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INTESA SANPAOLO – TUTTI IN ASSEMBLEA A DIRE LA NOSTRA!

crfi1Anche nella nostra area stanno partendo le assemblee relative agli accordi di secondo livello che, dopo mesi di ‘dura e massacrante’ contrattazione sono stati miracolosamente siglati, in una notte ‘buia e tempestosa’.

VAP, percorsi professionali, pressioni commerciali….. tanta era la posta in gioco e i dati relativi al 2014, uniti alle dichiarazioni del CEO riguardanti i risultati al 30/09/2015, lasciavano presagire qualche spiraglio positivo nella contrattazione; nulla di trascendentale intendiamoci ma se non altro un decente recupero, quantomeno economico, di quanto tolto da un contratto nazionale svuotato eccessivamente in ottica di tutela della categoria, dove le crisi aziendali sono, quasi sempre, generate dalla malagestione dei top manager e sempre pagate dai lavoratori.

Diciamolo, da una banca che distribuisce miliardi di dividendi e molti di più ne promette visto l’andamento, che ha un gruppo di lavoro definito dal CEO unico e meraviglioso, che ha valori di solidità ai massimi, ecco….CI ASPETTAVAMO MOLTO DI PIU’!

Inutile ritornare a ribadire tutte le carenze dell’accordo, basta ricordare i dati fondamentali e pesanti: VAP 2014 ai limiti dell’elemosina, annullamento dello stesso (confluito nel Premio Variabile di Risultato) e, cosa fondamentale……. DISCREZIONALITA’ TOTALE DELL’AZIENDA SU RUOLI E RELATIVI, RIDICOLI, PREMI (specie se aggiunti a quanto perso per strada, VAP decenti appunto e contribuzione a TFR definitivamente ridotta, mentre nel 2012 si parlava di taglio temporaneo…così per dirne un paio).

Vi diranno che c’è crisi ed è vero, ma questi accordi riguardano noi e soltanto noi di Intesa Sanpaolo, una delle banche migliori del sistema, più solida ed a più alta redditività.

Le altre banche ci guardano, e anche i ‘cugini’ di Unicredit (altra banca che regala fior di dividendi) si sono visti recapitare, dalle stesse sigle sindacali, un accordo integrativo praticamente fotocopia del nostro in termini economici e normativi. Viene da chiedersi quindi come mai a parole economisti, analisti finanziari, sindacalisti firmatari e banchieri stessi, pontificano di un’economia che può ripartire solo se si rimette potere d’acquisto in mano a chi può, DEVE spendere e poi…. poi tutto si risolve nell’esatto contrario, anzi, di fatto, stringendo ulteriormente la cinghia, già al limite della mancanza di respiro!! Giovani e meno giovani che si vedono schiacciati da sempre più pesanti responsabilità, pressioni e ‘ansia da prestazione’ senza nessuna garanzia effettiva di percorsi e stipendio…. tutto, con eleganza,  riposto nelle ‘generose’ mani aziendali.

Poco male direte, alle assemblee VOTIAMO NO e si ridiscute. Peccato che i sindacati firmatari, contrariamente a quanto proclamato nei mesi precedenti, sembra abbiano pensato non fosse il caso di far approvare alle assemblee quanto firmato…il loro giudizio bastava e le policy aziendali pare siano già pronte.

VISTA LA PREMESSA E’ ANCOR PIU’ DI FONDAMENTALE IMPORTANZA PARTECIPARE ALLE ASSEMBLEE, E CHIEDERE CONTO AI SINDACATI FIRMATARI DI QUANTO MESSO NERO SU BIANCO NEGLI ACCORDI, FARE

DOMANDE E NON ACCETTARE I FORSE, I SI VEDRA’, I NON SO! …. E SE, COME NOI, RITENETE CHE QUESTO INTEGRATIVO SIA ECONOMICAMENTE OFFENSIVO, MOLTO PERICOLOSO E OLTRETUTTO FIRMATO SENZA DIRITTO, VOTATE COMUNQUE NO E VERIFICATE I DATI DI VOTO!

ORMAI, PURTROPPO, DOVREMO TENERLO COSI’ COME FIRMATO, MA IL SEGNALE DEVE ESSERE FORTE E CHIARO, SOPRATTUTTO VERSO L’AZIENDA, LE CUI PROPOSTE SONO STATE RECEPITE AL 90% NEGLI ACCORDI.

QUESTA VICENDA DIMOSTRA CHE SERVE UN SINDACATO DIVERSO, CHE ESPRIMA IL PUNTO DI VISTA DEI LAVORATORI E NON RECEPISCA SOLO QUELLO DELLA CONTROPARTE.

UNICREDIT – MONDI LONTANISSIMI

MondilontaniQuasi  non  passa  giorno  senza  che  il  nostro  portale  riporti  qualche  premio prestigioso che abbiamo vinto, come importante riconoscimento del nostro primato fra gli istituti bancari esistenti in Italia, in Europa, nel sistema solare. E quasi non passa giorno senza che qualche zelante “controllore” si inventi nuovi adempimenti, nuovi  moduli  da  compilare,  nuove  acrobazie  da  superare  per  poter  svolgere  la nostra attività quotidiana.

Probabilmente le due cose sono strettamente connesse: come scritto più o meno ovunque e costantemente ripetuto nelle giornate a ciò dedicate (perché in Italia è inconcepibile che un servizio al pubblico non sia disponibile per un’assemblea sindacale, ma per dire alla clientela che facciamo una giornata di riflessione sui nostri valori la banca può chiudere TUTTE le Agenzie) UniCredit ha un sistema di valori e di regole e lo applica in modo inflessibile e preciso. C’è anche un termine per questo, naturalmente in inglese, ed è “compliance”, ovvero “conformità”. Ha altre sfumature più sinistre (per esempio “compiacenza” o “condiscendenza”) ma non addentriamoci troppo. Il cielo è già pieno di gufi.

Purtroppo quasi non passa giorno ultimamente senza che apprendiamo dai giornali i nuovi exploits realizzati da alcuni nostri dirigenti, tanto disinvolti nell’uso degli SMS, e, a giudicare dai dialoghi riportati dai media in cui emerge una creatività veramente inusuale,  la  cosa  persisterà  abbastanza  a  lungo,  inquadrandosi  peraltro  in  un generale clima di malaffare che non ha risparmiato probabilmente nessuna banca italiana,   a   parte   forse   qualche   cassa   rurale   (noi   però   anche   in   questo   ci distinguiamo).

