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INTESA SANPAOLO SENZA APPUNTAMENTO
L’azienda ha deciso che dal 9 dicembre si potrà tornare ad accedere alle casse senza appuntamento, ad eccetto delle “zone rosse”.
E’ una decisione grave e fortemente rischiosa per gli assembramenti che inevitabilmente verranno a crearsi fuori dagli sportelli, in attesa del proprio turno.
Come evidenziamo nel volantino allegato, la clientela ha le proprie ragioni, soprattutto quella meno attrezzata ad accedere ai servizi digitali e bisognosa di operazioni essenziali (come i pagamenti delle imposte statali o i tributi locali).
La responsabilità ricade interamente sull’azienda, che in questi mesi non ha modificato la propria organizzazione, per adeguarsi all’emergenza.
Ha pensato solo a tagliare i costi e ridurre gli organici, perseguendo in modo ossessivo l’obiettivo di eliminare le casse e raggiungere gli obiettivi commerciali.
I vuoti di organico legati agli esodi e all’epidemia devono essere riempiti con un corposo piano di assunzioni, che non può più attendere.
Buona lettura!
REVOCARE QUESTO STRANO APPUNTAMENTO, E’ STATA UNA PAZZIA…
Nel pieno di una nuova stretta repressiva per arginare la ripresa del contagio, per risollevarci il morale, la banca ha comunicato che dal 9 dicembre non ci sarà più l’obbligo di appuntamento per le operazioni di cassa (tranne che per zone rosse e filiali senza plexiglass), sostituito dall’accesso “contingentato” ( ma da chi, se le filiali sono sempre più svuotate di personale?).
Ci sembra una decisione sbagliata e improvvida, che tende ancora una volta a privilegiare le ragioni commerciali durante il periodo natalizio, rispetto a quelle della tutela della salute dei lavoratori ( e in ultima battuta anche dei clienti).
È facile prevedere che aumenteranno gli assembramenti fuori dalle filiali ( tra l’altro al freddo della stagione invernale, così come nell’”apertura” precedente, quella estiva, i clienti si scioglievano al caldo sui marciapiedi). E’ ancora peggio quando tutto questo avviene nei ristretti spazi delle aree bancomat, con conseguente aumento dei rischi di contagio.
La giustificazione formale del passaggio di alcune regioni da “zona rossa” ad arancione, o gialla, è per l’appunto solo formale: tutti sanno che qui si recita a soggetto e i dati sono interpretati in modo variabile. Ora bisogna far prevalere l’ottimismo (o la sottovalutazione), sulla spinta di enormi pressioni delle Regioni, a loro volta pressate dagli interessi economici danneggiati dalle limitazioni in essere.
Tutti sanno che tra pochi giorni tutte le Regioni diventeranno gialle per favorire il solito rituale consumistico del Natale (celebrato in solitudine, ma con tanti acquisti sulle piattaforme on-line) e inoltre ci sono importanti scadenze fiscali, di cui bisogna agevolare la riscossione, per rifinanziare le esauste casse di Stato, Regioni, Comuni.
Dopo 10 mesi dall’inizio dell’epidemia, ci sono ancora filiali dove manca il plexiglass e dovunque scarseggiano gli steward, che hanno l’ingrato compito di regolare gli accessi.
In realtà l’atteggiamento ondivago della banca evidenzia le contraddizioni di un posizionamento del tutto inadeguato rispetto alla gravità dei problemi sul tappeto.
Mentre all’inizio la banca ha reagito attivamente ad una crisi di tipo nuovo (con la donazione di 100 milioni di euro, la rinuncia a parte dell’emolumento da parte degli amministratori, la disponibilità immediata di una linea di credito di 50 miliardi all’economia, anticipando i provvedimenti governativi), nella fase successiva la banca si è persa per strada…
Mentre implementava una serie di misure obbligate per rispettare i protocolli di sicurezza previsti dalla normativa e dagli accordi (smart working, smart learning, turnazioni, congedi parentali, e così via), l’azienda non è riuscita a liberarsi dall’ossessione per i risultati commerciali, da conseguire anche in una situazione così straordinaria.
Quello che è ancora più grave è che non è riuscita a ricalibrare la propria organizzazione in funzione delle esigenze della clientela, che sono radicalmente cambiate nel nuovo contesto.
A fronte di difficoltà oggettive ad utilizzare i canali digitali da parte di una parte molto ampia della clientela, anziana e poco avvezza ad utilizzare strumenti evoluti, la banca non ha saputo e voluto rispondere.
