacale” sia di natura tecnica. Non sarà facile, infatti, riuscire a trasferire nel “nuovo fondo” le prassi operative, le flessibilità di scelta, i livelli di informativa e di trasparenza amministrativa che siamo riusciti faticosamente a conquistare (certo non da soli ma con un apporto determinante) in anni di battaglie dentro e fuori le “stanze dei bottoni” degli enti previdenziali dell’ex gruppo Sanpaolo.
Ma almeno, se ci saranno problemi, ve lo potremo far sapere con cognizione di causa.
Abbiamo atteso un po’ di tempo per commentare il recente giro di assemblee sugli accordi di secondo livello. Aspettavamo un comunicato delle sigle firmatarie, che fornisse i dati nazionali, ed il 20 gennaio è arrivato: uno scarno commento, con dati disaggregati per macroregioni, che comunica l’approvazione degli accordi con l’86% di favorevoli su una platea di 14.561 votanti.
Qualche confronto con i dati in nostro possesso sulla provincia di Torino è utile per un’analisi più approfondita.
Il risultato più in linea con quello nazionale è quello del Centro Contabile di Moncalieri: i dati a nostra conoscenza ci parlano di 130 favorevoli, 6 contrari e 3 astenuti, con una partecipazione al voto abbondantemente al di sotto del 10%!!!
Sconcertante il modo di condurre le assemblee sulla rete filiali.
Nella prima assemblea tenutasi sull’Area Torino è stato annunciato dai sindacalisti presenti al tavolo che l’assemblea non aveva alcun potere decisionale, che gli accordi erano già operativi e che il voto finale avrebbe solo misurato il gradimento dei lavoratori.
In un crescendo di dichiarazioni, pochi giorni dopo, in un’altra assemblea è stato ulteriormente precisato che, come previsto dal contratto nazionale, se gli accordi di secondo livello vengono firmati da sindacati che rappresentano il 51% degli iscritti la questione è chiusa e le assemblee sono solo una gentile concessione.
Visto che ormai le assemblee sono “per conoscenza”, in tre concentramenti della cintura torinese, Orbassano, Rivoli, Moncalieri (dove peraltro il dibattito non aveva espresso un grande entusiasmo per gli accordi sottoscritti) alla fine è stato deciso di non votare neppure.
Ovunque si è assistito ad un tentativo di tirare in lungo le assemblee, favorendo la “fuga” dei colleghi dopo una certa ora e lasciando a votare un numero di lavoratori piuttosto esiguo.
Nonostante tutto questo, il “plebiscito” a favore delle slides aziendali, mascherate da accordo sindacale, non è riuscito, perlomeno a Torino città, dove i voti favorevoli hanno superato i contrari di una manciata di voti e, comunque, sono rimasti abbondantemente sotto il 50%.
Questo esito, ovviamente, non dipende dal fatto che i colleghi di Torino sono “geneticamente” diversi dal resto d’Italia, ma solo dall’opportunità di poter sentire, in quasi tutte le assemblee, una voce di dissenso, grazie alla presenza diffusa dei nostri quadri sindacali sulla piazza.
A riprova di questo, il risultato della provincia di Torino (dove la nostra presenza è meno capillare) vede un 70-80% di voti favorevoli (i dati in nostro possesso sono incompleti), peraltro inficiato dal numero di votanti molto basso, anche per il non voto dei tre concentramenti, già ricordato.
Questi episodi diventano ancora più significativi considerando che, soprattutto in provincia, le campagne di tesseramento dei sindacati firmatutto si basano sulla necessità di raggiungere gli 8 iscritti, su alcune piazze, per poter costituire la RSA e ottenere il diritto a poter fare le assemblee.
Abbiamo assistito ad un brutto spettacolo, dove la democrazia è sostituita dalla presunzione di rappresentanza derivante dal numero di iscritti dei sindacati al tavolo: il meccanismo (peraltro previsto dagli ultimi contratti nazionali) è che la firmadeisindacaticonilmaggiornumerodiiscrittivalepertuttienonpuòessere messain discussione.
E allora tanto vale prenderli sul serio: la scelta del sindacato cui iscriversi deve essere fatta in modo responsabile.
La nostra polemica sugli accordi firmati sotto dettatura è confermata dai fatti, visto che è esattamente quello che è successo con la contrattazione di secondo livello e non viene più nemmeno nascosto.
Tutti possono verificare, guardando la busta paga, come gli aumenti (futuri) dell’ultimo contratto nazionale siano finanziati dal taglio (immediato e retroattivo) su TFR e previdenza integrativa.
Per tornare agli accordi aziendali, tutti possono rendersi conto come, mano a mano che si viene a conoscenza della classificazione della complessità di filiali e portafogli, si manifesti la piena discrezionalità aziendale.
Non parliamo poi delle pressioni commerciali: vi pare sia cambiato qualcosa?
Ancora una volta emerge l’esigenza di un sindacato che rappresenti una posizione autonoma dei lavoratori e non subisca semplicemente l’iniziativa della controparte e che sia presente, in modo organizzato, su tutto il territorio nazionale.
Iscriversi alla Cub Sallca e partecipare attivamente alle nostre attività è la strada percorribile da chi non è più disponibile ad accettare questo stato di cose.
Nel 2010 i lavoratori di Banca Depositaria, un settore di lavoro specialistico di Intesa Sanpaolo, vennero ceduti alla banca statunitense State Street.
Ci furono quattro giorni di sciopero in due settimane (i primi due proclamati dalla Falcri, il terzo da noi della Cub-Sallca, il quarto contestuale ad uno sciopero generale indetto dalla Cgil) e cortei a Milano e Torino (le due sedi coinvolte) con l’azienda in difficoltà anche perché i ritardi accumulati nel calcolo delle quotazioni dei fondi (uno dei lavori in carico a Banca Depositaria), a causa delle agitazioni, avevano prodotto richiami e minacce di sanzioni da parte delle autorità di vigilanza.
