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La più recente iniziativa della Direzione Regionale Piemonte (così almeno è stata presentata in alcune filiali Personal) lancia una vera e propria sfida al futuro e soprattutto al senso del ridicolo. Non basta più la reportistica giornaliera (quando non oraria), adesso dai lavoratori si pretendono capacità divinatorie.
Le disposizioni, talvolta orali, talvolta scritte (abbiamo le mail che conserveremo con cura) chiedono di prevedere quanto risparmio amministrato potrà essere trasformato in gestito, quante Gestioni Patrimoniali potranno essere smontate e convertite in nuovi collocamenti, quante polizze trasformate solo per fare nuove commissioni. Contestualmente vanno pianificati i collocamenti che si pensa di realizzare ogni mese fino ad ottobre. Le capacità di predire il futuro dei gestori, seppure strabilianti, non si spingono, evidentemente, oltre i 4 mesi.
Sospettiamo che le prossime campagne riguarderanno la proposta ai clienti di acquistare App (ovviamente a pagamento) dove i gestori faranno le previsioni del tempo e dell’oroscopo. Sarà anche per queste doti da prestigiatori e da maghi che presto verrà fatto pagare a parte il loro servizio di consulenza.
Vorremmo chiedere (senza polemica) cosa ne pensano i sindacati firmatari di questo nuovo salto di qualità nel pungolamento dei gestori.
L’accordo sulle pressioni commerciali, alla fine, prevedeva un solo esempio di comportamenti censurabili: la continua richiesta di report. L’azienda ha già chiarito (si vedano vari comunicati unitari) che non è vietata la reportistica (avevamo capito male), ma solo la sua “ridondanza”. Immaginiamo che, siccome l’accordo si riferiva alla reportistica a consuntivo (che i responsabili, volendo, possono verificare in ogni momento, senza bisogno di vari fogli excel), la reportistica futuristica resti al di fuori del perimetro dell’accordo stesso.
Resta il fatto che il “modello” imperante si riassume, sinteticamente, nell’incessante martellamento sugli obiettivi assegnati, la spasmodica insistenza sugli appuntamenti e nel taglio continuo delle postazioni di cassa. Il risultato finale è la crescente, deleteria e insopportabile esasperazione di lavoratori e clienti.
Ai consulenti possiamo dare per ora consigli concreti e pragmatici per fornire i dati richiesti: tirate i dadi e moltiplicate per un milione, per ogni prodotto che va nel monitoraggio. Saranno cifre inaffidabili, ma vi consentono di prendere tempo e farvi le ferie tranquilli. Farete un figurone, in linea perfetta con i manager strapagati che vi chiedono queste idiozie.
A questo punto però, e in modo più serio, ci rivolgiamo a tutti i lavoratori: fino a quando siete disposti a tollerare tutto questo? Aspettiamo vostri commenti e segnalazioni; noi, dopo l’estate, vi faremo delle proposte per reagire a questa situazione.
FERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE VOLONTARIA / PRESSIONI COMMERCIALI.
Molti colleghi ci stanno chiedendo dei chiarimenti per la compilazione dei piani ferie perchè stanno ricevendo “strane richieste” da parte dei vari Responsabili. Continuano inoltre ad arrivarci parecchie segnalazioni di forti pressioni commerciali. Per questi motivi riteniamo necessario precisare alcune questioni rimandando comunque il tutto ad un’informativa più completa, che vi faremo avere prossimamente.
FERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE:
Sulle ferie ormai l’Azienda, grazie anche ad accordi sindacali sottoscritti in questa banca, vuole tutto. Vuole che le ferie vengano esaurite tutte nel corso dell’anno (insieme alle ex-festività e permesso frazionato) e ora qualche responsabile troppo zelante pretende anche che si facciano nei periodi che gli sono più graditi.
RICORDIAMO PERO’ CHE I DIRITTI ALLE FERIE DEI LAVORATORI SONO SANCITI DAI CONTRATTI, che, nonostante vari peggioramenti degli ultimi anni, non consentono a NESSUNO di imporre o chiedere “regole fantasiose”, quali, ad esempio (sono solo alcuni casi che ci sono stati segnalati), percentuali di ferie da fare entro il primo trimestre o il secondo e così via. Inoltr e deve essere chiaro che NESSUNO può pretendere che in determinati periodi non si facciano ferie e magari indicarne altri in cui sarebbe meglio farle.
Quindi vi invitiamo con forza a segnalarci immediatamente eventuali situazioni del genere.
Ci preme inoltre sottolineare due questioni che ci paiono particolarmente importanti per i lavoratori, restando naturalmente sempre a disposizione per tutti gli altri eventuali dubbi o richieste di chiarimento.
Per quanto riguarda i 3 giorni di ferie fruibili anche a ore, dovete ricordarvi che non è obbligatorio inserirli da subito nel piano ferie. Proprio perchè possono essere fruiti a ore non devono essere programmati necessariamente già adesso.
Per la fruizione a ore delle ferie è richiesto un preavviso di 48 ore. Inoltre sono fruibili anche nelle giornate semifestive. Quindi consigliamo, chi avesse in programma dei giorni di ferie in giornate semifestive, di utilizzare quelle ore, qualora non avesse disponibilità di banca ore.