Ha cercato di mantenere invariata la propria cadenza commerciale, passando all’offerta a distanza, ma non era certo questa la strada per affrontare i problemi. Anzi, la chiusura mentale ha persino impedito di prendere in considerazione le problematiche e delineare una strategia di soluzione con un progetto mirato.
Sia nella gestione delle richieste di moratoria e di liquidità (istruzioni poco chiare, procedure complicate, connessione inadeguata), sia nella gestione delle comuni operazioni di filiale, non sono state messe in campo le risorse e le capacità organizzative adeguate.
Il contingentamento degli accessi in filiale e l’accesso tramite appuntamento hanno finito per danneggiare soprattutto l’utenza di massa, considerata residuale e poco redditizia, che aveva prevalentemente bisogno di servizi di cassa, oppure di risolvere problemi tecnicamente impossibili da gestire a distanza (disconoscimenti, blocchi contratti internet, carte smagnetizzate, procedure amministrative e così via).
Anziché assumere il problema e risolverlo in modo contingente e tempestivo (ad esempio riaprendo, anche solo temporaneamente, un adeguato volume di postazioni di cassa per smaltire l’arretrato), la banca ha preferito isolarsi in una torre d’avorio da difendere strenuamente, tagliando ogni contatto con l’esterno che non producesse “risultati”.
Lo dimostra il numero impressionante di telefonate inevase, di richieste di appuntamento rifiutate, di contatti rimandati alle calende greche, di inaccessibilità sostanziale ai servizi.
Per una società di servizi che vive di relazione si tratta di un errore gravissimo. Ma chi decide ai piani alti può permetterselo, perché le conseguenze ricadono su chi sta in basso, nella rete e nella fossa dei leoni.
La diatriba su appuntamenti o contingentamenti non ha quindi molto senso, quando il vero problema sta nella fallimentare strategia della banca nel gestire l’emergenza: mentre la filiale New Concept si rivelava del tutto disfunzionale al distanziamento, le pochissime casse rimaste aperte (nelle filiali che si sono salvate dalla chiusura) sono risultate drammaticamente insufficienti e l’esasperazione della clientela è cresciuta a dismisura. Gli assembramenti, prevedibili dopo la nuova inversione di rotta, saranno certamente occasioni di contagio, ma soprattutto forieri di stress e tensione con la clientela, che sempre più spesso tendono a sfociare in aggressioni verbali e purtroppo anche fisiche.
Se la tutela della salute di chi lavora deve essere la priorità assoluta per un sindacato, bisogna anche comprendere le ragioni di quella clientela che deve fare i conti con scelte aziendali sbagliate. Da questo punto di vista consideriamo irresponsabili le dichiarazioni di soddisfazione per i risultati raggiunti anche in queste condizioni avverse (che trapelano nei vari incontri trimestrali dei sindacati con le Direzioni Regionali), oppure le pressioni commerciali che vengono esercitate sui gestori anche in questa ultima parte dell’anno.
E’ proprio il caso di dire, come qualcuno ha fatto notare, che all’aggressività “esterna” della clientela corrisponde l’aggressività “interna” dei responsabili. E in un anno come questo non ci sembra proprio che i colleghi meritino questo trattamento. E’ un metodo inaccettabile che va respinto con la massima fermezza.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
FONDO SANITARIO INTEGRATIVO DEL GRUPPO INTESA SANPAOLO
Cominciamo con una buona notizia: il Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo liquiderà già entro fine anno le richieste di rimborso, senza dover attendere il pagamento della quota differita alla chiusura del bilancio, a giugno 2021.
Più precisamente verranno liquidate entro il 2020 le quote differite riferite a prestazioni già liquidate o di cui è stato richiesto il rimborso alla data del 27.11.2020; per quelle richieste successivamente, il rimborso avverrà in unica soluzione.
Si tratta dell’esito paradossale di un esercizio straordinario, quello del 2020, anno in cui l’esplosione della pandemia ha impedito, limitato o ritardato il ricorso alle prestazione sanitarie, da parte degli iscritti, per patologie diverse dal Covid-19.
