Archivio MPS - Page 2
Vista l’impossibilità di analizzare in dettaglio l’ipotesi di accordo per gli stringenti limiti di tempo, ritengo più utile soffermarmi sull’impostazione generale che a mio avviso la caratterizza.
Vorrei richiamare la vostra attenzione su un concetto contenuto nella premessa. La centralità dei dipendenti. Centralità che nel documento viene ribadita.
Ma attraverso quali modalità si intende perseguire tale scopo? Attraverso un rafforzamento del welfare aziendale.
Il consolidamento del welfare aziendale sembra assolvere la funzione che una volta era rappresentata dalla stabilità del posto di lavoro, facendoci fare un ulteriore passo in avanti verso un modello di regolamentazione del rapporto di lavoro di tipo americano, che potremmo sinteticamente chiamare dei sommersi e dei salvati.
Chi riesce a salvarsi dalle eventualità sempre più numerose che minacciano l’esistenza stessa del rapporto di lavoro, che vanno dal trovarsi coinvolti in un’esternalizzazione o più semplicemente, per i futuri colleghi assunti dopo il Job’s act, all’essere inquadrati con il cosiddetto contratto a tutele crescenti che consente la piena libertà di licenziamento, potrà fruire dei servizi del welfare aziendale, che saranno sempre più ambiti anche in assenza di un loro irrobustimento ottenuto in fase negoziale, vista la progressiva privatizzazione della sanità a cui assistiamo.
Chi invece resterà stritolato dalla competizione sempre più spinta che regolerà la vita lavorativa, competizione alla quale, sia detto en passant, questo accordo non mette alcun freno per quanto concerne il tema delle pressioni commerciali, scomparirà dal nostro orizzonte politico, sindacale o semplicemente emotivo, non prima però di svolgere per l’azienda un’ultima preziosa funzione: quella di deterrente alla conflittualità, alla contestazione, o alla semplice critica.
Questa impostazione è da rigettare. Se come si afferma nella premessa, l’azienda ha a cuore il sostegno dei dipendenti e addirittura delle loro famiglie, non esiste miglior rimedio che concordare insieme ai rappresentanti dei lavoratori, norme che anche nella contrattazione di secondo livello impediscano gli abusi in tema di cessioni di ramo d’azienda e mettano dei limiti alla disciplina nefasta del Job’s act per i nuovi assunti.
Così come è da rigettare quello che nell’ipotesi di accordo non si legge, perché implicito: la rassegnazione.
Rassegnazione che porta all’accettazione indiscutibile, che si debba intervenire sul
salario.
Un assunto dogmatico. Che naturalmente si ha cura di rivestire della più spendibile delle vesti tecniche.
Ma qui, ora, ma direi ovunque e sempre, quando si arriva a parlare esclusivamente in termini tecnici, significa che la politica, intesa come insieme delle decisioni che riguardano l’esistenza degli uomini e su di essa impattano, ha già fatto la sua parte.
Allora sì che non c’è nulla da discutere perché la dimensione tecnica non può offrire
alternative, ma solo formali accomodamenti. Rigettiamo e poi? Potrebbe dire qualcuno.
Ed io rispondo: già il rigettare è un poi. Un poi che non è stato ancora attraversato se
permettete, e di cui è giusto non conoscere le conseguenze, che possono essere valutate solo a posteriori, e sulla base della forza e della coesione con cui si mantiene quel poi.
Quel poi, e concludo, può acquisire forza però, solo uscendo dalle condizioni che hanno regolato da sempre le relazioni sindacali di questo settore, rompendo col sistema della delega in bianco, rifondando l’azione sindacale sulla base costituita dai lavoratori e riuscendo anche qui ad eleggere i nostri rappresentanti.
Io questa scelta l’ho concretizzata aderendo all’unico sindacato di base del settore, il SALLCA CUB.
Invito tutti i lavoratori che sono animati da un analogo sentire a votare no a questa ipotesi d’accordo e, soprattutto, a dare forza alla costruzione di una reale democrazia sindacale nel settore del credito, l’unico strumento che può far pesare maggiormente le nostre sempre più intimorite, spaesate, rassegnate voci individuali, in una dignitosa e forte voce collettiva.
