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In breve sintesi i fatti sono questi:
1) Intesa Sanpaolo archivia il miglior semestre dalla fusione, superando i
2 miliardi di euro di utili netti, che verranno interamente riservati agli
azionisti.
2) Tutto deporrebbe a favore di un riconoscimento tangibile dell’impegno e
della fatica profusa dai lavoratori nel raggiungere risultati stratosferici,
ma l’orientamento dell’azienda sembra del tutto diverso.
3) La trattativa per il riconoscimento del VAP 2014 non ha finora prodotto
risultati e sembra profilarsi una offerta aziendale del tutto inadeguata,
per usare un eufemismo: una cifra irrisoria, priva anche della
tassazione agevolata al 10%, un semplice conguaglio all’incentivo
unilaterale erogato a maggio a meno della metà del personale ed a
complemento del Lecoip che sarà esigibile nel 2018.
4) La buona riuscita del primo trimestre, dovuta a situazioni di mercato
irripetibili, ha già faticato in realtà ad essere confermata nel secondo
trimestre: se i risultati del terzo trimestre dovessero rallentare, come
sembra verificarsi dopo la crisi greca e cinese, l’azienda userebbe
certamente nuovi argomenti per tenere stretti i cordoni della borsa.
Mentre al tavolo si perde tempo e si rimanda, l’azienda macina utili
senza concedere nulla a chi li produce.
5) I lavoratori stanno subendo una situazione generalizzata di stress
lavoro-correlato senza precedenti; il fenomeno è diffuso in tutta la rete,
ma non solo, soprattutto a causa dell’impatto devastante prodotto dal
nuovo modello di servizio adottato a inizio anno.
6) A fronte di questo disastro conclamato, l’azienda vanta, sfidando ogni
senso del ridicolo, “un aumento del grado di soddisfazione delle
persone del Gruppo, cresciuto di 23 punti percentuali rispetto al 2013”
(pag. 8 del comunicato stampa ufficiale).
7) Il combinato disposto dall’aumento delle pressioni commerciali a livelli
parossistici, dall’imposizione di obiettivi sfidanti su una vastità di
prodotti/servizi da far impallidire anche Mandrake, dalla tensione
derivante da un piano industriale irrealizzabile e irrealistico, stanno
portando l’intera struttura distributiva verso punti di non ritorno.
8) La proposta aziendale per un premio variabile di risultato 2015
profondamente rivisto rispetto al passato non accoglie,
prevedibilmente, la nostra richiesta di abolizione totale, ma neanche
quella dei sindacati moderati che richiedono una struttura semplice,
equa e trasparente.
9) La posizione aziendale sugli inquadramenti è inaccettabile: taglia fuori
tutte le figure professionali diverse dagli addetti alla rete e anche per
loro rappresenta un ritorno al passato, una semplice paga di posto,
tardiva e temporanea, correlata in maniera contorta alla complessità
della mansione, pesata con parametri discutibili ed arbitrari, revocabile
a discrezionalità aziendale e orientata unicamente al risparmio dei
costi.
10) Il verbale di percorso del 5.8.2015 che dovrebbe portare alla definizione
del contratto di secondo livello del Gruppo, con incontri pianificati dal 15
settembre al 7 ottobre, continua ad evidenziare la più totale mancanza
di trasparenza, di chiarezza e di democrazia: si discute esclusivamente
sulle proposte aziendali, ai lavoratori non è mai stato chiesto nulla, non
hanno mai visto una piattaforma sindacale né tantomeno un giro di
assemblee.
E’ vero che dobbiamo essere contenti di avere un lavoro, una paga ed un
piano di partecipazione ai risultati di un’impresa che sale in borsa: ma non vi
sembra un po’ di esagerare?
La dichiarazione di voto dei rappresentanti della CUB-SALLCA in occasione della prima riunione del neoeletto CdA del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI.