Sono così smentite ancora una volta le preoccupazioni sulla tenuta del Fondo. Come sostenne il nostro rappresentante in sede di Assemblea dei Delegati, nel giugno 2020:
“Se qualcuno non se ne fosse accorto, siamo tuttora nel corso di una pandemia che colpisce soprattutto le persone anziane, ovvero i quiescenti, ed è necessario che il Fondo svolga la sua parte nel sostenere pienamente gli sforzi della comunità mondiale nel contrastare la malattia. Ci saremmo aspettati, ed auspichiamo, che si rivedano le condizioni di rimborso, che dovrebbero coprire l’intera spesa, favorendo gli esami di tracciamento, primo tassello per un efficace processo di contenimento della malattia, che dovrebbe affiancarsi ad un servizio pubblico già pesantemente sotto pressione. In questa fase l’attenzione all’equilibrio della gestione previdenziale annua deve essere un elemento di secondo piano perché in questo momento le azioni e le risorse del Fondo dovrebbero essere messe in campo a sostegno dell’intera collettività. Se non lo si fa adesso, con una pandemia mondiale in corso, quando mai si useranno le riserve costruite negli anni, tra l’altro, proprio dalle persone che ora ne sono più colpite? Ma forse si aspetta l’estinzione … dopo i conti quadreranno per definizione … L’Assemblea dei Delegati ha il compito principale di approvare il Bilancio che, nel 2019, è ritornato a produrre un avanzo significativo: oltre 7 milioni di euro sono stati accantonati a riserve, che ora sono complessivamente 133 mln di euro (ai quali si aggiungono i circa 40 mln della Cassa Intesa ancora sotto vertenza giudiziaria). Si tratta di una ingente somma che, come si è visto l’altro anno con il taglio delle prestazioni differite ai quiescenti, non viene utilizzata nemmeno per coprire evidenti momenti di crisi dei mercati finanziari. Resta poi sempre meno comprensibile l’eccesso di prudenza relativo al differimento all’anno successivo di una parte dei rimborsi, che crea sempre problemi anche in sede di dichiarazione dei redditi. Le spese oggetto di differimento sono quelle più prevedibili e, come emerge anche dalla relazione bilancio, sostanzialmente stabili. E’ assurdo che nel 2020, con le tecniche gestionali attuali che consentono un monitoraggio costante dell’andamento delle prestazioni, non si riesca ad eliminare questo orpello, inserito prudenzialmente anni fa ed ora, ad andamento delle prestazioni ormai consolidato, utile solo per aumentare la liquidità a disposizione per gli investimenti finanziari (i quali aiutano sicuramente a sostenere le finanze del Fondo, ma non possono diventare il focus dell’attività del Fondo stesso …)”.
Possiamo quindi esprimere la nostra soddisfazione per una scelta finalmente razionale ed insistere perché la quota differita venga abolita in via strutturale, in quanto elemento di costo, di confusione e di complicazione fiscale per tutti gli iscritti. Riteniamo quanto mai attuale ed urgente la serie delle richieste che abbiamo formulato nel corso degli anni e riassunto nel nostro intervento datato 2019, quando si voleva sfruttare l’andamento finanziario di una gestione particolarmente nefasta (quella del 2018) per apportare modifiche peggiorative durature alle prestazioni del Fondo. Richieste lungimiranti che qui ripetiamo nella stessa identica forma:
– Ripensare l’uso delle riserve: l’attuale impostazione prevede un tetto massimo di trasferimento alla gestione in caso di deficit, ma occorre modificare gli attuali limiti.
– Creare un nuovo fondo rischi nel quale far confluire gli extra-rendimenti della gestione finanziaria per eliminare, o almeno contenere, volatilità avverse che si possono realizzare negli anni futuri. – Modificare le modalità di imputazione del risultato di esercizio sia in caso di surplus (riserva e fondo rischi), che in caso di disavanzo, considerando separatamente la gestione previdenziale (differenza tra contributi e prestazioni) dalle altre (finanziaria in primis).
– Rivedere il meccanismo del contributo di solidarietà: il limite di trasferimento definito in base al surplus complessivo della gestione degli attivi andrebbe rivisto per consentire, con mercati negativi, l’utilizzo del neocostituito fondo rischi.
– Eliminare l’odiosa “quota differita”: se questo meccanismo aveva una sua ragione nel momento dell’integrazione di numerosi colleghi infragruppo, ora la situazione si è stabilizzata, è in buona misura prevedibile e opera entro margini sufficientemente ampi per consentire una liquidazione immediata dell’intero importo rimborsabile.
– Ridare poteri al CdA: in questo momento, statutariamente, svolge un ruolo troppo marginale, tenuto conto che è l’unico organo eletto da tutti gli iscritti.
I fatti hanno dimostrato che avevamo ragione e che abbiamo combattuto una battaglia (quasi) in solitaria per rivendicazioni giuste e sostenibili. Adesso si tratta di affrontare seriamente le questioni rimaste aperte e risolverle in via definitiva.