Pochi giorni solari alla fine dell’anno. Altrettanti alla scadenza dell’accordo separato del 19.12.2012, che in questi tre anni ha fatto le veci del contratto integrativo che fu. Pullulare di assemblee? Resoconti puntuali, sulla fervida attività dei sindacati trattanti circa le loro proposte?
Niente di tutto ciò sotto il cielo del Monte dei Paschi.
Di proposte si parla, negli stringati comunicati sindacali. Ma sono quelle aziendali. Le si definisce inaccettabili, provocatorie, irricevibili.
A noi lavoratori non è dato conoscerne il contenuto. Magari giusto per confrontare se la nostra personale contrarietà si conforma a quella espressa, a parole, dalle organizzazioni sindacali. Tutto si svolge, come di consueto, sulle nostre teste. Eventi incontrollabili, ultraterreni verrebbe voglia di dire, di cui però sentiremo la dura concretezza, nella fase in cui esplicheranno i loro nefasti effetti.
In una congiuntura come quella attuale, in cui il tasso generale di democrazia sindacale è ai minimi, nel nostro settore, già storicamente caratterizzato dalla sola presenza delle RSA (elette formalmente, nominate sostanzialmente), senza che sia mai stato possibile per i lavoratori esprimere le proprie preferenze con l’elezione delle RSU (perché i sindacati bancari non ne hanno mai recepito la normativa con un accordo quadro), i lavoratori sono completamente estromessi dal processo decisionale di accordi in cui la parte datoriale è unica protagonista di un rapporto che dovrebbe essere dialettico, ed in cui quindi, alle pretese di ridimensionamento dei diritti e di riduzione del costo del lavoro, bisognerebbe frapporre quantomeno un’efficace barriera e, magari, iniziare ad essere parte attiva, con la capacità di mettere all’ordine del giorno proprie proposte.
In un tale contesto, ai lavoratori residua un raggio d’azione limitato per esprimere il proprio dissenso: la revoca dell’iscrizione a sindacati che, in modi e gradi diversi, sono complici di quanto accade. Vediamo perché.
Il rito lo conosciamo già.
Scaduto il termine perverranno sulle nostre caselle di posta elettronica volantini in cui, pur ancora presente l’indignazione (magari mitigata), l’accento sarà stato spostato non più sulla irricevibilità delle proposte aziendali, ma sulla difficoltà del momento, sul contesto difficile, ecc…
La narrazione dei comunicati sindacali prenderà poi una piega mistica: miracolosamente l’accordo è stato raggiunto.
Naturalmente il lavoratore, dotato di intelligenza, nonostante la bassa considerazione che trapela dagli estensori dei comunicati, si farà subito una domanda: ma come è possibile che per un accordo di cui si conosceva la scadenza fin dal principio dei tre anni in cui è entrato in vigore, si sia arrivati agli ultimi giorni, addirittura alle ultime ore, per trovare un’intesa di rinnovo?
Poi sarà il momento in cui le organizzazioni sindacali chiederanno un vero e proprio atto di fede agli iscritti: credeteci, diranno nei loro comunicati non più indignati ma pragmatici, di meglio non si poteva fare. Se non avessimo firmato, le cose sarebbero andate peggio.
Ora per carità, non vogliamo negare che questo possa essere in parte vero. Peccato che l’accettazione di tutto ciò sarà, appunto, frutto di un atto di fede, non potendo di certo provenire da un’analisi critica di documenti, proposte, controproposte, posizioni, ecc…, elementi che al lavoratore sono rimasti sconosciuti.
Al lavoratore rimarrà in particolare sempre misteriosa, la distanza tra le conseguenze negative delle proposte irricevibili di parte aziendale, e le conseguenze negative ma necessarie prodotte dall’intesa raggiunta.
Certo il panorama dei sindacati trattanti è disomogeneo. C’è chi firma subito gli accordi a perdere. C’è chi resiste e poi firma. C’è un tavolo. Un secondo tavolo. C’è chi magari non firma ben sapendo che, sulla base degli accordi che riguardano in generale tutti i lavoratori (come quello del 10 gennaio 2014), sarà sufficiente che a firmare siano le organizzazioni sindacali che rappresentano il 50%+1 degli iscritti (degli iscritti, badate, non dei lavoratori!).