Potremmo liquidare la cosa con la solita alzata di spalle ma non va bene. Non va proprio  bene.  Non  va  bene  che  si  debba  subire  un  martellamento  ossessivo  e quotidiano sulla famigerata compliance per poi scoprire dai giornali cosa succede ai piani alti, dove sembra che le regole non esistano. Non rileva che si stia indagando, non ci sia nulla di definitivo, né nessuno sia ancora condannato o siano cadute teste: i fatti citati sono troppo precisi perché qualcuno se li sia inventati di sana pianta e indipendentemente  da  ciò  che  verrà  fatto  (probabilmente  niente)  sono  di  una gravità notevole.

Come si relaziona tutto ciò col nostro sistema di valori reale o presunto? Mondi lontanissimi, appunto.

Qualcuno proverà a tirar fuori la ben nota teoria della “mela marcia” in un’organizzazione che di per sé funziona meravigliosamente bene. Ciascuno di noi si guardi intorno e veda se ritiene che sia questo il caso. Considerando, come già detto anche  in  precedenza,  che  in  questo  momento  storico,  soprattutto  nel  settore bancario, ci troviamo ad avere a che fare con una classe dirigente abbastanza impresentabile: sono questi gli incontentabili padroni per cui i risultati commerciali non sono mai sufficienti, sono queste le persone che si aumentano i bonus vada come vada, e poi arrivano alle trattative per il VAP con una richiesta di riduzione dei premi “perché c’è la crisi”. E dall’altra parte trovano interlocutori disponibili, spaventati, contenti di portare a casa qualcosa, qualsiasi cosa.

Ne vogliamo una riprova? Nella busta paga di ottobre c’è una voce in detrazione (importo TFR ex CCNL) che riguarda il TFR e ha a che fare con l’applicazione dell’ultimo contratto. Ad essa corrisponde un’altra voce negativa se non si è aderito al fondo pensione, o un minore accantonamento allo stesso se si è aderito.

La “grande vittoria” che, grazie ai nostri scioperi, i sindacati firmatari sono riusciti a strappare al terribile e determinato nemico (80 euro di aumento diluiti in quattro anni e mezzo), così almeno è stato scritto nei volantini e detto nelle assemblee, ha solo un piccolo costo da pagare e riguarda la riduzione della base di calcolo del TFR alle sole voci stipendio, scatti di anzianità e ristrutturazione tabellare. Il resto rimane fuori, e per sapere quale sia il costo effettivo, tra l’altro diversissimo da persona a persona, basta prendere l’entità della suddetta detrazione che compare nella busta di ottobre e dividerla per 13,5: questa è la somma che per effetto del contratto non viene accantonata al TFR, sono soldi effettivamente persi, e quella cifra riguarda solo i primi sei mesi dell’anno.

Non dobbiamo rassegnarci con fatalismo a tollerare cose intollerabili e a pagare col nostro lavoro lussi ed errori di altri. Abbiamo ancora molto da perdere e finché non prenderemo consapevolezza del nostro ruolo sociale e della nostra dignità professionale   continueremo   a   perderlo   sempre   più   in   fretta.   Da   pressioni commerciali e abusi ci si può difendere: segnalateci i comportamenti inadeguati. E quando finalmente le trattative sulla retribuzione non saranno a senso unico forse riusciremo anche a difendere il nostro potere d’acquisto. I lavoratori devono cominciare a preoccuparsi seriamente dei propri interessi… perchè altri i loro li sanno fare fin troppo bene.

INTESA SANPAOLO – PALLINI VERDI!!

intesa03aACCORDI DI SECONDO LIVELLO: TUTTI GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI (DALL’AZIENDA)

Se qualcuno è scontento delle conseguenze che il Nuovo Modello di Servizio ha avuto sulle condizioni di lavoro nella Rete (appesantendo ulteriormente ritmi, stress, pressioni commerciali, …) ha tutti i motivi per preoccuparsi: gli accordi raggiunti, infatti, sono il corollario della riorganizzazione introdotta il 19 gennaio di quest’anno.

La trattativa, chiamiamola così, ha visto il trionfo dell’azienda, che ha imposto i suoi tempi (l’accordo andava chiuso, “prendere o lasciare”, entro il 7 ottobre), le sue priorità e la sua ideologia  (“loro”  ce  l’hanno).  Ai lavoratori, questa volta, è stata persino risparmiata la commedia di una piattaforma “finta”, votata a larga maggioranza e abbandonata un secondo dopo: l’unica scelta rimane quella tra VAP in busta paga o premio sociale.

Tranne pochi ragionevoli “emendamenti” (tra i quali la riduzione da tre a due degli anni necessari  per  consolidare  le  indennità  di  ruolo)  gli  accordi  ricalcano  ( e  addirittura contengono!) le slides aziendali che hanno segnato il percorso. E quello che ancora manca verrà consegnato ai sindacati “trattanti” a tempo debito (è incredibile ma è così).

Del Nuovo Modello di Servizio, i due accordi-chiave (“Premio” e “Inquadramenti”) conservano anche il carattere cervellotico e farraginoso: semplicità e trasparenza abitano altrove.

Tranne i principi di fondo, ovviamente, che sono chiari ed innegabili: aumenta a qualsiasi livello  la  discrezionalità  ed  il  potere  ricattatorio  delle  gerarchie  aziendali,  scende ancora il salario certo a fronte di quello variabile, i diritti da esigere diventano obiettivi da conquistare (e da contendere ad altri).

Tutto ciò è particolarmente vero per l’accordo su Ruoli e Figure Professionali che, guarda caso, riguarda solo la catena di vendita della Rete, rimandando al 2016 ogni discorso su strutture centrali e ISGS (pensate con quale potere di contrattazione, quando l’azienda ha già portato a casa tutto quanto le serviva !!!).

Qui, dopo la disdetta unilaterale da parte aziendale degli accordi precedenti (luglio 2012), si partiva praticamente da zero: il Contratto Nazionale, infatti, è da sempre molto vago sulle declaratorie (i criteri di definizione degli inquadramenti e delle mansioni a cui sono collegati) ed è la contrattazione aziendale che dovrebbe riempire i “buchi ”. Il termine di paragone, quindi, non può che essere la situazione pre-2012 ed il confronto è impietoso.

I criteri di classificazione dei portafogli sono estremamente più complicati e assai meno trasparenti. Il potere discrezionale dell’azienda conseguentemente si amplia ancora. Prima vi erano i percorsi, che consentivano di arrivare fino al 3A4L per il family e al QD1 per personal,  small  e  imprese.  Ora  l’attribuzione  di  un  portafoglio  che  preveda  un inquadramento minimo superiore al proprio, dà diritto solo ad un’indennità di ruolo , (neppure  particolarmente  ricca)  che,  ovviamente,  si  può  anche  perdere  cambiando portafoglio. Se non succede nulla, dopo due anni scatta l’inquadramento superiore effettivo, ma solo all’interno delle aree professionali: al QD1 non si arriva più.