In particolare chiediamo che nell’immediato venga creato un fondo rischi dove far confluire avanzi di bilancio, sia di origine finanziaria che di origine gestionale, per stabilizzare e migliorare le prestazioni. Questo meccanismo consentirebbe di fare fronte anche a prevedibili picchi di rimborsi nei prossimi esercizi, non appena il superamento dello stato di emergenza consentirà il recupero delle prestazioni sanitarie pregresse.
Ci sono ampi spazi di miglioramento del servizio di Previmedical (per usare un eufemismo), di eliminazione degli sprechi e di incremento qualitativo delle prestazioni a favore degli iscritti (con particolare attenzione ai quiescenti), senza dimenticare che l’azienda ha nel corso del tempo tagliato i suoi costi, riducendo gli organici. Una revisione del suo contributo per gli iscritti in servizio non sarebbe certo una richiesta scandalosa!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Era atteso da tempo e si sapeva che sarebbe successo, ma l’uscita delle liste delle filiali cedute a Bper merita una riflessione.
Il “pacchetto” era già stato preconfezionato: per anticipare le obiezioni dell’Antitrust Intesa Sanpaolo aveva previsto un congruo numero di filiali da cedere e trovato già l’acquirente per chiudere l’affare.
E da venerdì sappiamo chi dovrà passare all’altra banca. Seguirà accordo sindacale di cessione, dove vi diranno che va tutto bene e che ci sono tutte le tutele del caso.
Probabilmente sarà un accordo in fotocopia con quelli visti in anni passati in situazioni simili, che cercherà di limitare i danni, anche per evitare che a qualcuno venga in mente di tentare di impugnare la cessione e passare alle vie legali.
Ma nessun accordo potrà risarcire il danno morale e psicologico di essere ceduti insieme ad attività finanziarie, clienti e beni strumentali, come accessori della filiale e nessuno potrà mai convincerci che si debba considerare normale questa compravendita di persone.
Ci siamo sempre battuti perché venisse affermato il diritto di opzione (cioè la possibilità del lavoratore di scegliere se seguire il destino della filiale o restare ed essere ricollocato nella vecchia azienda), in passato anche con scioperi, mobilitazioni e azioni legali, ma non ci siamo riusciti. Ora in BPER (dove finora non eravamo presenti) cercheremo di costruire la presenza del sindacato di base. Ce ne sarà bisogno, nella nuova realtà come nella vecchia.
Perché nel “pacchetto” era già compresa anche la dichiarazione di esuberi.
E’ una vecchia storia, già vista fin dai tempi della megafusione tra Intesa e Sanpaolo Imi. Prima ancora che le strutture delle diverse banche vengano integrate e si possa verificare l’effettiva presenza di eccedenze di personale, i tagli vengono già fatti, meglio portarsi avanti con i lavori.
In questo caso, già programmate dall’azienda, un’assunzione ogni due uscite. Ma su quali basi??? Potrebbero persino essere troppe (non lo saranno, fidatevi) ma che poteri di previsione così straordinaria posseggono?
C’erano una volta, tanti anni fa, sindacati che verificavano, punto operativo per punto operativo, ufficio per ufficio, la situazione reale degli organici e tentavano di contrattare con la controparte le assunzioni necessarie.
Oggi, invece, firmano sotto dettatura i tagli lineari decisi a tavolino dall’azienda. Non riteniamo serva la sfera di cristallo per prevedere che le adesioni agli esodi andranno ben oltre le 5.000 previste e le assunzioni, ammesso che ci siano tutte (ma quelli che dicono di stare al tavolo di “trattativa” le fanno poi le verifiche?), nella rete filiali rischiano di essere di nuovo i famigerati contratti misti. Infatti la rete è al collasso (ma anche molti uffici di sede se la passano male) e i sindacati firmatutto strillano che manca organico, mentre firmano accordi per ridurlo.
Come diceva un signore molti anni fa : “lavoratori di tutto il mondo (bancario) unitevi”. Di qua o di là, servirà la presenza di un sindacato di base che non si prostri davanti all’azienda, qualsiasi essa sia.
CUB-SALLCA
IL VACCINO SI E’ FERMATO AD AVELLINO
In questo venerdì 13 novembre di un anno nefasto, ai colleghi aderenti alla campagna vaccinale che “generosamente “ la nostra banca ha avviato, stanno arrivando le mail di invito alla prenotazione dell’appuntamento per la somministrazione del vaccino antinfluenzale presso uno dei laboratori convenzionati con MyAssistance, partner della banca in questa iniziativa.