Ma in ballo c’era un affare da 1,7 miliardi di Euro (un bel contributo alla “solidità patrimoniale” del Gruppo) e serviva un accordo, che alla fine arrivò, peraltro molto contestato e approvato solo grazie al voto dell’assemblea della sede di Milano, condizionata da interventi poco ortodossi da parte aziendale.
L’accordo, per la prima volta nel suo genere, prevedeva un teorico (come vedremo) diritto a chiedere il rientro nel mese di dicembre 2015, richiesta che l’azienda avrebbe accolto nel primo semestre del 2017.
Perché diritto teorico? L’accordo poneva già alcune clausole al rientro, come la possibilità di demansionamento ed il ripristino delle condizioni retributive dell’epoca (cioè con gli scatti d’anzianità e l’inquadramento che “retrocedono” a quelli in essere nel 2010).
Nonostante questi evidenti elementi di continuità (verrebbero persino tenute in conto le vecchie domande di trasferimento), l’azienda ha dichiarato provocatoriamente che chi volesse rientrare verrebbe trattato come un neoassunto con l’applicazione del Job’s Act (ovvero piena licenziabilità).
E per completare l’opera, siccome nell’accordo non erano stati posti limiti territoriali per il rientro, l’azienda ha affermato che lo stesso potrà avvenire su “tutto il territorio nazionale”.
Tutte queste informazioni sono contenute nello scarno e disarmante volantino con cui i sindacati firmatari (alla cui schiera si è unita la Falcri, che nel 2010 era sulle barricate o faceva finta di esserci) rendevano conto dell’incontro fatto con Intesa Sanpaolo, come previsto dall’accordo. Un incontro in cui nessuna sigla al tavolo ha avuto nulla da obiettare, limitandosi a prendere atto delle gravissime posizioni aziendali, che svuotavano, di fatto, la possibilità di scegliere il rientro.
Un atteggiamento che fa il paio con quello delle stesse sigle, presenti in State Street, che hanno comunicato ai lavoratori che ognuna darà assistenza solo ai propri iscritti per preparare, con l’aiuto dei legali, la lettera per l’eventuale richiesta di rientro. Un evidente e vergognoso tentativo di fare campagna di tesseramento, ancora più indecente visto che, in tutta questa vicenda, le tutele fanno acqua da tutte le parti.
Dobbiamo constatare che il primo gruppo bancario italiano, che si vanta del proprio codice etico e di mettere al primo posto la valorizzazione delle persone, continua ad accanirsi contro un gruppo di lavoratori messo sul mercato cinque anni fa e di cui oggi tenta di ostacolare il rientro (al quale, verosimilmente, potrebbero essere veramente interessati solo alcune decine di colleghi) interpretando l’accordo nel modo più restrittivo possibile. D’altronde parliamo dello stesso Gruppo che nel 2012 non esitò a licenziare i giovani colleghi in apprendistato pur di ottenere quanto richiesto nelle trattative aziendali.
A fronte di questo atteggiamento della controparte, brilla per la totale inadeguatezza il ruolo dei sindacati firmatari, aggettivo quanto mai squalificante visto che l’accordo presentava già delle falle (come detto nella clausola di rientro non erano stati posti limiti territoriali) e che di fronte all’intransigenza aziendale hanno opposto solo un rassegnato ed imbarazzato silenzio.
Siamo costretti a commentare con molta amarezza questa storia, ma, così come dall’inizio, non possiamo che ribadire che, fino alla fine, noi saremo a fianco dei nostri colleghi ora in State Street.
Pur consapevoli che aggressività aziendale e inconsistenza del tavolo sindacale (per non dire altro) hanno fortemente ristretto gli spazi di scelta, faremo tutto il possibile perché la volontà di ogni singolo lavoratore venga rispettata. I nostri legali sono già al lavoro per preparare la lettera per chiedere il rientro, che metteremo a disposizione di tutti i lavoratori che ce ne faranno richiesta.
Anche nella nostra area stanno partendo le assemblee relative agli accordi di secondo livello che, dopo mesi di ‘dura e massacrante’ contrattazione sono stati miracolosamente siglati, in una notte ‘buia e tempestosa’.
VAP, percorsi professionali, pressioni commerciali….. tanta era la posta in gioco e i dati relativi al 2014, uniti alle dichiarazioni del CEO riguardanti i risultati al 30/09/2015, lasciavano presagire qualche spiraglio positivo nella contrattazione; nulla di trascendentale intendiamoci ma se non altro un decente recupero, quantomeno economico, di quanto tolto da un contratto nazionale svuotato eccessivamente in ottica di tutela della categoria, dove le crisi aziendali sono, quasi sempre, generate dalla malagestione dei top manager e sempre pagate dai lavoratori.
Diciamolo, da una banca che distribuisce miliardi di dividendi e molti di più ne promette visto l’andamento, che ha un gruppo di lavoro definito dal CEO unico e meraviglioso, che ha valori di solidità ai massimi, ecco….CI ASPETTAVAMO MOLTO DI PIU’!
Inutile ritornare a ribadire tutte le carenze dell’accordo, basta ricordare i dati fondamentali e pesanti: VAP 2014 ai limiti dell’elemosina, annullamento dello stesso (confluito nel Premio Variabile di Risultato) e, cosa fondamentale……. DISCREZIONALITA’ TOTALE DELL’AZIENDA SU RUOLI E RELATIVI, RIDICOLI, PREMI (specie se aggiunti a quanto perso per strada, VAP decenti appunto e contribuzione a TFR definitivamente ridotta, mentre nel 2012 si parlava di taglio temporaneo…così per dirne un paio).
Vi diranno che c’è crisi ed è vero, ma questi accordi riguardano noi e soltanto noi di Intesa Sanpaolo, una delle banche migliori del sistema, più solida ed a più alta redditività.