Chicca finale (che, come ormai ci siamo abituati a vedere, consente all’azienda di risparmiare da qualche parte assai più di quanto spende dall’altra) le indennità di ruolo entrano nella base di calcolo della previdenza complementare ma non in quella del TFR !!

I percorsi in essere, che avevano subito già un ritardo di 18 mesi dopo l’accordo del 19 ottobre 2012, verranno finalmente portati a termine, ma solo se il ruolo ricoperto dopo l’introduzione del NMS è coerente con il percorso stesso.

Il nuovo sistema determinerà ovviamente un massiccio sovra-inquadramento, soprattutto tra i quadri. Per compensare almeno chi ha fatto il corso da promotore, per i QD gestori personal con portafoglio di fascia A (iscritti all’albo e autorizzati per l’offerta fuori sede) è prevista un’indennità di 1.200€ lordi annui non consolidabile. Stesso trattamento per i QD gestori imprese con portafoglio di fascia A e B.

Meccanismi analogamente penalizzanti valgono anche per i Direttori (cui viene per lo meno ripristinata, con decorrenza 19 gennaio ’15, l’indennità di direzione). Anche le filiali verranno classificate attraverso un grottesco e complicato ventaglio di parametri che sostituirà l’unico attuale basato sul numero di dipendenti (guarda caso ora che si “accorpano” gli sportelli …). Anche per loro, la direzione di una filiale per la quale spetterebbe un grado superiore non comporta l’avanzamento (che scatterà solo con l’adibizione ad una filiale di fascia ancora superiore)  ma  la  semplice  erogazione  di  un’indennità  di  ruolo  che  viene,  anche  qui, consolidata dopo due anni. Se nulla nel frattempo accade….

Alla faccia dello strombazzamento di azienda e sindacati “firmatari” sul riconoscimento della professionalità, l’intero sistema comporta, tendenzialmente, un sostanziale abbassamento del livello di inquadramenti e dei connessi riconoscimenti economici. E questo in un momento in cui il nuovo modello di servizio ha imposto ad ogni ruolo una complessità di mansioni e di competenze richieste assai superiore a prima.

Per fortuna che, almeno, è stato ottenuto il mantenimento del diritto ad ottenere il trattamento economico della 3A4L dopo 32 anni di servizio !!!

E  tuttavia  l’elemento  più  preoccupante  non  è  economico  ma  è  legato  al  fatto  che  i meccanismi ideati dall’azienda (e supinamente accettati) tendono ad aggravare uno scenario già pesante: non solo le pressioni commerciali sono “incorporate” nel sistema ma viene esaltata l’efficacia ricattatoria del potere della gerarchia aziendale che potrà esercitarsi su un ben più ampio insieme di variabili: ci sarà sempre una filiale o un portafoglio “meno complesso” nell’orizzonte di chi cercherà di non piegarsi e reagire.

Completa l’opera il disastro annunciato fatto con la definizione del nuovo Premio Variabile di Risultato (PVR) che, a partire dal 2015, unificherà e sostituirà VAP e Sistema Incentivante. Diciamo “annunciato” perché ricorderete che si tratta di una delle grandi “conquiste” del pessimo rinnovo del CCNL del 2012. I sindacati “firmatari” si danno come obiettivo quello di concordare  e  regolamentare,  rendendoli  più  equi  e  trasparenti,  i  sistemi  incentivanti discrezionali previsti dalle aziende e per ottenere tale risultato sono disponibili a mettere sul piatto il VAP. Si tratta di una possibilità non di un obbligo ma figuriamoci se i sindacalisti della prima  banca  del  paese  si  lasciano  sfuggire  l’occasione.  E  finisce  esattamente  come avevamo già previsto nel 2012: il VAP scompare, diventando l’esigua “quota per tutti” del sistema incentivante e questo permane con tutte le sue brutture e storture (e la totale discrezionalità aziendale). Solo che ora i Sindacati vi appongono la firma e questa, anche per noi, non è cosa da poco visto che, in questo modo, se ne assumono la corresponsabilità.

Ma naturalmente, ci diranno in assemblea, che l’accordo è sperimentale e si può sempre tornare indietro …

L’importo del PVR 2015 è pari a 73 milioni di Euro, non una gran cifra, ma naturalmente (come per il VAP 2014) mica si può dimenticare il Lecoip …

Il 30% viene erogato come Premio Base a tutti se viene raggiunto il budget di Gruppo. Se ciò non accade, ma l’azienda non è in perdita e sono a posto un paio di parametri patrimoniali, il premio viene erogato all’80%.

L’erogazione individuale, uguale per tutti, può arrivare ad un massimo di 355€ lordi (oltretutto questo importo viene pesantemente decurtato per chi ha una RAL mediamente più alta della sua figura professionale) oppure a 455€ lordi per chi ha una RAL inferiore ai 35.000€.

Questa componente è l’unica in qualche modo “garantita” (quanto meno all’80%) e assimilabile al vecchio VAP. L’importo però è enormemente più basso.

Ricordiamo che il primo VAP post fusione, nel 2008, prevedeva 1.940€ lordi per la figura del 3A3L. Di anno in anno questa cifra è andata diminuendo, soprattutto per i lavoratori che non hanno convenienza ad optare per il premio sociale, sino ai 395€ cash e 460€ di premio sociale (600€ e 700€ rispettivamente per chi ha RAL inferiore ai 35.000€) stabiliti ora per il 2014.

Cifre modeste, se non considerate come conguaglio al Lecoip, ma comunque superiori alla quota quasi-certa del 2015 !!

Sul Lecoip occorre poi aprire una parentesi per evitare di farsi abbindolare dai piazzisti della finanza creativa. Nel 2018 genererà cifre significative (per quell’80% di colleghi che vi ha aderito e che nel frattempo non sia incappato in qualche sanzione disciplinare) ma coprirà a posteriori ben quattro anni ed è comunque un’operazione finanziaria e ideologica che ha un forte tornaconto per l’azienda che, grazie al suo impianto basato su castelletti di derivati, non costerà all’azienda che una parte di quanto “anticipato” per noi ( tra l’altro con una forbice spaventosa che fa gravare su tutti i super premi per top manager e alta dirigenza).

Tornando al PVR, sul misero premio-base poggia una piramide che assegnerà il 45% come Premio Aggiuntivo (se raggiunto il budget di divisione o, in assenza, ancora quello di Gruppo) con una distribuzione che comincia a diventare importante (a titolo di esempio, per il Retail, 145€ all’Assistente della clientela, 345€ al Gestore, 1.645€ al Direttore di fascia 3).