Come è noto la banca aveva lanciato questa iniziativa il 28 ottobre scorso, offrendo, “in via preferenziale” ai propri dipendenti 50.000 dosi di vaccino antinfluenzale (gratuitamente) e 10.000 dosi di vaccino anti-pneumococco (alla cifra concordata di euro 96,40 iva inclusa).
La risposta dei colleghi è stata “tiepida”: meno di un quarto degli aventi diritto ha avanzato richiesta, per cui si apre l’eventualità di una “riapertura” della campagna, magari a favore dei familiari dei colleghi intenzionati a vaccinarsi.
Lasciamo ad altre sedi la discussione se sia più o meno opportuno questo privilegio “sanitario”, di cui i dipendenti della nostra azienda godono, a svantaggio dei ceti sociali più bisognosi e meno “preferiti”.
Ricordiamo anche che autorevoli studi medici (tra cui Children’s Health Defense) denunciano che il vaccino antinfluenzale può aumentare il rischio di altri virus respiratori, fenomeno noto come “interferenza virale”.
Come è giusto che sia, il ricorso al vaccino è libero e facoltativo, e quindi ogni persona interessata può decidere in base alle proprie opinioni e al proprio stato di salute (esistono criteri di priorità che privilegiano immunodepressi e portatori di patologie pregresse).
Vogliamo invece evidenziare in questa sede che, nello scorrere l’elenco dei laboratori disponibili sul territorio nazionale, abbiamo dovuto riscontrare, nostro malgrado e con grande stupore, che in Campania vi è un solo laboratorio convenzionato presente nella città di Avellino.
Presumendo che altre aree geografiche conoscano situazioni simili, segnaliamo questa macroscopica ed evidente disorganizzazione e denunciamo alle competenti funzioni aziendali la triste scoperta, augurandoci che il rimando ad “un costante aggiornamento delle strutture convenzionate” presente nelle mail inviate ai colleghi aderenti sia di buon auspicio alla tempestiva risoluzione di questa evidente inadeguata valutazione geografica in rapporto alla densità abitativa campana.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo-Ubi
La situazione sulla rete filiali, di fronte alle problematiche legate al covid, è sempre più insopportabile.
La questione di fondo è il permanere di ingiustificabili spinte all’attività commerciale, persino nelle zone rosse, dove il lavoro a giorni alterni riduce gli organici a livelli minimi. Invece la priorità deve essere data alla “sopravvivenza”, in particolare alla gestione della pressione alle porte, con troppe realtà dove le filiali sono assediate dai clienti in cerca di risposte alle loro esigenze. Tra l’altro, come abbiamo scritto, lascia il tempo che trova il decalogo sulle operazioni “consentite” (https://www.intesasanpaolo.com/it/common/landing/orari-filiali-prendi-appuntamento.html) , da cui però si potrebbe dedurre che torna ad essere valida la disposizione di non trattenere i clienti alle scrivanie per più di 15 minuti.
Ecco quanto abbiamo scritto, via pec, a Messina, Barrese e alle funzioni di Tutela Aziendale sull’argomento:
Nell’attuale fase determinata dalla rinnovata emergenza covid la situazione sulla rete filiali, in particolare Retail ed Exclusive, sta degenerando.
Il meccanismo dell’ingresso su appuntamento anche per la cassa ed altre esigenze sarebbe ragionevole se i clienti riuscissero a prenotarsi. Non ci riescono perché nessuno risponde al telefono e nessuno risponde perché chi lavora alla cassa, e/o accoglienza, o svolge altre attività amministrative, non ha il tempo per farlo e chi svolge mansioni commerciali non deve essere “distolto” dai propri compiti, sotto l’occhiuta vigilanza dei Direttori di Area.
Ma questo atteggiamento discende direttamente da responsabilità dei massimi vertici aziendali: tutti ricordano il triste video di Barrese, uscito il giorno precedente la proclamazione del lockdown di marzo, sulla necessità di cogliere le opportunità commerciali del momento.
Invece il momento richiede di prendere atto della situazione di emergenza e comportarsi di conseguenza: la priorità va data non ai budget, ma alla gestione dei flussi alle porte. I colleghi e le colleghe devono avere il tempo di rispondere al telefono e gestire gli appuntamenti e le richieste dei clienti. Va incrementato il numero di steward (che peraltro ricevono retribuzioni infime) garantendone la presenza, tutti i giorni e per tutto l’orario, a tutte le filiali che hanno la necessità di evitare assembramenti alle porte e nelle bussole.