Le altre banche ci guardano, e anche i ‘cugini’ di Unicredit (altra banca che regala fior di dividendi) si sono visti recapitare, dalle stesse sigle sindacali, un accordo integrativo praticamente fotocopia del nostro in termini economici e normativi. Viene da chiedersi quindi come mai a parole economisti, analisti finanziari, sindacalisti firmatari e banchieri stessi, pontificano di un’economia che può ripartire solo se si rimette potere d’acquisto in mano a chi può, DEVE spendere e poi…. poi tutto si risolve nell’esatto contrario, anzi, di fatto, stringendo ulteriormente la cinghia, già al limite della mancanza di respiro!! Giovani e meno giovani che si vedono schiacciati da sempre più pesanti responsabilità, pressioni e ‘ansia da prestazione’ senza nessuna garanzia effettiva di percorsi e stipendio…. tutto, con eleganza, riposto nelle ‘generose’ mani aziendali.
Poco male direte, alle assemblee VOTIAMO NO e si ridiscute. Peccato che i sindacati firmatari, contrariamente a quanto proclamato nei mesi precedenti, sembra abbiano pensato non fosse il caso di far approvare alle assemblee quanto firmato…il loro giudizio bastava e le policy aziendali pare siano già pronte.
VISTA LA PREMESSA E’ ANCOR PIU’ DI FONDAMENTALE IMPORTANZA PARTECIPARE ALLE ASSEMBLEE, E CHIEDERE CONTO AI SINDACATI FIRMATARI DI QUANTO MESSO NERO SU BIANCO NEGLI ACCORDI, FARE
DOMANDE E NON ACCETTARE I FORSE, I SI VEDRA’, I NON SO! …. E SE, COME NOI, RITENETE CHE QUESTO INTEGRATIVO SIA ECONOMICAMENTE OFFENSIVO, MOLTO PERICOLOSO E OLTRETUTTO FIRMATO SENZA DIRITTO, VOTATE COMUNQUE NO E VERIFICATE I DATI DI VOTO!
ORMAI, PURTROPPO, DOVREMO TENERLO COSI’ COME FIRMATO, MA IL SEGNALE DEVE ESSERE FORTE E CHIARO, SOPRATTUTTO VERSO L’AZIENDA, LE CUI PROPOSTE SONO STATE RECEPITE AL 90% NEGLI ACCORDI.
QUESTA VICENDA DIMOSTRA CHE SERVE UN SINDACATO DIVERSO, CHE ESPRIMA IL PUNTO DI VISTA DEI LAVORATORI E NON RECEPISCA SOLO QUELLO DELLA CONTROPARTE.
ACCORDI DI SECONDO LIVELLO: TUTTI GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI (DALL’AZIENDA)
Se qualcuno è scontento delle conseguenze che il Nuovo Modello di Servizio ha avuto sulle condizioni di lavoro nella Rete (appesantendo ulteriormente ritmi, stress, pressioni commerciali, …) ha tutti i motivi per preoccuparsi: gli accordi raggiunti, infatti, sono il corollario della riorganizzazione introdotta il 19 gennaio di quest’anno.
La trattativa, chiamiamola così, ha visto il trionfo dell’azienda, che ha imposto i suoi tempi (l’accordo andava chiuso, “prendere o lasciare”, entro il 7 ottobre), le sue priorità e la sua ideologia (“loro” ce l’hanno). Ai lavoratori, questa volta, è stata persino risparmiata la commedia di una piattaforma “finta”, votata a larga maggioranza e abbandonata un secondo dopo: l’unica scelta rimane quella tra VAP in busta paga o premio sociale.
Tranne pochi ragionevoli “emendamenti” (tra i quali la riduzione da tre a due degli anni necessari per consolidare le indennità di ruolo) gli accordi ricalcano ( e addirittura contengono!) le slides aziendali che hanno segnato il percorso. E quello che ancora manca verrà consegnato ai sindacati “trattanti” a tempo debito (è incredibile ma è così).
Del Nuovo Modello di Servizio, i due accordi-chiave (“Premio” e “Inquadramenti”) conservano anche il carattere cervellotico e farraginoso: semplicità e trasparenza abitano altrove.
Tranne i principi di fondo, ovviamente, che sono chiari ed innegabili: aumenta a qualsiasi livello la discrezionalità ed il potere ricattatorio delle gerarchie aziendali, scende ancora il salario certo a fronte di quello variabile, i diritti da esigere diventano obiettivi da conquistare (e da contendere ad altri).
Tutto ciò è particolarmente vero per l’accordo su Ruoli e Figure Professionali che, guarda caso, riguarda solo la catena di vendita della Rete, rimandando al 2016 ogni discorso su strutture centrali e ISGS (pensate con quale potere di contrattazione, quando l’azienda ha già portato a casa tutto quanto le serviva !!!).
Qui, dopo la disdetta unilaterale da parte aziendale degli accordi precedenti (luglio 2012), si partiva praticamente da zero: il Contratto Nazionale, infatti, è da sempre molto vago sulle declaratorie (i criteri di definizione degli inquadramenti e delle mansioni a cui sono collegati) ed è la contrattazione aziendale che dovrebbe riempire i “buchi ”. Il termine di paragone, quindi, non può che essere la situazione pre-2012 ed il confronto è impietoso.
I criteri di classificazione dei portafogli sono estremamente più complicati e assai meno trasparenti. Il potere discrezionale dell’azienda conseguentemente si amplia ancora. Prima vi erano i percorsi, che consentivano di arrivare fino al 3A4L per il family e al QD1 per personal, small e imprese. Ora l’attribuzione di un portafoglio che preveda un inquadramento minimo superiore al proprio, dà diritto solo ad un’indennità di ruolo , (neppure particolarmente ricca) che, ovviamente, si può anche perdere cambiando portafoglio. Se non succede nulla, dopo due anni scatta l’inquadramento superiore effettivo, ma solo all’interno delle aree professionali: al QD1 non si arriva più.