E, infine, il 25% come Premio di Eccellenza, riservato ovviamente a pochi e sventagliato in maniera ancor più rilevante (ad esempio, in una filiale di fascia 3 che raggiunga il massimo di eccellenza, l’Assistente prende 2.250€, il Gestore 4.200€, il Direttore 16.000€).

Laccesso all’ “eccellenza” rimane totalmente nel regno della discrezione aziendale : se nelle sedi centrali si potrà almeno continuare a guardare negli occhi il maestro che ti ha dato la pagella, in rete l’opacità e la manipolabilità del sistema raggiungono livelli parossistici. Miriadi di parametri tra cui pochi al momento conosciuti. Qui i “firmatutto” hanno davvero reso onore al nomignolo che spesso utilizziamo per qualificarli perché sono state fornite loro solo un paio di slides esemplificative (per modo di dire).

Per inciso, in un riga si cita persino la parola “formazione” il che, forse, avrebbe dovuto sollecitare i sindacati a cogliere l’occasione per normarne meglio la fruizione che oggi, in filiale, è prevalentemente fonte di stress (tra un cliente e l’altro) e di straordinari non pagati.

Resta il fatto che un collega 3A3L, che oggi possiamo immaginare intento a lavorare come PAR, se non raggiunge “l’eccellenza”, non potrà andare oltre i  700€ lordi di premio (vecchio VAP compreso) a fronte di un sistema incentivante sottoscritto anche dai sindacati che di equo e trasparente non ha nulla.

Con i due accordi principali (il bastone che arma il nuovo sistema di “inquadramenti super flessibili” e la carota del PVR per gli eccellenti che si sceglierà) l’azienda sistema a suo piacimento la partita delle pressioni commerciali e del clima aziendale , lasciando i sindacati  a  crogiolarsi  con  le  “significative  acquisizioni”  dell’accordo  specificatamente dedicato al tema. E’ ipocrisia allo stato puro concorrere alla codifica di un modello lavorativo sempre più connotato da discrezionalità, flessibilità, ricattabilità del lavoratore ed assoluto predominio dei budget di vendita imposti dall’alto e poi magnificare il fatto di aver istituito il libro delle doglianze per segnalare al Comitato Welfare, cogestito da azienda e sindacati, chi esagera, magari perché troppo poco “formato”.

Più che presidiare la casella mail iosegnalo@intesasanpaolo.com (ma come può venire in mente?) i sindacalisti “firmatari” tornino a presidiare le filiali e le sedi per aiutare i lavoratori a dare risposte collettive e conflittuali.

Anche l’accordo che sancisce la creazione del  Nuovo Fondo Pensioni di Gruppo non sfugge alla logica generale di questa tornata di contrattazione.

Si tratta di un obiettivo fortemente voluto dall’azienda (che spinge oltre tutto per tempi accelerati non condivisibili) perché fonte di notevoli risparmi gestionali.

Sicuramente positivi sono il progressivo  aumento della contribuzione per i lavoratori più giovani (che arriverà al 3,5% dagli inizi del 2018) e la possibilità, per chi ancora non ce l’ha (ad esempio gli iscritti al FAPA), di sospendere la propria contribuzione senza che venga meno il versamento aziendale. Ovviamente si tratta di un percorso che parte e che andrà seguito con estrema attenzione , cosa che evidentemente faremo con i nostri rappresentanti negli attuali Fondi, per evitare che produca danni per i lavoratori. Già ora stiamo facendo tutti gli opportuni approfondimenti per verificare che i citati aumenti delle contribuzioni minime non  siano, quanto meno in parte, vanificati da una codifica più restrittiva delle voci retributive sulle quali sono calcolate.

Abbiamo lasciato per ultimo l’accordo che si occupa della cosiddetta “ conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” e sul quale (senza esagerarne la portata) si può esprimere un giudizio positivo che andrà peraltro verificato sulla base di dati concreti.

Nella Banca del Tempo l’azienda mette un plafond iniziale di 50.000 ore, non poco, ma la possibilità di utilizzo di tale strumento è limitato ad una casistica molto ristretta. Qualche malizioso ha subito osservato che questa azienda così filantropica, magari, avrebbe potuto ripristinare i permessi per visite mediche per tutti

Interessante, inoltre, sarà vedere quanti colleghi usufruiranno delle giornate di sospensione volontaria, retribuite al 35% (con corrispondente contribuzione ridotta), per un massimo di 15 giorni. A fronte di organici sempre ridotti all’osso (quanto meno in Rete) c’è il rischio che si riveli  una  possibilità  “teorica”  che  se  offre  “una  via  di  fuga”  a  qualcuno  aggrava  una situazione già pesante dal punto di vista dello stress lavoro correlato (tema su cui l’azienda è ampiamente inadempiente).

Il giudizio complessivo sui sei accordi raggiunti è sicuramente negativo.

Il NO in assemblea è un segnale importante da mandare all’azienda ed a quei vertici sindacali il cui ruolo è sempre più quello di rendere percorribili e accettabili i disegni aziendali e non di contrastarli partendo dal diverso punto di vista del Lavoro.

Ma il NO in assemblea non è palesemente sufficiente. Occorre reagire e non abbandonarsi allo sconforto per il sistema totalizzante che ci ritroveremo di fronte. E’ necessario autoorganizzarsi per resistere tutti i giorni, collettivamente, ribadendo che, per tanti di noi, non è sostenibile (e comunque non condividiamo e non ce ne rendiamo complici) un modello di banca basato su un utilizzo del Lavoro (pagato il meno che si può e premiato solo se acquiescente)  come  mero  strumento  per  sostenere  politiche  commerciali  rapinose  e generare extra-profitti a vantaggio esclusivo di grandi azionisti e manager.

INSIEME CONTRO IL BARATRO 5

baratrobFiliale Flexi Retail ….. un mondo da scoprire

Dal famoso 19/01/2015 sono ormai passati nove mesi e la creatura dà i suoi risultati.
Risultati positivi stando alle affermazioni della Dirigenza.
Ma positivi per chi ??!!
La risposta è che i risultati positivi, se così si vogliono definire, sono solo per la banca.
In effetti l’incitamento nei confronti dei gestori retail a vendere i fondi e la polizza Giusto Mix stà portando maggiore redditività alla banca.
Peccato che i clienti della Filiale Retail per la maggior parte sono persone senza grandi disponibilità e quei pochi che hanno un gruzzoletto è perché hanno lavorato e risparmiato per una vita per avere quei 30.000/40.000 Euro ed ora percepiscono una pensione poco superiore ai 1.000 Euro. Ma il problema è che queste persone che hanno questi piccoli capitali si fidano ciecamente del loro gestore e gli lasciano fare di tutto perché la maggior parte sono persone che di finanza non ne sanno nulla e il loro desiderio è di non perdere nemmeno un centesimo perché quei soldi potrebbero servire per la casa di riposo e per il funerale e se alla maggior parte di loro venissero spiegati correttamente i prodotti, evidenziando i livelli di rischiosità, molti di loro non li sottoscriverebbero.
Ora se andiamo a vedere i portafogli dove sono stati venduti i prodotti “spinti”  questa primavera, ante crisi Grecia e Cina e ora Volkswagen,  si riscontrano perdite generalizzate. Malgrado questo risultato, dall’alto continua ad arrivare la richiesta di spingere e di vendere. Ma la nostra non era una banca etica?
Le continue pressioni per fissare almeno 5/6 appuntamenti al giorno e vendere i prodotti più remunerativi portano a far si che molti colleghi invitino i clienti a fissare un appuntamento con delle scuse o dei pretesti, come l’aggiornamento dei dati, e poi in modo insistente spingano i clienti a fare investimenti che non farebbero mai.