Il 24 luglio si è tenuta la prima riunione del nuovo Consiglio di Amministrazione del Fondo Pensioni del Gruppo Sanpaolo IMI che ha proceduto alla nomina del Presidente (che in questo mandato spetta alla parte elettiva ed è Francesco Spadavecchia della Fisac-Cgil) e del Vice Presidente (Claudio Graziano, di parte aziendale).
Ricordiamo che il CdA è composto di 14 membri di cui 7 indicati dall’azienda e 7 recentemente eletti dalle/dagli iscritte/i dopo la tribolata doppia votazione del maggio-giugno scorso. In particolare, si tratta di due rappresentanti della Fisac-Cgil (Albesiano e Spadavecchia), due del Sallca-Cub (Gallizio e Napolitano), uno della Uilca (Mocati), uno della Fabi (Bertinotti) e un indipendente (Lombardo) eletto nella categoria dei Dirigenti.
A seguire pubblichiamo la dichiarazione di voto (di astensione) dei nostri due rappresentanti che, riteniamo importante sottolineare, riguarda direttamente tutte/i le/i colleghi, anche quelli che attualmente sono iscritti ad altri fondi previdenziali del Gruppo.
Nel mentre celebrava il proprio rito democratico, il “vecchio” Fondo Sanpaolo, infatti, sembrava già avere i giorni contati, come del resto avevamo detto in campagna elettorale. Azienda e Sindacati firmatari stanno infatti procedendo, con una certa decisione, lungo il percorso che potrebbe portare, già in autunno, al varo del Fondo Unico di Gruppo.
In questa situazione, il nostro atteggiamento ha cercato di tenere insieme un senso di responsabilità (diciamo “istituzionale”) con la ferma riproposizione delle nostre posizioni, sulle quali abbiamo chiesto ed ottenuto il mandato di oltre 2.500 colleghe/i.
Il “senso di responsabilità” è consistito nella non presentazione di una candidatura alla Presidenza alternativa a quella indicata dai Sindacati firmatari (e nel conseguente voto di astensione), un’eventualità che i risultati elettorali rendevano del tutto plausibile ma che avrebbe portato ad una situazione di stallo, privando il Fondo delle proprie figure di vertice proprio in un momento, come detto, di estrema delicatezza.
Nel contempo, i nostri rappresentanti hanno ribadito che la Cub-Sallca è pronta a battersi con determinazione e con tutti i mezzi a sua disposizione qualora il percorso di unificazione dei Fondi previdenziali non sia caratterizzato dal pieno rispetto delle norme statutarie vigenti nelle varie realtà coinvolte e del pluralismo di posizioni sindacali presenti nel Gruppo.
Insomma, non può ripetersi lo “scandalo democratico” avvenuto con la creazione del Fondo Sanitario di Gruppo quando azienda e segreterie dei sindacati firmatari:
– svuotarono di funzioni e soppressero gli organi amministrativi delle preesistenti Casse (eletti dai lavoratori);
– diedero vita ad un CdA di autonominati destinato a restare in carica per quasi quattro anni;
– non fecero effettuare il referendum previsto dallo Statuto della Cassa Intesa (originando un grave contenzioso legale che sin qui ha dato loro torto);
– cancellarono con un tratto di penna la presenza che il Sallca aveva ottenuto (grazie al voto dei colleghi) nella Cassa Sanpaolo e che aveva rappresentato l’unica voce di opposizione alle modalità con le quali si stava sviluppando il progetto.
Dichiarazione di voto
Come noto, la Cub Sallca sindacale ritiene che la designazione del Presidente del CdA debba avvenire tenendo conto del risultato elettorale e quindi delle indicazioni ricevute dagli iscritti. Anche oggi, come già avvenuto per la Cassa di Previdenza, ci troviamo di fronte ad una proposta diversa da quella da noi auspicata.
E’ evidente che la presentazione di una candidatura alternativa a quella proposta in questa sede avrebbe potuto condurre ad una situazione di impasse in quanto la componente elettiva non avrebbe potuto presentare una candidatura sufficientemente forte e molto probabilmente sarebbe stato necessario rinviare ogni decisione a settembre.