Per quanto riguarda i giorni di sospensione volontaria, è molto importante ricordare che, se non vengono interamente fruiti nel corso dell’anno di competenza, l’Azienda può procedere alla sostituzione d’ufficio delle causali di assenza al fine di esaurire prioritariamente le ferie e i permessi ex-festività dell’anno, nonchè i residui di banca ore in scadenza dell’anno.
PRESSIONI COMMERCIALI:
La questione è indubbiamente estremamente delicata e l’impressione generale è che si sia alla mercè delle politiche commerciali dell’Azienda. Ma non è proprio così, perchè restano degli aspetti che è possibile “difendere”.
Ad esempio l’Azienda ha più volte ribadito che non vuole, da parte dei vari Responsabili, che ai singoli colleghi vengano richiesti report giornalieri sull’andamento delle vendite dei vari prodotti. Per questo vi invitiamo a segnalarci immediatamente eventuali richieste di questo genere.
Inoltre deve essere chiaro che nel caso in cui non si riesca a rispettare la asfissiante richiesta aziendale dei 5 o 6 appuntamenti giornalieri NESSUNO PUO’ ESSERE SANZIONATO; allo stesso modo, non costituisce violazione disciplinare non raggiungere il budget o altri obiettivi.
Al contrario, l’Azienda sanziona frequentemente ed implacabilmente tutti quei colleghi che, magari per forzare la vendita di prodotti, non rispettano la normativa e violano le procedure stabilite.
Sappiamo benissimo, in quanto le viviamo noi stessi ogni giorno, che le pressioni sono pesanti e continue, però è fondamentale sapere quelli che sono i propri legittimi diritti e che, se lo si vuole, è possibile esigerli ed opporsi collettivamente al degrado delle condizioni lavorative.
Dunque restiamo a vostra disposizione per tutte le eventuali segnalazioni di irregolarità.
Torniamo a riflettere sul tema della crisi delle banche in Italia.
Lo spunto ci viene da due contributi:
A ben vedere, questi due contributi, che sono presentati a titolo personale dagli autori, rimandano alla grande questione rimasta irrisolta nell’ultimo rinnovo del contratto nazionale: il modello di banca. Un modello che i banchieri, imperterriti, continuano a riproporre da anni, come se nulla fosse successo, solo in termini di tagli dei costi (solo i nostri, naturalmente) e di politiche commerciali aggressive e insostenibili.
Invitiamo tutti/e ad un’attenta lettura: in gioco c’è il futuro del sistema bancario italiano ed il ruolo professionale dei lavoratori e delle lavoratrici del settore. Dobbiamo avviare una grande riflessione collettiva su questi temi.
Chi non ha paura non è coraggioso, è cieco. (Roberto Gervaso)
Con notevole sincronismo e una buona dose di ironia si sono susseguite sul portale due serie di informazioni, in realtà relative allo stesso argomento: ovvero l’anno 2015.
In primis i risultati, presentati con gran fanfara martedì scorso e ribaditi a più riprese nonostante inquietanti debacles in borsa (ma è successo a tutti, è solo speculazione, ed è chiaramente tutto finito…). Sembra che UniCredit abbia portato a termine degli autentici miracoli, la “Rete con la R maiuscola” ha fatto utili, nuovi clienti, raccolto masse, erogato fidi, intermediato immobili, venduto polizze RC auto e chi più ne ha più ne metta. Citiamo testualmente: “tutto ciò ci deve rendere fieri di appartenere a questa grande squadra” (il neretto è in originale).
Poi si volta pagina e si legge dell’accordo sottoscritto (a loro dire) dopo estenuanti trattative dai sindacati firmatari. In effetti a giudicare dal numero di firme e sigle che coprono quei poveri fogli martoriati (se ne contano circa una cinquantina) i delegati devono essersi portati dietro amici e parenti in discreto numero per dar manforte.
Quale premio abbiamo avuto per questi brillanti risultati? Per cominciare, un ulteriore rinforzo del concetto che siamo in troppi. Dobbiamo essere fieri di appartenere a questa grande squadra, che però lascerà a casa 2700 (altre) persone nel giro di breve tempo. Si tratta di esodi incentivati e non di licenziamenti, e mille grazie: ancora non ci risulta che sia così semplice.
Divertente poi parlare di “ricambio generazionale” nel momento in cui si paventano 700 assunzioni, perchè se la matematica non è un’opinione continuano a mancare 2.000 risorse all’appello. Ma si sa, ormai i clienti fanno tutto da casa: chi li vede più in Agenzia? meno male che i call center fissano appuntamenti altrimenti si morirebbe di noia.
Dove la farsa comincia però a diventare di cattivo gusto è in ambito di premio aziendale. Va dato atto ai sindacati trattanti di avere, per la prima volta nella storia, esaminato il problema con qualche mese di anticipo e non lasciandoselo rimandare a chissà quando; ma i loro meriti si fermano qui, perchè se è vero che la Banca ha stravinto su ogni linea non si capisce come mai un premio già striminzito debba essere ridotto ulteriormente, oltretutto con una fastidiosa discriminazione per chi, per sua perversione mentale, lo volesse in contanti. 840 euro il premio (lordo) appena erogato a novembre in busta, contro 650 euro sempre lordi che prenderemo a giugno, per una perdita secca di 190 euro; per l’erogazione in conto welfare si passa da 1140 a 1000 euro, con una perdita di 140 euro che è ancora inferiore proporzionalmente. Sarà divertente vedere come questo concetto sarà applicato, per chi dovesse ancora riscuotere, al premio per il 25°, dove parliamo di cifre ben più sostanziose.