Risposta collettiva da Torino

Diremmo che fotografa bene la situazione: tutto ciò che è stato venduto da marzo in avanti è in perdita. Le borse hanno stornato e sono calati anche i prezzi delle obbligazioni a tasso fisso. Sono molti i prodotti che hanno registrato perdite, in alcuni casi, quando l’esposizione azionaria era più elevata, in misura anche importante.
Il gestore si trova oggi, come non mai, tra l’incudine e il martello: i clienti fidelizzati sono stati incastrati in investimenti che perdono, quelli diffidenti non hanno alcuna intenzione di fare la fine dei primi.
Il risultato è che non si colloca più quasi nulla, che si ha paura di chiamare i clienti, che non si fissano gli appuntamenti per il panico di fargli vedere la situazione aggiornata.
Ma i vertici  insistono  con il metodo e quindi al mattino, anziché andare a lavorare, viene voglia di mettersi in mutua.
Non vediamo vie d’uscita, se non prendere di petto le questioni e difenderci in qualche forma collettiva organizzata.

DI VAP, DI 25° E DI ALTRE “SCIOCCHEZZE”

unicreditbCome  comunicato  sul portale  aziendale  nei  giorni  scorsi, è  finalmente  arrivata  ad  una (parziale) conclusione la trattativa su VAP e premio del 25° anno.

Fugato il rischio di una decurtazione del 20% del VAP, non si sa bene giustificata da cosa visto che nel frattempo i risultati aziendali sono migliorati non poco, il VAP sarà uguale all’anno scorso (840 euro cash, lordi, oppure 1140 in welfare)  ed erogato  a novembre per chi scegliesse l’opzione in busta.

Non sono stati comunicati tempi e modi di adesione al pagamento in busta, quindi attenzione alle informazioni relative sul portale.

Notizie più vaghe sul premio del 25°: sarà erogato entro giugno 2016 agli aventi diritto in base a quanto già maturato (al 28/6/2014), anche qui con un’opzione cash e una welfare valida per tre anni.

Non è conosciuta la percentuale di decurtazione dell’opzione in busta ma in compenso è garantita l’erogazione di spille e medaglie. E’ appena il caso di notare come ormai sia una prassi consolidata convertire un importo, che prima veniva pagato in busta, in un corrispondente importo decurtato, se lo si vuole avere pagato, con l’opzione di mantenere l’importo nominale solo tramite il welfare. Ad ogni modo, abbiamo spuntato anche un sontuoso contributo di € 88,70 a favore della polizza dentaria (facoltativamente obbligatoria).

Fin qui abbastanza bene, a parte il consueto contesto di “sudditanza psicologica” per cui, in presenza di migliorati risultati, l’Azienda si sente in dovere e in diritto di arrivare agli incontri con una proposta di riduzione del VAP (dopo che i bonus ai manager sono stati aumentati in modo consistente) e trova dall’altra parte qualcuno molto soddisfatto di difendere le posizioni pregresse.

Ciò che continua però a mancare nella trattativa, e viene rimandato da un numero imprecisato di ANNI, è il discorso sugli inquadramenti. Questo è un tema di non poca importanza su cui, al momento, c’è un “verbale di percorso” che impegna le parti a definire il tutto entro il primo trimestre 2016 e null’altro. Sappiamo che la corrispondente trattativa è arrivata a una definizione tutt’altro che soddisfacente, almeno dal nostro punto di vista, in un altro contesto importante, quale può essere quello di Intesa San Paolo, e ci domandiamo se questo non sarà il modello a cui si ispireranno prossimamente i lavori. Peraltro, in analogia con quanto accaduto in Intesa Sanpaolo, non pare esistere una piattaforma sindacale (non diciamo discussa e approvata dai lavoratori, almeno esistente) e la trattativa rischia di essere condotta solo sulla base delle proposte aziendali (“loro” la piattaforma ce l’hanno!)

Non possiamo fare valutazioni di merito sul tema “premio variabile di risultato” per gli anni a venire (l’obiettivo è l’unificazione di VAP e attuale sistema incentivante e l’esperienza insegna che, quando si fondono due voci, qualcosa rimane per strada…), però è stata istituita una commissione ed entro giugno 2016 ci faranno sapere. Siamo fiduciosi….

Sarà nostra cura tenervi informati.

ACCORDO DI SECONDO LIVELLO IN INTESA SANPAOLO – LA GRANDE BRUTTEZZA

grattacL’accordo sul contratto di secondo livello firmato in Intesa Sanpaolo il 7 ottobre 2015 è stato definito “storico” dal segretario Uilca Massimo Masi. Il capo delegazione di ISP, Eliano Omar Lodesani, è ad oggi il più probabile candidato a prendere il posto di Alessandro Profumo come presidente del CASL, cioè come capo delegazione dell’ABI. La “qualità innovativa” dell’accordo siglato e l’estensione del suo ambito di applicazione (65.000 dipendenti sui 300.000 bancari italiani) lo candida ad essere un punto di riferimento per l’intera contrattazione nazionale, in particolare per quanto riguarda il nuovo sistema degli inquadramenti, dei ruoli e dei percorsi professionali.

L’utilizzo di parole grosse e l’enfasi con cui viene esaltato l’accordo non deve distrarci da quello che è consigliabile e doveroso fare in questi casi: l’attenta disamina del merito del contenuti e del percorso che ne ha segnato la conclusione. Su questo specifico punto non si può tacere della totale mancanza di rispetto di qualunque elementare regola democratica: la trattativa si è svolta integralmente su iniziativa aziendale, non c’è mai stata una piattaforma sindacale, meno che mai discussa, condivisa o votata dai lavoratori.