Chicca finale (che, come ormai ci siamo abituati a vedere, consente all’azienda di risparmiare da qualche parte assai più di quanto spende dall’altra) le indennità di ruolo entrano nella base di calcolo della previdenza complementare ma non in quella del TFR !!
I percorsi in essere, che avevano subito già un ritardo di 18 mesi dopo l’accordo del 19 ottobre 2012, verranno finalmente portati a termine, ma solo se il ruolo ricoperto dopo l’introduzione del NMS è coerente con il percorso stesso.
Il nuovo sistema determinerà ovviamente un massiccio sovra-inquadramento, soprattutto tra i quadri. Per compensare almeno chi ha fatto il corso da promotore, per i QD gestori personal con portafoglio di fascia A (iscritti all’albo e autorizzati per l’offerta fuori sede) è prevista un’indennità di 1.200€ lordi annui non consolidabile. Stesso trattamento per i QD gestori imprese con portafoglio di fascia A e B.
Meccanismi analogamente penalizzanti valgono anche per i Direttori (cui viene per lo meno ripristinata, con decorrenza 19 gennaio ’15, l’indennità di direzione). Anche le filiali verranno classificate attraverso un grottesco e complicato ventaglio di parametri che sostituirà l’unico attuale basato sul numero di dipendenti (guarda caso ora che si “accorpano” gli sportelli …). Anche per loro, la direzione di una filiale per la quale spetterebbe un grado superiore non comporta l’avanzamento (che scatterà solo con l’adibizione ad una filiale di fascia ancora superiore) ma la semplice erogazione di un’indennità di ruolo che viene, anche qui, consolidata dopo due anni. Se nulla nel frattempo accade….
Alla faccia dello strombazzamento di azienda e sindacati “firmatari” sul riconoscimento della professionalità, l’intero sistema comporta, tendenzialmente, un sostanziale abbassamento del livello di inquadramenti e dei connessi riconoscimenti economici. E questo in un momento in cui il nuovo modello di servizio ha imposto ad ogni ruolo una complessità di mansioni e di competenze richieste assai superiore a prima.
Per fortuna che, almeno, è stato ottenuto il mantenimento del diritto ad ottenere il trattamento economico della 3A4L dopo 32 anni di servizio !!!
E tuttavia l’elemento più preoccupante non è economico ma è legato al fatto che i meccanismi ideati dall’azienda (e supinamente accettati) tendono ad aggravare uno scenario già pesante: non solo le pressioni commerciali sono “incorporate” nel sistema ma viene esaltata l’efficacia ricattatoria del potere della gerarchia aziendale che potrà esercitarsi su un ben più ampio insieme di variabili: ci sarà sempre una filiale o un portafoglio “meno complesso” nell’orizzonte di chi cercherà di non piegarsi e reagire.
Completa l’opera il disastro annunciato fatto con la definizione del nuovo Premio Variabile di Risultato (PVR) che, a partire dal 2015, unificherà e sostituirà VAP e Sistema Incentivante. Diciamo “annunciato” perché ricorderete che si tratta di una delle grandi “conquiste” del pessimo rinnovo del CCNL del 2012. I sindacati “firmatari” si danno come obiettivo quello di concordare e regolamentare, rendendoli più equi e trasparenti, i sistemi incentivanti discrezionali previsti dalle aziende e per ottenere tale risultato sono disponibili a mettere sul piatto il VAP. Si tratta di una possibilità non di un obbligo ma figuriamoci se i sindacalisti della prima banca del paese si lasciano sfuggire l’occasione. E finisce esattamente come avevamo già previsto nel 2012: il VAP scompare, diventando l’esigua “quota per tutti” del sistema incentivante e questo permane con tutte le sue brutture e storture (e la totale discrezionalità aziendale). Solo che ora i Sindacati vi appongono la firma e questa, anche per noi, non è cosa da poco visto che, in questo modo, se ne assumono la corresponsabilità.
Ma naturalmente, ci diranno in assemblea, che l’accordo è sperimentale e si può sempre tornare indietro …
L’importo del PVR 2015 è pari a 73 milioni di Euro, non una gran cifra, ma naturalmente (come per il VAP 2014) mica si può dimenticare il Lecoip …
Il 30% viene erogato come Premio Base a tutti se viene raggiunto il budget di Gruppo. Se ciò non accade, ma l’azienda non è in perdita e sono a posto un paio di parametri patrimoniali, il premio viene erogato all’80%.
L’erogazione individuale, uguale per tutti, può arrivare ad un massimo di 355€ lordi (oltretutto questo importo viene pesantemente decurtato per chi ha una RAL mediamente più alta della sua figura professionale) oppure a 455€ lordi per chi ha una RAL inferiore ai 35.000€.
Questa componente è l’unica in qualche modo “garantita” (quanto meno all’80%) e assimilabile al vecchio VAP. L’importo però è enormemente più basso.
Ricordiamo che il primo VAP post fusione, nel 2008, prevedeva 1.940€ lordi per la figura del 3A3L. Di anno in anno questa cifra è andata diminuendo, soprattutto per i lavoratori che non hanno convenienza ad optare per il premio sociale, sino ai 395€ cash e 460€ di premio sociale (600€ e 700€ rispettivamente per chi ha RAL inferiore ai 35.000€) stabiliti ora per il 2014.
Cifre modeste, se non considerate come conguaglio al Lecoip, ma comunque superiori alla quota quasi-certa del 2015 !!