Leggiamo poi che ci verrà elargito un tablet; non si sa di che marca, non si sa che modello e soprattutto non si sa chi l’abbia chiesto. Evidentemente non siamo così bravi a venderne e ne sono avanzati molti. Il fine sicuramente è nobile (incentivare i dipendenti a digitalizzarsi), ma presumiamo che chi fosse interessato abbia già provveduto da sè.
Come al solito non una parola su inquadramenti e situazione disastrosa della rete. Non una parola sulle pressioni commerciali, che si annunciano già da inizio anno devastanti (e la chiusa del commento ai risultati è significativa: abbiamo fatto trenta, dobbiamo fare CINQUANTA!). Indubbiamente di coraggio ne hanno molto. Forse sarebbe il caso che ne avessimo un po’ di più anche noi.
Siamo a disposizione dei colleghi che, rientrando nelle casistiche relative agli esodi, desiderassero chiarimenti.
Come ogni anno è di scena l’assegnazione da parte dei Responsabili degli obiettivi. Quest’anno è stata introdotta una novità: ogni dipendente sarà valutato anche sul rispetto delle norme regolamentari, policy e linee guida, con un’attenzione ad alcuni temi rilevanti quali l’Antiriciclaggio, la Privacy, i Rischi Reputazionali, la Formazione Obbligatoria…
In pratica la solita comunicazione stile Unicredit, che vuol dire tutto e nulla.
Solo per le policy di Gruppo parliamo di centinaia di documenti, alcuni caricati a portale solo in inglese, che per il semplice fatto di essere stati redatti, l’Azienda da’ per scontato siano “patrimonio dei lavoratori”.
Da quest’anno perciò la valutazione effettuata dal Responsabile sarà integrata anche con la valutazione della nostra condotta.
Appare a tutti evidente che questa discutibile scelta aziendale stride e si scontra con le difficoltà di chi quotidianamente vive e si trova ad operare nel Gruppo.
Sembra quasi che l’Azienda voglia adottare il ben noto modello del “bastone e della carota”, metodo però che si adatta più alle bestie da soma che ai lavoratori!
Dunque saremo valutati anche sui corsi obbligatori, però la news al portale non ci rassicura se tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori del Gruppo, saranno messi nelle condizioni di poterli svolgere. Sul tema “corsi on line” lo scorso 9 dicembre è stato siglato un accordo con l’Azienda che deve ancora entrare a regime e la cui efficacia sarà oggetto di valutazione congiunta tra azienda e sindacati firmatari nella seconda metà dell’anno. Perché quindi inserire questo tema tra quelli oggetto valutazione? Una scelta che ci preoccupa non poco.
Ricordiamo all’Azienda che la formazione non è un obbligo, ma un diritto dei lavoratori, quindi vigileremo affinché l’azienda rispetti la dignità e la professionalità dei lavoratori del Gruppo.
Ci impensierisce anche la generica dichiarazione dell’azienda di conoscenza delle policy e normative interne; quelle norme che l’Azienda stessa per prima è pronta a violare per opportunismo ed esigenze di business. Una contraddizione che, come sempre, va a danno dei lavoratori.
Come si sposa per esempio la valutazione dei lavoratori della rete a fronte di pressioni commerciali sempre più esasperanti e con l’arroganza di alcuni responsabili riguardo la richiesta dei risultati di budget e nell’interpretazione “creativa” di alcune normative? Una allarmante mancanza di conoscenza delle regole che conferma, oltre che una strafottenza senza precedenti, anche una mancanza di preparazione di alcuni responsabili che pretendono di far passare per lecito ciò che lecito non è.
Se una valutazione del rispetto delle regole viene fatta sul lavoratore, allora noi chiediamo che per reciprocità debba essere concesso al lavoratore un’analoga valutazione nei confronti dei responsabili.
Quante pressioni vengono fatte sui lavoratori in palese violazione della normativa nazionale di categoria su ferie e malattie? O sulla pianificazione di riunioni in pausa pranzo o al di fuori del normale orario di lavoro?
Quando le lavoratrici ed i lavoratori di Unicredit potranno valutare l’Azienda sull’assenza di pratiche messe in atto per fronteggiare lo stress lavoro correlato?
Appare perciò chiaro che il sistema di valutazione oggi in essere non ci soddisfa, è troppo il “libero arbitrio” che l’Azienda lascia ad ogni responsabile. I lavoratori di UniCredit hanno da tempo perso la serenità a lavorare in questo Gruppo, è ora di cambiare le regole!
Il tema di questo numero potrebbe essere lo stress lavorativo, quello che l’azienda nega ci sia nel nostro gruppo e che, a fronte degli approfondimenti richiesti dall’Asl di Rivoli, a seguito del nostro esposto, l’ha indotta a chiedere la collaborazione dell’Università di Milano.
Come riportato in un recente comunicato degli RLS, apprendiamo che “l’indagine, commissionata all’Università di Milano, si è conclusa “non rilevando criticità’’ riguardo la salute psicofisica dei lavoratori, ma una “moderata presenza di ansia sul lavoro sperimentata da gestori e assistenti alla clientela, verosimilmente legata alla fase di adattamento al nuovo modello di banca”.