I sindacati trattanti hanno agito privi di qualsiasi mandato, dall’inizio alla fine della trattativa. Il nuovo modello di servizio, varato dall’azienda in modo unilaterale (come già era accaduto per l’applicazione degli orari estesi), con il radicale azzeramento del sistema contrattuale degli inquadramenti precedenti, ha così trovato la sua validazione sostanziale e formale, lasciando sul terreno molte macerie.

Ma andiamo con ordine e proviamo a vedere le varie parti dell’accordo (i testi degli accordi sono disponibili cliccando qui). L’azienda ha ottenuto il varo della nuova struttura degli inquadramenti, dei ruoli  e  dei  percorsi  professionali.  Dopo  avere  sospeso,  nel  2012,  il precedente accordo di armonizzazione del 2009, l’azienda ha contribuito attivamente  a  scrivere  la  contro-piattaforma  ABI  del  2013,  che  poneva l’elevato livello medio degli inquadramenti nel settore come causa primaria dell’eccessivo costo del lavoro. Come si ricorderà, nel CCNL 2015 si è stabilito di   aprire   un   cantiere  di   lavoro   a   livello   nazionale  per   rivedere  gli inquadramenti; nello stesso tempo si apriva alla possibilità di fare accordi aziendali che anticipassero le conclusioni nazionali. Quello in ISP è quindi un accordo che segnerà la linea in tutto il settore ed ha come principale obiettivo quello di dare validazione al nuovo modello di servizio, che ha destrutturato, al di fuori delle norme contrattuali vigenti, tutto l’impianto preesistente.

Anziché riconoscere la professionalità dei lavoratori, come strombazzato dall’accordo, ci sembra più appropriato parlare di vera mortificazione: il nuovo modello di servizio ha distribuito le figure e le competenze professionali in filiere separate, ma ha imposto ad ogni ruolo cosi ricostruito una complessità di mansioni e di competenze richieste molto superiore a prima. Il lavoro è diventato più penoso e complesso, ma con il nuovo accordo l’azienda riesce a pagarlo di meno, con una struttura degli inquadramenti posizionata a livelli molto inferiori a prima.

Scompare la distinzione tra gestori retail, personal e small business: le uniche differenze saranno dettate dalla complessità dei portafogli, tarate su criteri e pesi del tutto opachi e unilaterali. Lo stesso vale per il ruolo di direttori e coordinatori, che non avranno più diritto ad un inquadramento corrispondente alla mansione, ma si vedranno riconosciuta un’indennità di ruolo (correlata ad un inquadramento minimo) che potrà essere revocata  e/o  modificata  in  caso  di  assegnazione  ad  altro  ruolo.  Questa indennità si consoliderà solo dopo 24 mesi ed al verificarsi di determinate condizioni: solo in casi molto rari e selettivi sarà possibile godere di un consolidamento anticipato. Vale la pena ricordare che l’indennità non rientra nella base di calcolo del TFR.

I criteri che presiedono alla classificazione di filiali e portafogli sui diversi livelli di complessità sono estremamente aleatori e poco trasparenti: si consegna all’azienda un forte potere discrezionale che sarà utilizzato per perseguire consistenti risparmi di costi. Nell’immediato saranno pochissimi i fortunati  che si vedranno riconosciuti vantaggi effettivi, mentre la gran parte del personale scoprirà di essere sovra-inquadrato rispetto al ruolo che ricopre e quindi destinato a subire molti “assorbimenti” di miglioramenti futuri. In tendenza la struttura dei costi, legati ai livelli, sarà enormemente più “risparmiosa” rispetto alla struttura precedente, consentendo all’azienda quel salto decisivo (verso il basso) che non era riuscita ad ottenere neanche nell’ultimo CCNL.

E’ partito sempre da esigenze aziendali il percorso concordato per arrivare alla fusione dei Fondi Pensione del Gruppo, tema su cui abbiamo chiamato i lavoratori alla massima vigilanza. A differenza di quando accaduto per il Fondo sanitario, il processo rispetterà le norme regolamentari (svolgimento dei referendum ove previsti), nonché i diritti pregressi di tutti i lavoratori interessati. Anche in questo caso i vantaggi sono solo a favore dell’azienda che continuerà a sostenere gli oneri relativi al personale, ai locali e alle spese amministrative, ma non più quelli relativi a consulenze finanziarie e spese legali. Ancora una volta si è persa l’occasione di recuperare su un terreno, quello della previdenza complementare, già duramente penalizzato a livello generale con la contrazione della base imponibile. I pochi miglioramenti, quale l’aumento  della  percentuale  di  contribuzione  aziendale  minima  per  i  più giovani, non sono certo sufficienti a giustificare un’operazione che consentirà sensibili risparmi all’Azienda. D’altronde senza una posizione forte a favore di un referendum degli aderenti anche nei fondi che non lo prevedono espressamente (la fusione non è un aspetto solitamente normato) è ovvio che la controparte non ha alcuna necessità di mettere qualcosa sul (nostro) piatto della bilancia …   Sarà ovviamente cura dei consiglieri della CUB- SALLCA eletti dai lavoratori seguire con grande attenzione l’attuazione del percorso, garantendo trasparenza e correttezza nelle decisioni da assumere di volta in volta.

Novità  interessanti  sono  racchiuse  nell’accordo  sulla  conciliazione  dei tempi di vita e di lavoro. Adeguandosi a previsioni di legge e arricchendo di molto il menù, viene introdotta la “Banca del Tempo” con dotazione aziendale di 50.000 ore e incremento previsto in base alle donazioni dei colleghi, per aiutare dipendenti in particolare situazione di difficoltà personale e familiare (che potranno avere fino a 15 giorni l’anno di permessi retribuiti, una volta finite ferie e banca ore). Analogamente viene ripetuta la sospensione volontaria dell’attività lavorativa, fino a 15 giorni l’anno, retribuiti e coperti al 35% a carico dell’azienda. Viene introdotto un plafond di 12 gg /anno per consentire ai lavoratori affetti da gravi patologie di prendere permessi retribuiti utilizzabili per visite mediche specialistiche. Apprezzabili tutte le norme che rafforzano la tutela della maternità e della paternità, nonché la facoltà di poter frazionare tre giorni di ferie in permessi della durata minima di 15 minuti.

Sul conguaglio del VAP è stata acquisita una cifra accettabile per quanto riguarda gli importi erogati a chi è sotto i 35.000 euro lordi di RAL (700 euro di premio sociale oppure 600 euro in contanti). Non è così per chi supera quel livello di RAL, perché 460 euro di premio sociale o 395 euro in contanti rappresentano una cifra oggettivamente troppo modesta per essere ritenuta adeguata all’impegno e alla produttività espressa dai lavoratori interessati. Garantire un maggior recupero salariale ai  giovani sotto-inquadrati ha  un senso, farne pagare il costo agli altri lavoratori decisamente meno.