Alla luce dell’attuale scenario e con quel senso di responsabilità che ha sempre contraddistinto la nostra presenza negli enti previdenziali, abbiamo deciso di soprassedere e, con la nostra astensione, di non ostacolare la nomina di Francesco Spadavecchia a Presidente del CdA e di Claudio Graziano a Vice Presidente.
La nostra scelta di astenerci non è in alcun modo legata ai nomi proposti. Il nostro disappunto è legato alle consuete ma assai poco democratiche modalità con le quali vengono prese le decisioni, avendo sempre a riferimento oscuri equilibri politico-sindacali che è ancora da dimostrare coincidano con gli interessi degli iscritti.
La nostra principale preoccupazione è che tale impostazione sembra volersi applicare anche per gli organi transitori previsti per la costruzione del Fondo Unico di Gruppo. Ancora una volta saranno i vertici sindacali a nominare i loro rappresentanti (quando non loro stessi …) senza alcuna consultazione degli iscritti, spesso scegliendo i propri esponenti al di fuori degli stessi consigli di amministrazione che sono gli unici organismi che hanno ricevuto un chiaro mandato dalla base.
Vogliamo sin d’ora chiarire che la nostra organizzazione sindacale si opporrà con forza ad un progetto di unificazione che, pur non vedendoci ideologicamente contrari, riteniamo debba basarsi sulla massima trasparenza possibile, coinvolgendo possibilmente in maniera attiva anche gli iscritti. Auspichiamo che si sia fatto tesoro degli errori compiuti nel processo di unificazione degli enti sanitari del gruppo e che stavolta il processo sia realmente inclusivo e preveda la partecipazione di tutte le forze sindacali rappresentative degli iscritti. E’ ovviamente inaccettabile che alcune forze sindacali che hanno una rappresentatività da numeri decimali partecipino alla costituzione del Fondo Unico solo perché firmatari di CCNL mentre altre forze, ben più radicate nelle diverse realtà, non possano svolgere quel ruolo di rappresentanza per il quale gli iscritti si sono chiaramente espressi.
Giovanni Paolo Gallizio – Alfonso Napolitano
Il nuovo modello partito in ISP nello scorso gennaio ha aperto scenari devastanti per tutte le realtà della rete. Bisognerà provare ad esaminare analiticamente tutti i problemi aperti nel contesto lavorativo di ogni figura professionale: il cassiere delle filiali estese/hub/tradizionali, il gestore Banca5, il gestore retail, il gestore small business, il gestore e gli addetti delle filiali imprese.
Cominciamo dal consulente personal, che in apparenza sembrava dover affrontare un cambiamento minimo rispetto alla condizione di partenza: permanenza della clientela pregressa, stabilità fisica nella precedente sede, supposta continuità di mansioni.
La realtà si è dimostrata piuttosto diversa dalle aspettative.
In primo luogo la partenza è avvenuta nella più totale improvvisazione: nessuna istruzione specifica, rotazione selvaggia dei responsabili, nomina dei direttori con sostituzione generalizzata, spostamenti di consulenti comunicati all’ultimo minuto, passaggio di consegne inesistente, scoperta quasi casuale di una “guida al cambiamento” per la filiale personal.
In secondo luogo si sono scoperti i “buchi” tecnici nell’operatività standard: difficile e laborioso consultare i rapporti rimasti nella filiale retail; vietato fare operazioni di cassa anche sporadiche e detenere valori dalla richiesta molto frequente come carnet assegni o carte; impossibile spedire la posta tramite vetturabile, o richiedere la modulistica necessaria in autonomia; impraticabile la consultazione dei precedenti archivi di pratiche di successione, o il richiamo della memoria nelle proposte di pricing e via dicendo, in innumerevoli procedure diventate ormai inaccessibili.