Certamente non è una soluzione l’ennesima riproposizione del decalogo delle operazioni consentite in cassa.
Non è ammissibile che si sfrutti la situazione per forzare l’utenza anziana e meno digitalizzata a usare i “canali” alternativi. Le ulteriori chiusure di filiali e di casse, cui abbiamo assistito in estate, richiamano la responsabilità diretta di chi ha operato queste scelte in un momento simile.
Al contrario è grottesco che davanti alle filiali hub si mettano in coda clienti giovani (e iperdigitalizzati) per venire ad incassare bonifici in contanti. Si tratta, prevalentemente, di emolumenti per prestazioni lavorative occasionali, anche di piccola entità. La maggior parte di loro ci spiega che avevano, invano, fornito un Iban per l’accredito, ma ciò è stato ignorato. Da informazioni raccolte, pare che GI Group (la società che gestisce buona parte di questi pagamenti) trovi più comodo e veloce mandare le operazioni in automatico per farle pagare in contanti, anziché perdere tempo a disporre regolari bonifici con accredito.
Chiediamo alle funzioni competenti di verificare la fondatezza di queste informazioni e, nel caso, di intervenire con le società con cui sono state concordate queste convenzioni.
Nel momento in cui si deve cercare di ridurre gli assembramenti, è intollerabile avere clienti che si presentano alle porte per operazioni molto lunghe, nel caso non siano già censiti, quando ciò potrebbe essere facilmente evitato.
Le misure messe in atto dall’azienda di fronte all’emergenza covid hanno avuto il merito di favorire la fruizione della formazione. Il corso sul Codice di Comportamento ci ricorda, confrontando i buoni propositi con la realtà di tutti i giorni, l’ipocrisia che regna in azienda.
Ma altri corsi ci ricordano che il D.Lgs. 81/08 ha introdotto nel D.Lgs. 231/01 i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose. I rischi che corrono tutti i giorni i colleghi e le colleghe che devono gestire da soli gli ingressi delle filiali rimandano alle responsabilità di chi non garantisce il diritto di lavorare in modo sicuro e sereno. Le discussioni, gli insulti, le aggressioni verbali (in casi rari, per ora, anche fisiche) sono all’ordine del giorno.
Con questa comunicazione informiamo ufficialmente i vertici aziendali di quanto avviene sulla rete filiali.
Anche se il nostro sindacato non è firmatario di contratto e viene privato (non per propria scelta) del tavolo negoziale, siamo sempre disponibili al confronto sui temi sollevati.
Distinti saluti
Segreteria Nazionale Cub Sallca
Il recente accordo sulle uscite volontarie dal neo costituito Gruppo Intesa Sanpaolo – Ubi prevede un certo numero di assunzioni, senza peraltro specificare le date di questi “innesti”.
Vi è solo scritto che entreranno 2.500 persone entro la data ultima del 31.12.2023. Non viene specificata la forma contrattuale con cui verranno assunti.
L’accordo del 2017 sui contratti misti non è stato un successo: ritardi e difficoltà nel fare decollare un contratto di lavoro privo di precedenti hanno finito per lasciare la rete filiali in condizioni pietose. Ad un certo punto l’accordo sembrava essere stato ripudiato anche dai vertici nazionali dei sindacati firmatari.
Eppure l’azienda continua ad assumere (con il contagocce) in questo modo, determinata ad abbassare i costi fissi e decisa a spartire con i lavoratori non tanto i guadagni (che sono mediocri), quanto i rischi.
Addirittura adesso va espandendosi l’area degli agenti “puri” con contratto di mandato, dove la condizione di precarietà è esplicita e drammatica.
Sarà la scorciatoia per superare i 6 miliardi di utili nel 2022 per il nuovo Gruppo, ma a noi sembra più che altro una grave minaccia al quadro di stabilità del contratto di lavoro subordinato tipico.
E in quanto tale una minaccia per l’insieme dei lavoratori. Sarebbe bene tenerne conto.
IL NOSTRO VOLANTINO IN ALLEGATO. Buona lettura.
CUB SALLCA Intesa Sanpaolo
L’emergenza corona-virus ha prodotto un forte impatto sull’organizzazione del lavoro, i turni di lavoro, i servizi offerti dalle banche.
La necessità di tutelare addetti e utenti ha comportato una forte restrizione dei servizi di massa, creando spesso momenti di tensione e di scontro all’esterno e all’interno della rete filiali. Le chiusure di filiali e i vuoti di organico legati agli esodi non consentono, già di per sé, di fornire servizi adeguati.