L’esito dello studio (che vedremo se soddisferà le richieste avanzate dall’Asl) ci lascia un attimo perplessi (per così dire). Sebbene nessuno dubiti della serietà professionale dell’Università di Milano, non possiamo non rilevare come la storia della collaborazione tra la stessa ed Intesa sia di lunga durata e si sia snodata attraverso studi e convegni organizzati congiuntamente. Cose normali, nel paese dei conflitti d’interesse, per cui non ci preoccupiamo e restiamo in fiduciosa attesa.
Nel frattempo vi proponiamo due contributi che confermano che lo stress lavorativo nel Gruppo Intesa Sanpaolo non esiste.
Il primo è uno scambio di mail tra due gestori di Filiali Personal. L’abbiamo trovata davvero interessante e gli autori ci hanno autorizzati a pubblicarlo.
Il secondo è di un assistente alla clientela, già autore della divertente storiella di Rag e Raz. Con questo contributo il collega conferma che la sua vena letteraria è sempre feconda e rappresenta bene quello che avviene nelle filiali.
SCAMBIO DI MAIL TRA COLLEGHI DI FILIALI PERSONAL
Colgo l’occasione per segnalarti una curiosità: premesso che da oltre un anno contesto il fatto che tra i collocamenti vi siano esclusivamente prodotti che aumentano il rischio di portafoglio dei ns clienti ( ma soprattutto aumentano la redditività dell’azienda ) e che prima o poi ci saremmo ritrovati a fare i conti con l’oste ( infatti basta vedere in questi giorni che siamo tempestati di telefonate e visite non programmate di clienti allarmati che scoprono che gli investimenti effettuati da marzo 2015 ad oggi non ce n’è uno che abbia mantenuto il valore iniziale ), ma la poca lungimiranza e l’avidità delle funzioni commerciali ha sistematicamente spinto per questo tipo di prodotti; come accennavo è curioso il fatto che le polizze Ramo I ( Base Sicura ) da febbraio 2015 NON sono state più inserite tra i prodotti da spingere nonostante offrano redditività simile a certificates e unit ! Abbiamo a ns mani budget volumetrici con richieste monster su tutto e ZERO su Ramo I, anzi …… ci sono pervenuti più volte elenchi di clienti possessori di codesto ed unico investimento di difesa in cui veniva richiesto di smontare tutte le edizioni passate di ramo I per “riqualificare” ( per chi ? ) le somme rivenienti. Come vorrei far parlare codesti geni con i nostri clienti in crisi esistenziale, invece o sono silenti o si limitano a farsi vivi in videolync lamentandosi dei deludenti dati provenienti dai collocamenti o ci girano video aziendali dove gli strateghi di turno continuano a fornire rassicurazioni a cui nemmeno loro credono più o discorsi altisonanti da passerella di inizio anno !
Mi riconosco in pieno in quello che dici, in effetti la storia del 2015 è tutta concentrata in questo: prendere gli investimenti più conservativi dei clienti e buttarli dentro la fornace dei prodotti “qualificati”. E l’hanno chiamata riqualificazione del gestito!
Bisognava fare esattamente l’opposto: prendere tutti i prodotti azionari e obbligazionari che avevano raggiunto il massimo a marzo 2015 e parcheggiarli in prodotti conservativi in attesa dello storno.
Mi ricordo una riunione dove uno di Eurizon spingeva tutti i consulenti a convertire le gestioni monetarie o tranquille in una nuova linea che aveva il pregio di avere il monetario quasi a zero. Bei risultati!
La cosa più imbarazzante sono i fondi flessibili: sono sotto (a volte anche di molto), non rendono un fico, hanno commissioni di uscita elevate. Praticamente sei prigioniero del nemico…
Poi anche il tempismo sui certificati è stato notevole: emettevano sul petrolio quando era a 50 dollari, adesso è a 30 e punta ai 20….
E che dire dei titoli del lusso, presi ai massimi, o dei cambi delle valute emergenti tipo lira turca?
A volte c’è veramente da vergognarsi di fare questo lavoro….E soprattutto di doverlo fare in questo modo!
Ritaglio di Riteil – Customer Satisfaction
Dopo un’ora abbondante di attesa, la signora Razdori si siede sbuffando nella seggiola dall’altra parte della mia postazione. Incautamente provo a “buttarla” sul ridere:
«Buongiorno Signora Razdori, abbiamo in previsione una prova di uscita in emergenza, sa . . . in caso di incendio o di terremoto . . . »
«Non faccia lo spiritoso, Ragioniere! Altro che uscita! Qui l’ emergenza è all’ entrata: sono accampata qui da due ore. Mi addebiti questa tassa che poi me ne vado. Ho fretta!»
«Ecco signora Razdori . . . . ., vedo che lei ha un contratto multicanale e . . . »
«Che cos’ho io? Di cosa va blaterando??»
«No, dicevo, un contratto di “internet banching”. Lei potrebbe pagare l’ effeventiquattro da sola tramite il canale di internet. Se vuole la assisto usando la nostra postazione qui in filiale»
«Ah, parla di quella cosa che mi ha fatto firmare Giovanna due mesi fa? Senta Ragioniere, tutto quello che mi propone mi fa solo perdere tempo. Sono già un po’ alterata: mi passi questo F24 e finiamola qui. Sa come si dice in Veneto? “Peso el tacòn del buso”. Ecco: lei è la dimostrazione vivente di questo proverbio. Ho fatto proprio bene a darle ZERO. Ma evidentemente non è servito a nulla, perché lei è ancora qui.»