Sul Lecoip occorre poi aprire una parentesi per evitare di farsi abbindolare dai piazzisti della finanza creativa. Nel 2018 genererà cifre significative (per quell’80% di colleghi che vi ha aderito e che nel frattempo non sia incappato in qualche sanzione disciplinare) ma coprirà a posteriori ben quattro anni ed è comunque un’operazione finanziaria e ideologica che ha un forte tornaconto per l’azienda che, grazie al suo impianto basato su castelletti di derivati, non costerà all’azienda che una parte di quanto “anticipato” per noi ( tra l’altro con una forbice spaventosa che fa gravare su tutti i super premi per top manager e alta dirigenza).
Tornando al PVR, sul misero premio-base poggia una piramide che assegnerà il 45% come Premio Aggiuntivo (se raggiunto il budget di divisione o, in assenza, ancora quello di Gruppo) con una distribuzione che comincia a diventare importante (a titolo di esempio, per il Retail, 145€ all’Assistente della clientela, 345€ al Gestore, 1.645€ al Direttore di fascia 3).
E, infine, il 25% come Premio di Eccellenza, riservato ovviamente a pochi e sventagliato in maniera ancor più rilevante (ad esempio, in una filiale di fascia 3 che raggiunga il massimo di eccellenza, l’Assistente prende 2.250€, il Gestore 4.200€, il Direttore 16.000€).
L’accesso all’ “eccellenza” rimane totalmente nel regno della discrezione aziendale : se nelle sedi centrali si potrà almeno continuare a guardare negli occhi il maestro che ti ha dato la pagella, in rete l’opacità e la manipolabilità del sistema raggiungono livelli parossistici. Miriadi di parametri tra cui pochi al momento conosciuti. Qui i “firmatutto” hanno davvero reso onore al nomignolo che spesso utilizziamo per qualificarli perché sono state fornite loro solo un paio di slides esemplificative (per modo di dire).
Per inciso, in un riga si cita persino la parola “formazione” il che, forse, avrebbe dovuto sollecitare i sindacati a cogliere l’occasione per normarne meglio la fruizione che oggi, in filiale, è prevalentemente fonte di stress (tra un cliente e l’altro) e di straordinari non pagati.
Resta il fatto che un collega 3A3L, che oggi possiamo immaginare intento a lavorare come PAR, se non raggiunge “l’eccellenza”, non potrà andare oltre i 700€ lordi di premio (vecchio VAP compreso) a fronte di un sistema incentivante sottoscritto anche dai sindacati che di equo e trasparente non ha nulla.
Con i due accordi principali (il bastone che arma il nuovo sistema di “inquadramenti super flessibili” e la carota del PVR per gli eccellenti che si sceglierà) l’azienda sistema a suo piacimento la partita delle pressioni commerciali e del clima aziendale , lasciando i sindacati a crogiolarsi con le “significative acquisizioni” dell’accordo specificatamente dedicato al tema. E’ ipocrisia allo stato puro concorrere alla codifica di un modello lavorativo sempre più connotato da discrezionalità, flessibilità, ricattabilità del lavoratore ed assoluto predominio dei budget di vendita imposti dall’alto e poi magnificare il fatto di aver istituito il libro delle doglianze per segnalare al Comitato Welfare, cogestito da azienda e sindacati, chi esagera, magari perché troppo poco “formato”.
Più che presidiare la casella mail iosegnalo@intesasanpaolo.com (ma come può venire in mente?) i sindacalisti “firmatari” tornino a presidiare le filiali e le sedi per aiutare i lavoratori a dare risposte collettive e conflittuali.
Anche l’accordo che sancisce la creazione del Nuovo Fondo Pensioni di Gruppo non sfugge alla logica generale di questa tornata di contrattazione.
Si tratta di un obiettivo fortemente voluto dall’azienda (che spinge oltre tutto per tempi accelerati non condivisibili) perché fonte di notevoli risparmi gestionali.
Sicuramente positivi sono il progressivo aumento della contribuzione per i lavoratori più giovani (che arriverà al 3,5% dagli inizi del 2018) e la possibilità, per chi ancora non ce l’ha (ad esempio gli iscritti al FAPA), di sospendere la propria contribuzione senza che venga meno il versamento aziendale. Ovviamente si tratta di un percorso che parte e che andrà seguito con estrema attenzione , cosa che evidentemente faremo con i nostri rappresentanti negli attuali Fondi, per evitare che produca danni per i lavoratori. Già ora stiamo facendo tutti gli opportuni approfondimenti per verificare che i citati aumenti delle contribuzioni minime non siano, quanto meno in parte, vanificati da una codifica più restrittiva delle voci retributive sulle quali sono calcolate.
Abbiamo lasciato per ultimo l’accordo che si occupa della cosiddetta “ conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” e sul quale (senza esagerarne la portata) si può esprimere un giudizio positivo che andrà peraltro verificato sulla base di dati concreti.
Nella Banca del Tempo l’azienda mette un plafond iniziale di 50.000 ore, non poco, ma la possibilità di utilizzo di tale strumento è limitato ad una casistica molto ristretta. Qualche malizioso ha subito osservato che questa azienda così filantropica, magari, avrebbe potuto ripristinare i permessi per visite mediche per tutti…
Interessante, inoltre, sarà vedere quanti colleghi usufruiranno delle giornate di sospensione volontaria, retribuite al 35% (con corrispondente contribuzione ridotta), per un massimo di 15 giorni. A fronte di organici sempre ridotti all’osso (quanto meno in Rete) c’è il rischio che si riveli una possibilità “teorica” che se offre “una via di fuga” a qualcuno aggrava una situazione già pesante dal punto di vista dello stress lavoro correlato (tema su cui l’azienda è ampiamente inadempiente).
Il giudizio complessivo sui sei accordi raggiunti è sicuramente negativo.
Il NO in assemblea è un segnale importante da mandare all’azienda ed a quei vertici sindacali il cui ruolo è sempre più quello di rendere percorribili e accettabili i disegni aziendali e non di contrastarli partendo dal diverso punto di vista del Lavoro.