La domanda che dovremmo porci è: ma tutto ciò si riflette in differenze sostanziali?
Se la risposta dovesse essere negativa, al lavoratore, privato di qualsiasi ruolo e caricato di tutte le conseguenze, non rimane che la possibilità di disconoscere la propria appartenenza a tali sindacati, considerando che ormai è la semplice iscrizione a riassumere la sua volontà.
Chi scrive, con l’adesione al SALLCA CUB, l’unico sindacato bancario che non si è reso compartecipe del forte arretramento normativo ed economico degli ultimi due decenni (in particolare con un coerente rigetto degli ultimi vergognosi contratti collettivi), ha voluto far penetrare questa possibilità di dissenso e costruzione di un’alternativa, nell’immobilità storica delle relazioni sindacali che ha connotato il Monte dei Paschi.
Il SALLCA è un’opportunità. Ma la coerenza dimostrata in questi anni, pagata con la negazione dei diritti sindacali, è condizione necessaria ma non sufficiente, ed ha bisogno che ad essa si coniughi la forza e l’intelligenza dei lavoratori, affinché si possa agire efficacemente. Nelle realtà aziendali in cui maggiore è il radicamento, nelle poche occasioni in cui i lavoratori del credito hanno potuto esprimersi liberamente attraverso un voto, Il SALLCA è andato ben al di là della sua rappresentatività in termini di iscritti, riuscendo ad eleggere 2 membri – su 7! – nel CDA del Fondo Pensioni del Gruppo Sanpaolo IMI –, con il 20% di voti (in pratica, rapportando il risultato all’intero settore del credito, il SALLCA potrebbe essere il terzo sindacato per rappresentatività, se avessimo la possibilità di eleggere i nostri rappresentanti…), nonché un membro sia nel CDA che nell’Assemblea dei Delegati del Fondo Sanitario di Intesa San Paolo.
L’invito rivolto ai colleghi è allora quello di prendere l’unica decisione che ci può permettere di opporci al dilagante autoritarismo aziendale e alla passività e/o compartecipazione dei sindacati firmatutto: revocare la propria iscrizione e provare a costruire, anche qui al Monte, una possibile alternativa. Altrimenti non ci resta che attendere che le decisioni aziendali, tramutate in “accordi”, piovano pesantemente sulle nostre teste, attraverso
i consueti comunicati dell’ultima ora, attività in cui sembra ormai riassumersi l’operato di organizzazioni sindacali sempre più subordinate alle aziende e distanti dai lavoratori.
Sono passati 600 giorni dalla “nascita” (1 gennaio 2014) della Fruendo SRL.
I bilanci sono quelli, tristemente, annunciati. La memoria, invece, torna alle date del 19 dicembre 2012 e del 21 dicembre 2013 ed allo “scippo”‘ realizzato dai sindacati firmatari di quegli accordi, che non solo hanno sottratto ai lavoratori, oggi esternalizzati, il loro diritto di essere rappresentati, ma si sono fatti garanti della PREESISTENZA e dell’ AUTONOMIA FUNZIONALE di un ramo d’azienda mai esistito!
Oggi, come allora, i fatti dimostrano che la Fruendo SRL non esiste e che vive solo in funzione della commessa di Banca MPS SPA. In questo clima surreale (si direbbe se non fosse per le reali e devastanti conseguenze nella vita dei dipendenti) e considerati gli scontri pregressi, non ci saremmo aspettati la ricomposizione di un tavolo sindacale unitario.
Ci ha lasciato increduli l’ultimo volantino, unitario, dove anche FABI, FIBA CISL – ora FIRST CISL – e UILCA (firmatari degli accordi di cui sopra) parlano di rischi occupazionali, ammettendo che le nuove commesse prospettate dalla Fruendo SRL non ci sono.
Oggi cosa resta ai lavoratori esternalizzati? La loro dignità e, a chi vorrà e potrà, la possibilità di difendersi, da solo o con l’aiuto dell’avvocato che si è scelto!