Nel frattempo sopraggiunge la direttrice. Tacco alto e passo di carica: sembra un battaglione di cosacchi a cavallo. Si piazza alle mie spalle e chiede: «E quello dove va?»
«Quello chi?» Rispondo io.
«QUELLOOO!» Indicandomi sul monitor un cliente ripreso dalla telecamera mentre si avvicina a una porta interna.
«Ah, il signor Ghiandoli. Sa, soffre un po’ di prostata e sta andando in bagno»
E la direttrice:«Un po’? Ma se è già la seconda volta che ci va! E poi, chi gli ha dato il permesso di usare i nostri bagni?»
«Gliel’ho detto io. Però va in quello dei maschi. Se uscisse dalla filiale perderebbe il posto in fila e non riusciremmo mai a concludere un’ operazione. Sa, la sua autonomia è inferiore al tempo d’attesa . . . . »
«Vabbè, ne parliamo poi. Intanto vediamo di darci una mossa» conclude la direttrice allontanandosi sempre a passo di carica.
La signora Razdori non perde l’occasione per infierire:«Ha sentito la direttrice? Nell’ attesa mi sono letta tutto il giornale, ma temo che non basti più. La prossima volta mi porterò “Guerra e Pace”»
«Scusi signora Razdori , ma temo di non capire: cosa significa che mi ha dato ZERO?»
«Ma sì. Mi è arrivato un esseemmeesse dal vostro servizio di “Castomer sadisfecscion” e io, pensando a lei, ho dato ZERO. Perché sorride adesso?»
«Ecco, vede signora Razdori, il suo gestore è Giovanna e nell’ esprimere la sua insoddisfazione, lo Zero lo ha affibbiato a Giovanna anziché a me. Adesso mi spiego perché Giovanna sia stata trasferita da un giorno all’ altro e apparentemente senza alcuna motivazione.»
«NO! GIOVANNA NO!» Conclude la signora Razdori con le mani nei capelli.
Ottenute le necessarie autorizzazioni da parte dell’Autorità di Vigilanza (la Covip), lunedì 11 gennaio si è insediato il Consiglio di Amministrazione del Nuovo Fondo Pensioni di Gruppo che ha innanzi tutto provveduto alla nomina delle cariche istituzionali (presidente, vicepresidente, direttore generale, ecc…).
Ma quanti e chi sono i consiglieri cui è affidata la gestione della nostra previdenza integrativa in una fase di trasformazione strutturale così delicata? Sono venti, dieci di nomina aziendale e dieci di nomina sindacale.
L’hanno deciso con gli accordi di ottobre le cosiddette “fonti istitutive” che ricordiamo sono, con ferrea conventio ad excludendum, l’azienda e i sindacati firmatari di contratto.
Nel frattempo, i Consigli e le Assemblee dei Delegati dei fondi che confluiranno nella nuova entità vedranno progressivamente ridursi il loro ruolo fino ad autocertificare la propria scomparsa. Saranno così soppressi organismi che, per la metà riservata ai lavoratori, sono composti da eletti, in certi casi anche solo da pochi mesi (gli iscritti al Fondo Sanpaolo IMI ricorderanno certamente la doppia faticosa elezione di primavera). Fin qui, verrebbe da dire, nulla di nuovo.
E’ dalla lettura dell’elenco dei nominati di parte sindacale che invece emerge una succosa novità. Solo nove di essi, infatti, sono esponenti dei sindacati firmatari mentre il decimo è Gian Paolo Gallizio membro del CdA del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI e rappresentante della CUB-SALLCA.
Ma che cos’è successo? Un refuso, un imperdonabile errore, un tradimento?
Niente di tutto questo ma per spiegarlo bene occorre tornare indietro di qualche puntata.
Nel 2010, le modalità di costituzione del Fondo Sanitario Unico di Gruppo hanno rappresentato, probabilmente, uno dei punti più bassi mai raggiunti a livello aziendale sul terreno della democrazia e trasparenza sindacale (e non è facile viste le tante nefandezze compiute nel tempo…).
La soppressione di fatto dei consigli delle preesistenti casse sanitarie (secondo il canovaccio che abbiamo sinteticamente descritto prima) avvenne in maniera arrogante ed affrettata. Lo Statuto della Cassa Intesa (che prevedeva un referendum tra gli iscritti) non fu rispettato e ciò ha provocato un contenzioso legale ancora aperto e che, per il momento, ha visto soccombere le “fonti istitutive”. L’architettura del nuovo Fondo (decisa in splendida autonomia da vertici aziendali e sindacali) penalizzò fortemente gli iscritti “anziani”, già pensionati o prossimi ad esserlo, che ancora oggi si battono per soluzioni maggiormente equilibrate. Sul piano sindacale, anche il Sallca (e i lavoratori che ci avevano dato fiducia con il loro voto) furono pesantemente danneggiati: il nostro eletto nella Cassa Sanpaolo (guarda caso l’unico a votare contro il processo di unificazione) venne cancellato con un tratto di penna. Ci sono voluti quattro anni perché si tenessero nuove elezioni e il sindacalismo di base (sempre grazie al consenso dei lavoratori) potesse tornare a svolgere il proprio ruolo nel nuovo Fondo sanitario.