Il riemergere di forti pressioni commerciali rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, discriminando tra clientela “di pregio” che viene privilegiata perché redditizia e clientela di massa che viene del tutto abbandonata a sé stessa.
Quando poi questo processo viene guidato da una regia neanche troppo occulta, tocca ai lavoratori difendere un modello di banca inclusiva e sostenibile.
Quello che vale per Intesa Sanpaolo, può essere esteso, in misura più o meno accentuata, a tutto il resto del sistema bancario.
Buona lettura.
CUB-SALLCA
In questo messaggio inviamo una guida all’esodo per chi è interessato (VEDI PDF A SEGUIRE), ma anche un “programma di lavoro” per chi resta in banca ed è giustamente preoccupato delle condizioni di lavoro che si verranno a creare con organici insufficienti e problemi organizzativi.
SCHEDA TECNICA SU ACCORDO ESODI ISP-UBI 29.09.2020
INTESA SANPAOLO ESODI 2020: CHI ESCE FESTEGGIA, CHI RESTA DEVE REAGIRE
L’accordo sugli esodi (scontato ed atteso, oramai una fotocopia dei precedenti), nell’ambito dell’integrazione del Gruppo Ubi nel Gruppo Intesa Sanpaolo, ripropone un film già visto.
Siccome si presume che l’integrazione produrrà esuberi, si procede a dichiararli ed a stabilire preventivamente, “a tavolino”, la platea dei candidati all’esodo.
E’ una tecnica usata fin dai tempi della fusione tra Intesa e Sanpaolo: la logica vorrebbe che prima si procedesse all’integrazione delle varie strutture e dopo si valutasse l’impatto dell’operazione sugli organici, procedendo ad una verifica reale degli esuberi e della loro gestione. Invece, ancora una volta, si procede al contrario!
Le conseguenze sono note: uno stato di emergenza costante, con la rete, ma anche molti uffici di sede, perennemente sotto stress.
Il tutto aggravato, in questa fase, dalle problematiche covid, con molte filiali sotto assedio dei clienti che non riescono a prenotare e ad accedere agli sportelli e molti lavoratori di sede in smart working, con probabili (non ci sono dati, ma molti episodi alimentano il sospetto) esplosioni degli orari di fatto, grazie alla flessibilità (o estensione senza limiti) del lavoro da casa. Inutile poi ricordare come nelle filiali le spinte al raggiungimento di risultati “sfidanti” sia ripresa ancora più forte di prima della “pausa” del lockdown.
Da tempo assistiamo ad una categoria sull’orlo di una crisi di nervi (anche oltre, viste le crescenti richieste di visite col medico competente) dove la voglia di fuga è inarrestabile e chi resta fuori dall’ennesimo giro di esodi chiede quando sarà il suo turno.
L’attuale accordo prevede 5.000 uscite entro fine 2023, ma possiamo tranquillamente scommettere che le adesioni all’esodo saranno molte di più. E possiamo anche sbilanciarci nell’ipotizzare che le 2.500 assunzioni, soprattutto se nella rete continuerà l’andazzo di assumere contratti misti, non basteranno a rendere dignitose le condizioni di lavoro.
Noi pensiamo che non si debba accettare in modo fatalista e rassegnato il degrado dell’ambiente di lavoro e che si debba reagire per pretendere il rispetto delle persone e delle norme.
A chi resta nella “banca più bella del mondo” proponiamo di non limitarsi a contare gli anni che potrebbero mancargli per il proprio esodo, ma a lottare con noi per rendere il proprio posto di lavoro un luogo dove al mattino ci si possa avviare con un minimo di serenità.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
da Segreteria CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo
a
lavoratrici e lavoratori Ubi Banca
Intesa Sanpaolo compra Ubi, chi si preoccupa dei lavoratori?
Cari/e colleghi/e,
da tempo ricevete i comunicati del nostro sindacato di base.
Non molti, purtroppo, perché la nostra presenza in UBI è sempre stata ridotta, nonostante i tentativi di ampliare la base di consensi.
L’OPS portata a termine da Intesa Sanpaolo disegna nuovi scenari pieni di incertezza.
In questa operazione quasi un terzo delle filiali di UBI verranno cedute a BPER: sono il tributo sacrificale previsto per poter realizzare la fusione in ottemperanza alle condizioni imposte dall’Antitrust.
Abbiamo sempre considerato sgradevole essere considerati alla stregua degli arredi delle filiali, che possono essere ceduti al miglior offerente: ci sarà, in aggiunta a quanto detto, anche la cessione all’asta di altre 17 filiali.