In terzo luogo è stato necessario cominciare a duplicare tutto: la gestione degli assegni, la sistemazione delle partite varie, dei non contabilizzati, delle pensioni, degli storni, le quadrature dei titoli, l’archiviazione delle pratiche, i controlli, le spedizioni delle polizze e tutto quello che caratterizza l’esistenza quotidiana di una filiale ordinaria.
In quarto luogo si è dovuto cominciare a fare dei lavori di cui non si ha alcuna esperienza: i prestiti, i mutui, le pratiche di fido, la prenotazione delle carte con procedura PEF, le rinegoziazioni, la fornitura di tutti quei servizi che erano e sono tradizionalmente di competenza del retail. Il ritmo impressionante che ha assunto il fenomeno della rinegoziazione/surroga dei mutui ha poi finito per mandare in tilt anche le strutture centrali che, molto teoricamente, dovrebbero supportare le filiale prive di autonomia procedurale. Anche le risorse dedicate a questo compito si sono spesso rivelate improvvisate, inadeguate e impreparate ad un compito così delicato, in cui contano precisione e tempestività per presidiare i clienti e intercettare opportunità di mercato, in un contesto altamente competitivo.
Tutto questo è avvenuto e avviene senza la minima base di formazione e affiancamento, senza avere nessuno che possegga le competenze da trasmettere internamente agli altri per “osmosi”, senza alcuna pianificazione della necessaria attività formativa di specializzazione.
In quinto luogo si è dovuto fare fronte ad un’impennata senza precedenti dei volumi richiesti nei collocamenti mensili, con monitoraggi costanti, settimanali, giornalieri, orari. Da gennaio a marzo abbiamo visto decollare il budget assegnato da 100 a 130 e poi 150. Questa percentuale si è stabilizzata anche per aprile al massimo livello richiesto. Se nel corso del
2014 ogni gestore personal si trovava a dover collocare prodotti ad alto
valore aggiunto per un totale di 500-700.000 euro al mese (a seconda della consistenza del proprio portafoglio), dal 2015 è subito partito con una base minima richiesta di 1.000.000 di euro e poi è arrivato, al punto massimo, attorno al milione e mezzo al mese. Per i portafogli più consistenti, quelli che superano i 70-80 milioni di euro, viene richiesta una redditività aggiuntiva di circa 25.000 euro al mese, una cifra pari a quella richieste ai consulenti del Private Banking (che però hanno portafogli standard da 120-130 milioni di euro!). Solo a partire da giugno abbiamo registrato un parziale dietro-front, destinato certamente a durare poco…
Questo budget “sfidantissimo”, come è stato definito correttamente da uno dei più lucidi capi Area Personal, viene dato per scontato ormai ogni mese, ed anzi ad esso si aggiunge la richiesta di lavorare a tutto campo anche sugli altri prodotti per fare sviluppo: carte, polizze casa, polizze auto, prestiti personali, mutui, offerta a distanza.
Lo stress che ne consegue è di dimensioni impressionanti: la proiezione totale sulla parte commerciale della prestazione lavorativa finisce per fare trascurare quasi completamente la cura degli aspetti amministrativi, la regolarizzazione formale dei documenti, la trasmissione di quelli che vanno spediti e la gestione di quelli che vanno archiviati.
Le filiali si trasformano in magazzini stipati di documenti in sospeso che nessuno ha più il tempo di ordinare e seguire.
I rischi di smarrimento o di irregolarità salgono a livelli estremamente preoccupanti, tanto più elevati quanto più la situazione di mercato dovesse cambiare di direzione, come in effetti riscontriamo ora con la Grecia sempre più vicina al default. La stessa percezione del rischio di mercato era diventata flebile, in una situazione di crescita quasi ininterrotta e prolungata, come quella del primo trimestre 2015. L’abbassamento dei tassi di inflazione e di interesse che ha portato a rendimenti negativi l’investimento monetario e a rendimenti vicino allo zero per quelli obbligazionari aveva spinto verso la proposizione di soluzioni di investimento molto più rischiose di quanto il risparmiatore ( e magari lo stesso consulente) possa percepire! Quando i mercati si incaricheranno di farci tornare alla realtà, come in parte sta già avvenendo, ne vedremo delle belle…
Se la situazione descritta è quella generale e diffusa, occorre rilevare come le cose siano messe ancora peggio in quelle filiali dove ci sono portafogli scoperti, con lunghe assenze del personale in servizio per maternità obbligatoria o anticipata, per lunga degenza, per mancata sostituzione di persone trasferite, per carenza di organico strutturale. Anche l’esperienza dei gestori distaccati e di quelli “itineranti” dimostra la difficoltà di funzionamento di un modello organizzativo così frantumato.