Quando, a fine 2014, l’Azienda ha fatto capire di voler procedere con determinazione sulla strada del processo di unificazione anche dei fondi previdenziali (quanto meno di quelli a contribuzione definita) abbiamo subito detto che non avevamo preclusioni “ideologiche” al progetto ma che non avremmo accettato supinamente soluzioni affrettate che riservassero alla sola azienda (e non anche ai lavoratori iscritti ai Fondi) i possibili vantaggi economici dell’operazione e non fossero totalmente rispettose di un percorso democratico anche sotto il profilo del pluralismo sindacale.
Insomma, per evitare il ripetersi della “storiaccia”, avremmo usato tutti i mezzi a nostra disposizione (maggiori rispetto a quelli utilizzabili nella vicenda del fondo unico sanitario) con la forza derivante dal supporto che i lavoratori ci avevano sempre manifestato e l’autorevolezza acquisita in anni di presenza e di lavoro negli organismi dei fondi previdenziali di matrice sanpaolina.
In una prima fase i sindacati firmatari si sono limitati a dire che non avrebbero assecondato passivamente le tempistiche aziendali e che (questa volta) sarebbero state rispettate le norma statutarie ed i regolamenti dei vari fondi interessati (sic !).
La vera svolta, secondo noi, sono state le elezioni della primavera scorsa per il rinnovo degli organi collegiali del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI.
Nei nostri volantini di propaganda, infatti, abbiamo chiesto con molta chiarezza ai lavoratori di darci la maggior forza possibile non solo per proseguire il lavoro svolto nei precedenti mandati ma, soprattutto, per poter sorvegliare e condizionare, in modo efficace, il percorso di unificazione dei fondi previdenziali che stava, proprio allora, partendo in sordina.
I risultati elettorali dovremmo averli bene in mente ancora tutti. Per la prima volta la Cub-Sallca è riuscita a mandare, non uno, ma due propri rappresentanti in CdA (su sette di parte elettiva) e tutte/i le/i nostre/i candidate/i per l’Assemblea dei Delegati sono stati elette/i e tra i più votati in assoluto, sia per quanto riguarda le Aree Professionali che i Quadri Direttivi.
Inoltre, ha molto colpito il fatto che tale risultato sia maturato dopo la sciagurata ripetizione del voto (per gravi pasticci procedurali), un evento che avrebbe dovuto penalizzare un’organizzazione come la nostra esclusivamente basata sul lavoro volontario e priva di agibilità sindacali riconosciute dalle aziende. E invece, probabilmente, è successo proprio il contrario, poiché noi ed i nostri elettori abbiamo dimostrato ancora maggior determinazione, interpretabile anche come particolare attenzione alle sorti del risparmio previdenziale dei lavoratori.
Tanto per chiarire ulteriormente le posizioni del Sallca, nel corso della riunione d’insediamento del nuovo CdA del Fondo SanpaoloIMI, i nostri due rappresentanti (la cui dichiarazione è stata poi ripresa in un nostro volantino diffuso in categoria) hanno auspicato “che si sia fatto tesoro degli errori compiuti nel processo di unificazione degli enti sanitari del gruppo e che stavolta il processo sia realmente inclusivo e preveda la partecipazione di tutte le forze sindacali rappresentative degli iscritti. E’ ovviamente inaccettabile che alcune forze sindacali che hanno una rappresentatività da numeri decimali partecipino alla costituzione del Fondo Unico solo perché firmatari di CCNL mentre altre forze, ben più radicate nelle diverse realtà, non possano svolgere quel ruolo di rappresentanza per il quale gli iscritti si sono chiaramente espressi”.
Insomma, il mandato ancora una volta ricevuto da migliaia di colleghi non poteva essere né tradito, né eluso.
E così questa volta è stato.
Le fonti istitutive, infatti, hanno riconosciuto la legittimità delle nostre richieste ed accettato di inserire un nostro rappresentante nel CdA del nuovo Fondo ed un altro nella costituenda Assemblea dei Delegati.
Naturalmente, enunciato il principio, non sono poi mancati passaggi complicati dovuti al fatto che il Sallca, per l’azienda, formalmente “non esiste” e, parallelamente, i nostri rapporti con i vertici sindacali non sono certo idilliaci. E tuttavia quando un obiettivo è chiaro e condiviso le soluzioni tecniche si trovano sempre e così è avvenuto.
Dal punto di vista dei nomi, la nostra scelta è stata quella di indicare Gian Paolo Gallizio (rieletto a giugno nel CdA del Fondo Sanpaolo Imi) per il Consiglio di Amministrazione e Renato Strumia per l’Assemblea dei Delegati (organismo per il quale, sempre l’anno scorso, era risultato il più votato in assoluto tra i quadri direttivi). Pur entrando a far parte di un consesso di “nominati”, abbiamo quindi cercato di rispettare (per quanto possibile) il voto dei nostri elettori.
Crediamo sia opportuno sottolineare che, per un sindacato di base “non firmatario di contratto” e quindi “non riconosciuto”, quanto successo rappresenta un fatto assolutamente inedito nella storia del nostro settore e forse in assoluto.