Ma il NO in assemblea non è palesemente sufficiente. Occorre reagire e non abbandonarsi allo sconforto per il sistema totalizzante che ci ritroveremo di fronte. E’ necessario autoorganizzarsi per resistere tutti i giorni, collettivamente, ribadendo che, per tanti di noi, non è sostenibile (e comunque non condividiamo e non ce ne rendiamo complici) un modello di banca basato su un utilizzo del Lavoro (pagato il meno che si può e premiato solo se acquiescente) come mero strumento per sostenere politiche commerciali rapinose e generare extra-profitti a vantaggio esclusivo di grandi azionisti e manager.
Filiale Flexi Retail ….. un mondo da scoprire
Dal famoso 19/01/2015 sono ormai passati nove mesi e la creatura dà i suoi risultati.
Risultati positivi stando alle affermazioni della Dirigenza.
Ma positivi per chi ??!!
La risposta è che i risultati positivi, se così si vogliono definire, sono solo per la banca.
In effetti l’incitamento nei confronti dei gestori retail a vendere i fondi e la polizza Giusto Mix stà portando maggiore redditività alla banca.
Peccato che i clienti della Filiale Retail per la maggior parte sono persone senza grandi disponibilità e quei pochi che hanno un gruzzoletto è perché hanno lavorato e risparmiato per una vita per avere quei 30.000/40.000 Euro ed ora percepiscono una pensione poco superiore ai 1.000 Euro. Ma il problema è che queste persone che hanno questi piccoli capitali si fidano ciecamente del loro gestore e gli lasciano fare di tutto perché la maggior parte sono persone che di finanza non ne sanno nulla e il loro desiderio è di non perdere nemmeno un centesimo perché quei soldi potrebbero servire per la casa di riposo e per il funerale e se alla maggior parte di loro venissero spiegati correttamente i prodotti, evidenziando i livelli di rischiosità, molti di loro non li sottoscriverebbero.
Ora se andiamo a vedere i portafogli dove sono stati venduti i prodotti “spinti” questa primavera, ante crisi Grecia e Cina e ora Volkswagen, si riscontrano perdite generalizzate.
Le continue pressioni per fissare almeno 5/6 appuntamenti al giorno e vendere i prodotti più remunerativi portano a far si che molti colleghi invitino i clienti a fissare un appuntamento con delle scuse o dei pretesti, come l’aggiornamento dei dati, e poi in modo insistente spingano i clienti a fare investimenti che non farebbero mai.
Risposta collettiva da Torino
Diremmo che fotografa bene la situazione: tutto ciò che è stato venduto da marzo in avanti è in perdita. Le borse hanno stornato e sono calati anche i prezzi delle obbligazioni a tasso fisso. Sono molti i prodotti che hanno registrato perdite, in alcuni casi, quando l’esposizione azionaria era più elevata, in misura anche importante.
Il gestore si trova oggi, come non mai, tra l’incudine e il martello: i clienti fidelizzati sono stati incastrati in investimenti che perdono, quelli diffidenti non hanno alcuna intenzione di fare la fine dei primi.
Il risultato è che non si colloca più quasi nulla, che si ha paura di chiamare i clienti, che non si fissano gli appuntamenti per il panico di fargli vedere la situazione aggiornata.
Ma i vertici insistono con il metodo e quindi al mattino, anziché andare a lavorare, viene voglia di mettersi in mutua.
Non vediamo vie d’uscita, se non prendere di petto le questioni e difenderci in qualche forma collettiva organizzata.
L’accordo sul contratto di secondo livello firmato in Intesa Sanpaolo il 7 ottobre 2015 è stato definito “storico” dal segretario Uilca Massimo Masi. Il capo delegazione di ISP, Eliano Omar Lodesani, è ad oggi il più probabile candidato a prendere il posto di Alessandro Profumo come presidente del CASL, cioè come capo delegazione dell’ABI. La “qualità innovativa” dell’accordo siglato e l’estensione del suo ambito di applicazione (65.000 dipendenti sui 300.000 bancari italiani) lo candida ad essere un punto di riferimento per l’intera contrattazione nazionale, in particolare per quanto riguarda il nuovo sistema degli inquadramenti, dei ruoli e dei percorsi professionali.
L’utilizzo di parole grosse e l’enfasi con cui viene esaltato l’accordo non deve distrarci da quello che è consigliabile e doveroso fare in questi casi: l’attenta disamina del merito del contenuti e del percorso che ne ha segnato la conclusione. Su questo specifico punto non si può tacere della totale mancanza di rispetto di qualunque elementare regola democratica: la trattativa si è svolta integralmente su iniziativa aziendale, non c’è mai stata una piattaforma sindacale, meno che mai discussa, condivisa o votata dai lavoratori.
I sindacati trattanti hanno agito privi di qualsiasi mandato, dall’inizio alla fine della trattativa. Il nuovo modello di servizio, varato dall’azienda in modo unilaterale (come già era accaduto per l’applicazione degli orari estesi), con il radicale azzeramento del sistema contrattuale degli inquadramenti precedenti, ha così trovato la sua validazione sostanziale e formale, lasciando sul terreno molte macerie.
Ma andiamo con ordine e proviamo a vedere le varie parti dell’accordo (i testi degli accordi sono disponibili cliccando qui). L’azienda ha ottenuto il varo della nuova struttura degli inquadramenti, dei ruoli e dei percorsi professionali. Dopo avere sospeso, nel 2012, il precedente accordo di armonizzazione del 2009, l’azienda ha contribuito attivamente a scrivere la contro-piattaforma ABI del 2013, che poneva l’elevato livello medio degli inquadramenti nel settore come causa primaria dell’eccessivo costo del lavoro. Come si ricorderà, nel CCNL 2015 si è stabilito di aprire un cantiere di lavoro a livello nazionale per rivedere gli inquadramenti; nello stesso tempo si apriva alla possibilità di fare accordi aziendali che anticipassero le conclusioni nazionali. Quello in ISP è quindi un accordo che segnerà la linea in tutto il settore ed ha come principale obiettivo quello di dare validazione al nuovo modello di servizio, che ha destrutturato, al di fuori delle norme contrattuali vigenti, tutto l’impianto preesistente.