Anche se non è detto che sia utile e desiderabile “tornare indietro”, va detto, peraltro, che la cessione dei lavoratori nell’ambito del presunto ramo d’azienda è discutibile sul piano legale: un nostro tentativo di metterla in discussione, in passato, non è riuscito per un pelo e non è detto che non si possa ritentare.
Per chi invece arriverà in Intesa Sanpaolo (dove la presenza del nostro sindacato è più robusta, anche se ancora insufficiente per essere incisivi come vorremmo) si aprono comunque scenari complicati.
Se già il passaggio dalle vecchie banche alla nascita del Gruppo UBI è stato traumatico, questo rischia di non essere da meno.
La realtà lavorativa quotidiana dovrà scontrarsi con decisioni, spesso incomprensibili e cervellotiche, e comunque con strutture impersonali con le quali l’interlocuzione è spesso impossibile. Il tutto esasperato dalla pressione per tagliare i costi e recuperare il ritardi nei risultati commerciali.
Sul piano normativo, poi, Intesa Sanpaolo ha fatto da apripista per iniziative molto discutibili. E’ stata la prima (e si potrebbe dire l’unica) a sfruttare le “opportunità” del contratto del 2012 tenendo le filiali aperte fino alle 20. Una scelta che poi è stata solo parzialmente ridimensionata (con chiusure alle 18,30 / 19,00) prima del ripristino dell’orario standard a causa dell’emergenza coronavirus…
Per non parlare poi del lancio dei “contratti misti”: assunzioni per giovani che lavorano per due giorni come dipendenti e per tre come consulenti a Partita Iva, con il risultato di non riuscire a mettere insieme uno stipendio decente.
Per completare lo scenario, ricordiamo che nel 2016 Intesa Sanpaolo (che i suoi top manager amano definire “la più bella banca del mondo”) è stata sanzionata per mancato rispetto delle norme sullo stress lavoro correlato.
Il tutto è partito da un nostro esposto, rispetto al quale l’azienda è corsa ai ripari per cercare di coprirsi da nuove iniziative legali, ma, rispetto ad allora, la situazione è peggiorata.
Quello che non cambia, in UBI come in Intesa Sanpaolo, è il ruolo acquiescente dei sindacati concertativi. Ma nel secondo caso stiamo arrivando ad un salto di qualità inquietante: se prima lamentavamo che le trattative venivano svolte su piattaforme non sottoposte all’approvazione dei lavoratori, ora il problema è risolto, perché le piattaforme sindacali non ci sono proprio.
Il recente accordo sugli inquadramenti è stato una rinfrescata di quello siglato nel 2015 e rivisto nel 2018, quando la trattativa (si fa per dire) venne svolta sulla base delle slide presentate dall’azienda!
Tutto questo per dire che per affrontare il futuro, qualunque esso sia, l’unica possibilità è di autorganizzarsi per difendersi, non cadendo nel solito tranello dei sindacati concertativi che cercano di tranquillizzare con la promessa: “ci pensiamo noi”.
Nessuno ci regalerà nulla: per difenderci dobbiamo organizzarci autonomamente ed il sindacato di base, per chi lo vorrà, è pronto a dare il proprio contributo.
Vi proponiamo il nostro commento all’ennesimo “successo sindacale”, il recente accordo sui ruoli professionali.
Nato, come da prassi consolidata, in assenza di una piattaforma sindacale, il nuovo accordo è solo una rinfrescata di quello precedente.
La principale variazione consiste nella sostituzione della complessità dei portafogli (prima affidata a misteriose pratiche esoteriche affidate ad oscuri algoritmi) ad una nuova basata su un mix di 4 voci con percentuali di peso diverso, la cui analisi produce sovente forti mal di testa.
Ci siamo impegnati per tentare di decifrare questo groviglio di norme ed invitiamo a leggere l’allegato anche a chi non fosse direttamente interessato ai percorsi dell’accordo.
La lettura serve a capire che accordi importanti come questo dovrebbero nascere da un confronto con i lavoratori e concludersi con norme chiare e comprensibili per tutti.
L’esatto contrario di quanto avvenuto.
Chi volesse cimentarsi con la lettura dell’accordo integrale deve solo scrivercelo e provvederemo a mandargliene una copia.
ACCORDO SUI RUOLI PROFESSIONALI IN INTESA SANPAOLO.
UN GROVIGLIO INCOMPRENSIBILE DETTATO DALL’AZIENDA.
(leggi l’allegato)