Sempre a proposito di bilanci, vorremmo ricordare quanto saranno ininfluenti, per la Banca, i costi per difendersi nei tre gradi di giudizio per le cause sulle esternalizzioni e quanto, invece, i costi personali, economici e familiari sostenuti dai lavoratori non potranno essere risanati da nessun risarcimento!
Noi crediamo, però, che andrebbe rilanciata un’azione solidale e collettiva, un’azione sindacale che si affianchi alle tante iniziative legali in piedi. Un’azione sindacale, aggiungiamo, che sia alternativa a quella delle troppe sigle compromesse e conniventi con i voleri aziendali. Offriamo ai lavoratori la possibilità di autorganizzarsi e difendere i propri diritti.
Con l’esternalizzazione MPS ha cercato di farci fuori e di non farci sentire più bancari, anche se al momento il nostro contratto è quello del credito.
L’abbiamo presa male ma abbiamo reagito peggio: tante cause legali, poche lotte.
Sono prevalse rabbia e rassegnazione.
Ora possiamo e dobbiamo recuperare.
Sappiamo che lo sciopero per il contratto nazionale è stato indetto dai sindacati che ci hanno “venduti”.
Ma è stato indetto anche dal sindacato di base, con relative iniziative (come potrete leggere sul retro).
Una delle partite che si gioca con questo contratto è quella dell’area contrattuale, che ci riguarda direttamente.
Il nostro futuro e il comportamento aziendale saranno anche determinati dalla nostra “inclinazione” alla lotta sindacale.
Ora siamo in mille e non in trentamila come quando eravamo “montepaschini”. Delegare gli “altri” non è più possibile.
Il 30 gennaio scioperiamo compatti!
CUB-SALLCA FRUENDO
DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB SALLCA
Anzitutto ricordiamo che il recente accordo sugli esodi riguarda MPS ed al momento nulla è previsto per Fruendo.
DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB SALLCA
E' stata avviata nel Gruppo MPS la procedura per la riduzione di organici di 1.334 risorse che matureranno i requisiti pensionistici entro il 30 novembre 2019. I sindacati trattanti hanno chiesto la volontarietà e la possibilità che sia valutata la possibilità di avviare procedure di esodo anche in Fruendo. La trattativa è alle fasi iniziali.
Nel frattempo, il 7 luglio, l'azienda ha dato il via libera alla possibilità di riscattare lo "zainetto previdenziale" (quanto accumulato per la previdenza integrativa aziendale) ai lavoratori di Fruendo che ne hanno fatto richiesta.
Il coinvolgimento di Alessandro Profumo nell’inchiesta sui derivati venduti a Divania ripropone l’interrogativo (che a quanto pare siamo l’unico sindacato a porsi) sull’adeguatezza del Presidente del Gruppo MPS rispetto al ruolo che riveste.
Ovviamente anche noi siamo garantisti e l’apertura dell’inchiesta non è sinonimo di colpevolezza, ma il problema è di opportunità e va oltre i risvolti giudiziari perché è indubbio che, nel periodo in cui Profumo ne era alla guida, il Gruppo UniCredit aveva spinto con forza sui prodotti derivati, piazzandoli in modo sistematico ben oltre le reali necessità che talvolta questi strumenti possono soddisfare.
Insomma, ci si chiede se chi aveva sostenuto politiche commerciali particolarmente aggressive sia oggi al posto giusto per risollevare le sorti di Monte Paschi.
DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB SALLCA
- Un comunicato dei sindacati del secondo tavolo dove sono riportate varie questioni che interessano i lavoratori esternalizzati.
- Ricordiamo che entro la fine di febbraio vanno inviate le lettere di impugnazione (che rialleghiamo) per garantirsi il diritto, entro i successivi 180 giorni, di presentare ricorso legale contro la cessione di ramo d’azienda. Il 19 febbraio è prevista l’udienza per il ricorso presentato a Siena dal prof. Alleva. Sarà un primo passaggio importante. E’ necessario mantenere alta la vigilanza e l’unità dei lavoratori di Fruendo.