Un risultato che è per tutti noi un motivo di grande soddisfazione in quanto rappresenta un riconoscimento del nostro ruolo e del grado di rappresentatività reale della nostra organizzazione, nonché un apprezzamento per le competenze dei nostri rappresentanti.
Per questo ci sentiamo di dedicarlo in primo luogo alle colleghe ed colleghi che, negli anni, hanno accettato le nostre proposte di candidatura (talvolta come indipendenti) e soprattutto a quelli che lo hanno fatto nei primi anni, quando “metterci la faccia” era ancora più difficile (e si perdeva pure…).
E, comunque, come abbiamo cercato di spiegare con questo volantino, un simile esito della vicenda non sarebbe mai stato possibile se così tante e tanti lavoratrici e lavoratori non ci avessero dato e confermato ostinatamente il loro consenso in molte successive occasioni.
Ennesimi ringraziamenti, quindi. Anche se pensiamo che, questa volta, sia più importante, da parte nostra, rafforzare in chi ci ha sostenuto la consapevolezza di aver contribuito, con il proprio comportamento, a vincere una battaglia collettiva (una volta tanto !!) di forte impatto sia sul terreno della democrazia sindacale sia su quello della tutela concreta degli interessi dei lavoratori.
Restiamo infatti assolutamente convinti che la presenza negli enti del welfare aziendale di consiglieri e delegati espressione del sindacalismo di base (certo competenti ma anche critici e indipendenti rispetto a vertici aziendali e segreterie sindacali e pronti a denunciarne eventuali accordi al ribasso) sia un risultato utile per tutti. Anche per chi diserta le urne o non ci vota perché non condivide le nostre idee o, più probabilmente, non ci conosce.
Di qui in avanti si apre una nuova fase della quale non ci nascondiamo le difficoltà sia di carattere “sindacale” sia di natura tecnica. Non sarà facile, infatti, riuscire a trasferire nel “nuovo fondo” le prassi operative, le flessibilità di scelta, i livelli di informativa e di trasparenza amministrativa che siamo riusciti faticosamente a conquistare (certo non da soli ma con un apporto determinante) in anni di battaglie dentro e fuori le “stanze dei bottoni” degli enti previdenziali dell’ex gruppo Sanpaolo.
Ma almeno, se ci saranno problemi, ve lo potremo far sapere con cognizione di causa.
Abbiamo atteso un po’ di tempo per commentare il recente giro di assemblee sugli accordi di secondo livello. Aspettavamo un comunicato delle sigle firmatarie, che fornisse i dati nazionali, ed il 20 gennaio è arrivato: uno scarno commento, con dati disaggregati per macroregioni, che comunica l’approvazione degli accordi con l’86% di favorevoli su una platea di 14.561 votanti.
Qualche confronto con i dati in nostro possesso sulla provincia di Torino è utile per un’analisi più approfondita.
Il risultato più in linea con quello nazionale è quello del Centro Contabile di Moncalieri: i dati a nostra conoscenza ci parlano di 130 favorevoli, 6 contrari e 3 astenuti, con una partecipazione al voto abbondantemente al di sotto del 10%!!!
Sconcertante il modo di condurre le assemblee sulla rete filiali.
Nella prima assemblea tenutasi sull’Area Torino è stato annunciato dai sindacalisti presenti al tavolo che l’assemblea non aveva alcun potere decisionale, che gli accordi erano già operativi e che il voto finale avrebbe solo misurato il gradimento dei lavoratori.
In un crescendo di dichiarazioni, pochi giorni dopo, in un’altra assemblea è stato ulteriormente precisato che, come previsto dal contratto nazionale, se gli accordi di secondo livello vengono firmati da sindacati che rappresentano il 51% degli iscritti la questione è chiusa e le assemblee sono solo una gentile concessione.
Visto che ormai le assemblee sono “per conoscenza”, in tre concentramenti della cintura torinese, Orbassano, Rivoli, Moncalieri (dove peraltro il dibattito non aveva espresso un grande entusiasmo per gli accordi sottoscritti) alla fine è stato deciso di non votare neppure.
Ovunque si è assistito ad un tentativo di tirare in lungo le assemblee, favorendo la “fuga” dei colleghi dopo una certa ora e lasciando a votare un numero di lavoratori piuttosto esiguo.
Nonostante tutto questo, il “plebiscito” a favore delle slides aziendali, mascherate da accordo sindacale, non è riuscito, perlomeno a Torino città, dove i voti favorevoli hanno superato i contrari di una manciata di voti e, comunque, sono rimasti abbondantemente sotto il 50%.
Questo esito, ovviamente, non dipende dal fatto che i colleghi di Torino sono “geneticamente” diversi dal resto d’Italia, ma solo dall’opportunità di poter sentire, in quasi tutte le assemblee, una voce di dissenso, grazie alla presenza diffusa dei nostri quadri sindacali sulla piazza.
A riprova di questo, il risultato della provincia di Torino (dove la nostra presenza è meno capillare) vede un 70-80% di voti favorevoli (i dati in nostro possesso sono incompleti), peraltro inficiato dal numero di votanti molto basso, anche per il non voto dei tre concentramenti, già ricordato.