Anziché riconoscere la professionalità dei lavoratori, come strombazzato dall’accordo, ci sembra più appropriato parlare di vera mortificazione: il nuovo modello di servizio ha distribuito le figure e le competenze professionali in filiere separate, ma ha imposto ad ogni ruolo cosi ricostruito una complessità di mansioni e di competenze richieste molto superiore a prima. Il lavoro è diventato più penoso e complesso, ma con il nuovo accordo l’azienda riesce a pagarlo di meno, con una struttura degli inquadramenti posizionata a livelli molto inferiori a prima.
Scompare la distinzione tra gestori retail, personal e small business: le uniche differenze saranno dettate dalla complessità dei portafogli, tarate su criteri e pesi del tutto opachi e unilaterali. Lo stesso vale per il ruolo di direttori e coordinatori, che non avranno più diritto ad un inquadramento corrispondente alla mansione, ma si vedranno riconosciuta un’indennità di ruolo (correlata ad un inquadramento minimo) che potrà essere revocata e/o modificata in caso di assegnazione ad altro ruolo. Questa indennità si consoliderà solo dopo 24 mesi ed al verificarsi di determinate condizioni: solo in casi molto rari e selettivi sarà possibile godere di un consolidamento anticipato. Vale la pena ricordare che l’indennità non rientra nella base di calcolo del TFR.
I criteri che presiedono alla classificazione di filiali e portafogli sui diversi livelli di complessità sono estremamente aleatori e poco trasparenti: si consegna all’azienda un forte potere discrezionale che sarà utilizzato per perseguire consistenti risparmi di costi. Nell’immediato saranno pochissimi i fortunati che si vedranno riconosciuti vantaggi effettivi, mentre la gran parte del personale scoprirà di essere sovra-inquadrato rispetto al ruolo che ricopre e quindi destinato a subire molti “assorbimenti” di miglioramenti futuri. In tendenza la struttura dei costi, legati ai livelli, sarà enormemente più “risparmiosa” rispetto alla struttura precedente, consentendo all’azienda quel salto decisivo (verso il basso) che non era riuscita ad ottenere neanche nell’ultimo CCNL.
E’ partito sempre da esigenze aziendali il percorso concordato per arrivare alla fusione dei Fondi Pensione del Gruppo, tema su cui abbiamo chiamato i lavoratori alla massima vigilanza. A differenza di quando accaduto per il Fondo sanitario, il processo rispetterà le norme regolamentari (svolgimento dei referendum ove previsti), nonché i diritti pregressi di tutti i lavoratori interessati. Anche in questo caso i vantaggi sono solo a favore dell’azienda che continuerà a sostenere gli oneri relativi al personale, ai locali e alle spese amministrative, ma non più quelli relativi a consulenze finanziarie e spese legali. Ancora una volta si è persa l’occasione di recuperare su un terreno, quello della previdenza complementare, già duramente penalizzato a livello generale con la contrazione della base imponibile. I pochi miglioramenti, quale l’aumento della percentuale di contribuzione aziendale minima per i più giovani, non sono certo sufficienti a giustificare un’operazione che consentirà sensibili risparmi all’Azienda. D’altronde senza una posizione forte a favore di un referendum degli aderenti anche nei fondi che non lo prevedono espressamente (la fusione non è un aspetto solitamente normato) è ovvio che la controparte non ha alcuna necessità di mettere qualcosa sul (nostro) piatto della bilancia … Sarà ovviamente cura dei consiglieri della CUB- SALLCA eletti dai lavoratori seguire con grande attenzione l’attuazione del percorso, garantendo trasparenza e correttezza nelle decisioni da assumere di volta in volta.
Novità interessanti sono racchiuse nell’accordo sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Adeguandosi a previsioni di legge e arricchendo di molto il menù, viene introdotta la “Banca del Tempo” con dotazione aziendale di 50.000 ore e incremento previsto in base alle donazioni dei colleghi, per aiutare dipendenti in particolare situazione di difficoltà personale e familiare (che potranno avere fino a 15 giorni l’anno di permessi retribuiti, una volta finite ferie e banca ore). Analogamente viene ripetuta la sospensione volontaria dell’attività lavorativa, fino a 15 giorni l’anno, retribuiti e coperti al 35% a carico dell’azienda. Viene introdotto un plafond di 12 gg /anno per consentire ai lavoratori affetti da gravi patologie di prendere permessi retribuiti utilizzabili per visite mediche specialistiche. Apprezzabili tutte le norme che rafforzano la tutela della maternità e della paternità, nonché la facoltà di poter frazionare tre giorni di ferie in permessi della durata minima di 15 minuti.
Sul conguaglio del VAP è stata acquisita una cifra accettabile per quanto riguarda gli importi erogati a chi è sotto i 35.000 euro lordi di RAL (700 euro di premio sociale oppure 600 euro in contanti). Non è così per chi supera quel livello di RAL, perché 460 euro di premio sociale o 395 euro in contanti rappresentano una cifra oggettivamente troppo modesta per essere ritenuta adeguata all’impegno e alla produttività espressa dai lavoratori interessati. Garantire un maggior recupero salariale ai giovani sotto-inquadrati ha un senso, farne pagare il costo agli altri lavoratori decisamente meno.