Sul premio variabile di risultato l’azienda accoglie la richiesta dei sindacati firmatari che già dal disgraziato CCNL 2012 premevano per unificare VAP e sistema incentivante. L’illusione di poter così recuperare spazi di discrezionalità in mano all’azienda ci sembra però svanire ai primi vagiti della neonata creatura. Il PVR sarà una percentuale del valore di budget del “Risultato corrente al lordo delle imposte” del Gruppo, ma sarà l’azienda, come è ovvio, a stabilire il budget e quindi determinare le condizioni per l’erogazione. La sua suddivisione in tre distinte quote (base, aggiuntivo, eccellenza) fa sì che venga destinata alla quota base solo il 30% della cifra disponibile (con un importo indicativo di 355 euro lordi o 455 euro lordi a seconda della RAL). Se il budget non viene raggiunto, ma il risultato corrente è positivo, ai lavoratori va l’80% di questa misera quota base (e questa resta l’unica quota in qualche modo “garantita”, sempre a patto che un utile ci sia). Per il resto il 45% del bonus viene destinato alla quota aggiuntiva, ma dipende dai risultato della Divisione (torna la logica dei “cancelletti”). Il 25% va invece a premiare l’eccellenza di chi supera in media i “concorrenti”, con una logica fortemente selettiva, ed un moltiplicatore importante che agisce come leva per fare decollare la somma di quota base e quota aggiuntiva fino a 4,5 volte per i lavoratori di ”supporto”, fino a  6 volte per i gestori e fino a 8 volte per i coordinatori. Si potrebbe dire che “è qui la festa”, ma noi, che siamo ideologicamente contrari ai sistemi incentivanti (e lo diciamo senza giri di parole), continuiamo a pensare che questo contrasti con qualunque regola deontologica e professionale (soprattutto nel nostro settore) e quindi siamo contrari. Dopo anni di guasti e di effetti perversi causati dalla presenza di sistemi incentivanti che hanno avvelenato il clima aziendale, accresciuto la competizione interna e spesso scatenato conflitti deleteri e comportamenti sbagliati, bisognava dire basta. Invece si è data legittimità alle scelte aziendali, varando un sistema che non si discosta per nulla da quelli precedenti, per farraginosità, opacità, utilizzo di parametri oscuri e termini incomprensibili.

Strettamente connesso al punto precedente è l’accordo sulle politiche commerciali e clima aziendale, che altro non è che la risposta che era necessario fornire sul terreno delle pressioni commerciali, un tema prima latente, ma che è esploso come una vera e propria emergenza drammatica con banca estesa e nuovo modello di servizio. Lo dimostra il livello di utilizzo diffuso di psico-farmaci e ansiolitici, in una rete investita da richieste di dati su obiettivi impossibili, in un contesto di mercato ormai sfavorevole alle performance strabilianti che i nostri manager pretendono a prescindere. Una volta sfrondato il testo dell’Accordo dalla retorica grondante che si autocelebra, citando deontologia, etica, professionalità, dignità del personale, soddisfazione della clientela, spirito di squadra e collaborazione tra i colleghi, resta ben poco di “esigibile” sul piano concreto.

L’accordo indica la necessità di azioni positive nei comportamenti da adottare, nella reportistica richiesta e nella formazione dei responsabili, ma elude i nodi fondamentali della problematica: la definizione di un piano industriale, declinato in budget annuali, incompatibile con la situazione di crisi del nostro paese; l’assegnazione alla rete di obiettivi irrealistici; l’adozione di politiche commerciali che spingono a vendere alla nostra clientela prodotti che sono al limite rispetto al profilo di rischio effettivo; l’utilizzo di un metodo che include controlli invasivi della prestazione lavorativa; il ricorso a pressioni personali che non escludono minacce di ritorsioni e toni ricattatori.

Di fronte a tutto questo si “conquista” solo il diritto alla ”segnalazione di comportamenti  ritenuti  non  coerenti”,  come  se  tutto  dipendesse  solo  da qualche responsabile particolarmente scatenato nel voler fare il primo della classe, oppure incapace di gestire il personale con criteri manageriali corretti. Il modulo di segnalazione da inoltrare al Comitato Welfare andrà  utilizzato senza indugio e in misura massiccia per colpire i singoli personaggi che sistematicamente utilizzano mezzi e strumenti insopportabili per mettersi in luce, sulla pelle degli altri, ma non è certo la soluzione strutturale ad un degrado che, da tempo, ha superato il livello di guardia, nella più totale latitanza della direzione aziendale. Il problema va affrontato con ben altra determinazione, se non vogliamo finire tutti in terapia psichiatrica.

Ci troviamo quindi di fronte ad un accordo che globalmente va valutato in modo negativo: le modeste concessioni “d’immagine” sul terreno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, l’accettabile compromesso sulla fusione dei Fondi pensione, la condivisibile scelta di premiare con il conguaglio del VAP i livelli inferiori, vengono duramente controbilanciate dai deludenti capitoli relativi a  premio variabile di risultato, politiche commerciali e ruoli professionali.

Sul  terreno  delle  cose  che  contano,  l’azienda  riesce  a  vincere: circoscrive i danni sul piano delle pressioni commerciali, legittima un sistema incentivante che gli consegna forte discrezionalità, applica un sistema di inquadramenti congeniale al nuovo modello, che riduce al minimo i costi fissi e introduce forti elementi variabili legati alle prestazioni e quindi alla revocabilità delle indennità. Un esito ben diverso da quanto era lecito attendersi da una trattativa  che  segnava il  primo  contratto di  secondo livello  nel  principale gruppo bancario del Paese.

INTESA SANPAOLO – GLI ACCORDI DELLA CONTRATTAZIONE AZIENDALE

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La trattativa sul contratto aziendale di secondo livello “a tempo” (era fissata infatti una data di scadenza, il 7 ottobre) è giunta a termine.
Ancora il 6 ottobre, un comunicato delle sigle trattanti titolava “Trattativa in corso: fase delicata e difficile”.
Evidentemente, un’improvvisa accelerazione ha portato a chiudere l’accordo.
In attesa dei nostri approfondimenti, ecco tutti i testi degli accordi:

Contratto collettivo di secondo livello

Ruoli, figure professionali e percorsi di sviluppo professionale

Politiche commerciali e clima aziendale

Conciliazione di tempi di vita e di lavoro

Premio Variabile di Risultato

Conguaglio Premio Aziendale 2014

Nuovo Fondo a contribuzione definita

INTESA SANPAOLO – PRIMI EFFETTI DEL NUOVO CONTRATTO NAZIONALE

ispbisQualche lavoratore ci ha chiesto cosa erano alcune voci comparse sulla busta paga di settembre.