Questi episodi diventano ancora più significativi considerando che, soprattutto in provincia, le campagne di tesseramento dei sindacati firmatutto si basano sulla necessità di raggiungere gli 8 iscritti, su alcune piazze, per poter costituire la RSA e ottenere il diritto a poter fare le assemblee.
Abbiamo assistito ad un brutto spettacolo, dove la democrazia è sostituita dalla presunzione di rappresentanza derivante dal numero di iscritti dei sindacati al tavolo: il meccanismo (peraltro previsto dagli ultimi contratti nazionali) è che la firmadeisindacaticonilmaggiornumerodiiscrittivalepertuttienonpuòessere messain discussione.
E allora tanto vale prenderli sul serio: la scelta del sindacato cui iscriversi deve essere fatta in modo responsabile.
La nostra polemica sugli accordi firmati sotto dettatura è confermata dai fatti, visto che è esattamente quello che è successo con la contrattazione di secondo livello e non viene più nemmeno nascosto.
Tutti possono verificare, guardando la busta paga, come gli aumenti (futuri) dell’ultimo contratto nazionale siano finanziati dal taglio (immediato e retroattivo) su TFR e previdenza integrativa.
Per tornare agli accordi aziendali, tutti possono rendersi conto come, mano a mano che si viene a conoscenza della classificazione della complessità di filiali e portafogli, si manifesti la piena discrezionalità aziendale.
Non parliamo poi delle pressioni commerciali: vi pare sia cambiato qualcosa?
Ancora una volta emerge l’esigenza di un sindacato che rappresenti una posizione autonoma dei lavoratori e non subisca semplicemente l’iniziativa della controparte e che sia presente, in modo organizzato, su tutto il territorio nazionale.
Iscriversi alla Cub Sallca e partecipare attivamente alle nostre attività è la strada percorribile da chi non è più disponibile ad accettare questo stato di cose.
Lettera aperta a Gianluigi Robaldo (Relazioni industriali UCI) ed Antonio Beraldi (Relazioni industriali Ubis)
E’ triste ammetterlo ma Unicredit non smetterà mai di stupirci. In negativo ovviamente.
Non risparmia neppure la formazione obbligatoria. Da un lato ribadisce “l’importanza dell’attività formativa in oggetto, in termini di rischi legali, operativi e reputazionali per la nostra azienda” (sono parole dell’Azienda stessa) e dall’altra non rende pienamente fruibili i corsi medesimi.
E’ di questi ultimi giorni la segnalazione ricevuta da alcuni colleghi di UBIS in merito alla fruizione di corsi OBBLIGATORI e disponibili in sola lingua inglese, corsi (con tanto di test finale) distribuiti a pioggia senza neppure preoccuparsi di valutare se i destinatari abbiano una conoscenza della lingua e dei termini tecnici utilizzati tali da poterne beneficiare appieno.
Tutto ciò, oltre ad essere improduttivo, è umiliante e mortificante per le lavoratrici ed i lavoratori che, loro malgrado, non ne possono fruire (cosa che fra l’altro stride con le dichiarazioni aziendali che riferiscono di una riduzione delle ore di formazione linguistica e con l’Art. 2 del Protocollo 28.06.2014 sulle prospettive di rilancio connesse al Piano Strategico 2018). Se a questo poi aggiungiamo il richiamo formale che manager e capi struttura fanno ai lavoratori, la frittata è fatta.
Noi diciamo che un conto è conoscere una lingua straniera, scrivere magari una mail ai colleghi d’oltralpe, altro è sostenere corsi ed esami.
L’atteggiamento di UniCredit è tranchant: l’inglese è utile, internazionale, indispensabile, moderno, in una parola “cool” e quindi tutto quello che si fa in inglese va bene. Poco importa se l’obiettivo che ci si pone di raggiungere sia o meno realizzabile.
Per noi invece ciò è inaccettabile.
E’ quindi palese che UniCredit non crede nell’importanza della formazione e nella crescita professionale dei propri lavoratori (non a caso si investe massicciamente nella consulenza esterna) e non riconosce che le capacità professionali costituiscono un patrimonio fondamentale per i lavoratori e le lavoratrici e per l’efficienza e la competitività del Gruppo.
Per Unicredit, la formazione è solo un abbellimento, una targhetta da inserire in un curriculum o magari un semplice adempimento di legge: la forma è più importante della sostanza. Sbarazziamoci degli equivoci: internazionalizzazione non significa “inglesizzazione”, soprattutto quando si parla di formazione.
Ribadiamo: la formazione è un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che un’opportunità ed un vantaggio per il Gruppo. Inoltre è opportuno ricordare ai lavoratori che per l’Azienda lo svolgimento dei corsi comporta automaticamente la comprensione ed applicazione di tali tematiche nell’attività lavorativa, scaricando quindi ogni responsabilità per eventuali violazioni in capo al lavoratore.
Chiediamo perciò all’Azienda che si adoperi da subito a rendere pienamente fruibili i corsi a tutte le lavoratrici ed i lavoratori rendendoli disponibili in italiano, evitando altresì i richiami formali a tali adempimenti. Invitiamo tutti i colleghi a non farsi intimidire dai propri responsabili ed a pretendere che la propria professionalità non venga svilita.
Non vorremmo che domani, ove fossero eventualmente mutati i rapporti di forza nel mondo, i nostri illuminati manager ci obbligassero a tenere corsi in cinese od in arabo.