Sul premio variabile di risultato l’azienda accoglie la richiesta dei sindacati firmatari che già dal disgraziato CCNL 2012 premevano per unificare VAP e sistema incentivante. L’illusione di poter così recuperare spazi di discrezionalità in mano all’azienda ci sembra però svanire ai primi vagiti della neonata creatura. Il PVR sarà una percentuale del valore di budget del “Risultato corrente al lordo delle imposte” del Gruppo, ma sarà l’azienda, come è ovvio, a stabilire il budget e quindi determinare le condizioni per l’erogazione. La sua suddivisione in tre distinte quote (base, aggiuntivo, eccellenza) fa sì che venga destinata alla quota base solo il 30% della cifra disponibile (con un importo indicativo di 355 euro lordi o 455 euro lordi a seconda della RAL). Se il budget non viene raggiunto, ma il risultato corrente è positivo, ai lavoratori va l’80% di questa misera quota base (e questa resta l’unica quota in qualche modo “garantita”, sempre a patto che un utile ci sia). Per il resto il 45% del bonus viene destinato alla quota aggiuntiva, ma dipende dai risultato della Divisione (torna la logica dei “cancelletti”). Il 25% va invece a premiare l’eccellenza di chi supera in media i “concorrenti”, con una logica fortemente selettiva, ed un moltiplicatore importante che agisce come leva per fare decollare la somma di quota base e quota aggiuntiva fino a 4,5 volte per i lavoratori di ”supporto”, fino a 6 volte per i gestori e fino a 8 volte per i coordinatori. Si potrebbe dire che “è qui la festa”, ma noi, che siamo ideologicamente contrari ai sistemi incentivanti (e lo diciamo senza giri di parole), continuiamo a pensare che questo contrasti con qualunque regola deontologica e professionale (soprattutto nel nostro settore) e quindi siamo contrari. Dopo anni di guasti e di effetti perversi causati dalla presenza di sistemi incentivanti che hanno avvelenato il clima aziendale, accresciuto la competizione interna e spesso scatenato conflitti deleteri e comportamenti sbagliati, bisognava dire basta. Invece si è data legittimità alle scelte aziendali, varando un sistema che non si discosta per nulla da quelli precedenti, per farraginosità, opacità, utilizzo di parametri oscuri e termini incomprensibili.
Strettamente connesso al punto precedente è l’accordo sulle politiche commerciali e clima aziendale, che altro non è che la risposta che era necessario fornire sul terreno delle pressioni commerciali, un tema prima latente, ma che è esploso come una vera e propria emergenza drammatica con banca estesa e nuovo modello di servizio. Lo dimostra il livello di utilizzo diffuso di psico-farmaci e ansiolitici, in una rete investita da richieste di dati su obiettivi impossibili, in un contesto di mercato ormai sfavorevole alle performance strabilianti che i nostri manager pretendono a prescindere. Una volta sfrondato il testo dell’Accordo dalla retorica grondante che si autocelebra, citando deontologia, etica, professionalità, dignità del personale, soddisfazione della clientela, spirito di squadra e collaborazione tra i colleghi, resta ben poco di “esigibile” sul piano concreto.
L’accordo indica la necessità di azioni positive nei comportamenti da adottare, nella reportistica richiesta e nella formazione dei responsabili, ma elude i nodi fondamentali della problematica: la definizione di un piano industriale, declinato in budget annuali, incompatibile con la situazione di crisi del nostro paese; l’assegnazione alla rete di obiettivi irrealistici; l’adozione di politiche commerciali che spingono a vendere alla nostra clientela prodotti che sono al limite rispetto al profilo di rischio effettivo; l’utilizzo di un metodo che include controlli invasivi della prestazione lavorativa; il ricorso a pressioni personali che non escludono minacce di ritorsioni e toni ricattatori.
Di fronte a tutto questo si “conquista” solo il diritto alla ”segnalazione di comportamenti ritenuti non coerenti”, come se tutto dipendesse solo da qualche responsabile particolarmente scatenato nel voler fare il primo della classe, oppure incapace di gestire il personale con criteri manageriali corretti. Il modulo di segnalazione da inoltrare al Comitato Welfare andrà utilizzato senza indugio e in misura massiccia per colpire i singoli personaggi che sistematicamente utilizzano mezzi e strumenti insopportabili per mettersi in luce, sulla pelle degli altri, ma non è certo la soluzione strutturale ad un degrado che, da tempo, ha superato il livello di guardia, nella più totale latitanza della direzione aziendale. Il problema va affrontato con ben altra determinazione, se non vogliamo finire tutti in terapia psichiatrica.
Ci troviamo quindi di fronte ad un accordo che globalmente va valutato in modo negativo: le modeste concessioni “d’immagine” sul terreno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, l’accettabile compromesso sulla fusione dei Fondi pensione, la condivisibile scelta di premiare con il conguaglio del VAP i livelli inferiori, vengono duramente controbilanciate dai deludenti capitoli relativi a premio variabile di risultato, politiche commerciali e ruoli professionali.
Sul terreno delle cose che contano, l’azienda riesce a vincere: circoscrive i danni sul piano delle pressioni commerciali, legittima un sistema incentivante che gli consegna forte discrezionalità, applica un sistema di inquadramenti congeniale al nuovo modello, che riduce al minimo i costi fissi e introduce forti elementi variabili legati alle prestazioni e quindi alla revocabilità delle indennità. Un esito ben diverso da quanto era lecito attendersi da una trattativa che segnava il primo contratto di secondo livello nel principale gruppo bancario del Paese.
La trattativa sul contratto aziendale di secondo livello “a tempo” (era fissata infatti una data di scadenza, il 7 ottobre) è giunta a termine.
Ancora il 6 ottobre, un comunicato delle sigle trattanti titolava “Trattativa in corso: fase delicata e difficile”.
Evidentemente, un’improvvisa accelerazione ha portato a chiudere l’accordo.
In attesa dei nostri approfondimenti, ecco tutti i testi degli accordi:
Contratto collettivo di secondo livello
Ruoli, figure professionali e percorsi di sviluppo professionale
Politiche commerciali e clima aziendale
Conciliazione di tempi di vita e di lavoro