In realtà le spiegazioni sono esposte nelle “news” aziendali del cedolino on line, laddove viene riportato che “con lo stipendio di settembre 2015 si è provveduto all’adeguamento dell’imponibile TFR   per il periodo gennaio / luglio 2015, ed ai relativi recuperi”.

Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che il recente rinnovo contrattuale (approvato al 95% dai partecipanti alle assemblee su base nazionale) ha riconfermato il meccanismo, già previsto nell’altro “bel” contratto del 2012, per cui la base imponibile per il calcolo del TFR viene limitata alle sole voci di paga base, scatti di anzianità ed importo ex ristrutturazione tabellare, lasciando fuori tutte le altre voci, che possono variare in base all’azienda ed a situazioni individuali e che determinano una forte perdita del lavoratore sul salario differito (TFR e previdenza integrativa) ed un conseguente risparmio per le aziende.

Va osservato che, alla scadenza del precedente contratto, da gennaio 2015, il TFR è tornato ad essere calcolato su tutte le voci retributive (questo consente anche un agevole calcolo individuale sul danno economico della manovra, basta confrontare le buste paghe del 2014 con quelle dei primi mesi del

2015), ma il nuovo contratto ha disposto il ritorno al “taglio” del TFR con effetto   retroattivo  dal  1   gennaio,  per   cui   oggi   le   aziende   stanno recuperando quanto versato “in più” nei mesi precedenti (infatti la firma formale del contratto nazionale è avvenuta a luglio 2015).

Peraltro, come già accaduto nel precedente contratto, siccome la base imponibile per il TFR serve anche come base di calcolo per la previdenza integrativa  (lo  “zainetto”),  il  taglio  è  stato  riconfermato  anche  sui contributi  previdenziali  aziendali,  sulla  base  di  un’interpretazione unilaterale ed “estensiva” dei banchieri, che i sindacati firmatari non hanno contestato efficacemente.

Ognuno di voi può quindi verificare quale danno economico (seppure differito) sta subendo, in attesa che da ottobre 2016 lo stipendio aumenti di 25 Euro medi lordi.

UBIS LAMPUGNANO, PROBLEMA MENSA E NON SOLO

Ubis, con messaggi neppure troppo sublimmensaubis2inali, ci invita sempre più spesso a disertare la mensa aziendale. Prima con l’istallazione delle cucine nei piani di lavoro “smart”; ora il pranzo “take away”.

Il sovraffollamento della mensa aziendale, dovuto anche alla presenza di consulenti in numero superiore a quello dei lavoratori stessi, è un problema reale. Constatiamo infatti che nonostante i proclami aziendali volti a razionalizzare e ridurre l’utilizzo dei servizi di consulenza, nella realtà questi non si modificano affatto. E poi siamo in piena spending review e bisogna ridurre i costi (non gli sprechi, mi raccomando!). E mantenere la mensa costa….

Ma l’Azienda cosa sta facendo? Con la scusa di venire incontro alle esigenze del lavoratore  e di cogliere le nuove opportunità offerte dal mercato pensa non già ad un riordino della mensa, bensì di azzerare il “bisogno” del lavoratore nell’utilizzarla. Se non ci sono gli utenti, non ha più senso erogare il servizio; e così fra qualche anno potranno tranquillamente dimezzare – o azzerare – gli spazi adibiti alla ristorazione.

La cosa che fa sorridere (anche se ci sarebbe da piangere!) è che la “sperimentazione” – che avviene nell’azienda informatica del Gruppo – mette in evidenza la pochezza “informatica” di Unicredit.

Nello specifico, se decidi di aderire al servizio di mensa “take away” ti devi registrare sul sito partner di Pellegrini, come da istruzioni allegate alla mail aziendale che tutti i lavoratori di Ubis Lampugnano hanno ricevuto un paio di settimane fa.

Peccato che nella documentazione si dica chiaramente che per accedere al sito è necessario l’utilizzo del browser Explorer con versione pari a 9, mentre la versione disponibile sulla maggior parte dei pc aziendali è 8. Ne consegue che se un collega prova ad accedere alla pagina di registrazione per poter usufruire del servizio compare una laconica maschera bianca.

Ecco, se mai ce ne fosse bisogno, la riprova della scarsa attenzione e considerazione che l’Azienda mostra nei confronti dei propri dipendenti.

Buon appetito!

 

TEMPO DI BILANCI NELLA FRUENDO SRL? FACCIAMOLI!

mps fruendo
Sono passati 600 giorni dalla “nascita” (1 gennaio 2014) della Fruendo SRL.

I bilanci sono quelli, tristemente, annunciati. La memoria, invece, torna alle date del 19 dicembre 2012 e del 21 dicembre 2013 ed allo “scippo”‘ realizzato dai sindacati firmatari di quegli accordi, che non solo hanno sottratto ai lavoratori, oggi esternalizzati, il loro diritto di essere rappresentati, ma si sono fatti garanti della PREESISTENZA e dell’ AUTONOMIA FUNZIONALE di un ramo d’azienda mai esistito!

Oggi, come allora, i fatti dimostrano che la Fruendo SRL non esiste e che vive solo in funzione della commessa di Banca MPS SPA. In questo clima surreale (si direbbe se non fosse per le reali e devastanti conseguenze nella vita dei dipendenti) e considerati gli scontri pregressi, non ci saremmo aspettati la ricomposizione di un tavolo sindacale unitario.

Ci ha lasciato increduli l’ultimo volantino, unitario, dove anche FABI, FIBA CISL – ora FIRST CISL – e UILCA (firmatari degli accordi di cui sopra) parlano di rischi occupazionali, ammettendo che le nuove commesse prospettate dalla Fruendo SRL non ci sono.

Oggi cosa resta ai lavoratori esternalizzati? La loro dignità e, a chi vorrà e potrà, la possibilità di difendersi, da solo o con l’aiuto dell’avvocato che si è scelto!

Sempre a proposito di bilanci, vorremmo ricordare quanto saranno ininfluenti, per la Banca, i costi per difendersi nei tre gradi di giudizio per le cause sulle esternalizzioni e quanto, invece, i costi personali, economici e familiari sostenuti dai lavoratori non potranno essere risanati da nessun risarcimento!

Noi crediamo, però, che andrebbe rilanciata un’azione solidale e collettiva, un’azione  sindacale  che  si  affianchi  alle  tante  iniziative  legali  in  piedi. Un’azione sindacale, aggiungiamo, che sia alternativa a quella delle troppe sigle compromesse e conniventi con i voleri aziendali. Offriamo ai lavoratori la possibilità di autorganizzarsi e difendere i propri diritti.