In un contesto del genere è davvero sorprendente constatare come gli obiettivi di budget siano stati raggiunti, almeno per il passato recente, in modo regolare, o addirittura in largo anticipo rispetto al previsto.
L’impressione è che l’introiezione dei meccanismi, della logica, della filosofia del budget, come valore assoluto e totalitario, sia ormai pienamente avvenuta. Chi ha scelto o è stato scelto per questo lavoro non ne mette in discussione il funzionamento. Semmai ci si sente inadeguati se si è in ritardo o in difficoltà rispetto all’obiettivo da raggiungere. In molti casi si somatizza. Si perde il sonno, il benessere psico-fisico, la stabilità emotiva e, nei casi più patologici, la salute mentale. Ci si sente frustrati e falliti. Ma dato che non ci sono alternative, si deve andare avanti, senza lamentarsi, senza cercare aiuto, senza condividere, senza reagire. Al massimo si chiede al sindacato di intervenire, ma “dall’esterno”, da sopra, senza doversi esporre in prima persona, senza metterci la faccia.
Per quanto siano grandi le difficoltà e le resistenze individuali, dobbiamo provare a costruire una rete, un terreno di discussione, liberare uno spazio e cintarlo per usarlo come trincea. Dobbiamo iniziare a parlarci e mettere in comune esperienze e difficoltà, perché è l’unico modo per costruire le basi di una difesa collettiva.
Dobbiamo individuare gli strumenti contrattuali e legislativi che possono essere utilizzati come supporto. Adesso che è giunto a conclusione il rinnovo contrattuale, possiamo fare il punto su quello che già esiste e quello che può essere usato di più e meglio.
Innanzitutto il protocollo per lo sviluppo equo e sostenibile, richiamato nell’articolato dell’ipotesi d’accordo. E’ poco più che un richiamo, è vero, ma segnala un problema che riguarda tutto il settore, e non solo poche banche, più scorrette o aggressive delle altre. E’ un chiodo a cui si può attaccare qualche cordicella.
Poi ci sono gli osservatori aziendali come il Comitato Welfare cui è possibile fare pervenire segnalazioni di comportamenti non in linea con l’etica dichiarata. Poi c’è il Codice Etico e la sezione della Corporate Social Responsibility che redige il Bilancio Sociale. Poi ci sono le contraddizioni tra livelli gerarchici diversi, che si possono sfruttare per riportare a più miti consigli i responsabili più scatenati nelle politiche commerciali aggressive.
Infine c’è il Codice Civile e la distinzione tra doveri verso l’azienda derivanti dal nostro rapporto di lavoro subordinato e l’obbligo di risultato, cui sono tenuti solo i lavoratori autonomi. Tutti, e in particolare i Quadri
Direttivi, devono seguire le direttive aziendali con diligenza e obbedienza, ma nessun lavoratore dipendente è tenuto all’obbligo di risultato.
Ribadire l’esistenza di diritti derivanti dalla legge può aiutarci a difenderci, prima di tutto dalla paura e dalle minacce grossolane che spesso vengono espresse nei confronti dei venditori non abbastanza allineati.
Infine c’è la denuncia pubblica, che certo non deve esporre i lavoratori alle ritorsioni aziendali o a provvedimenti sanzionatori disciplinari, ma che può pesare molto sull’immagine di aziende che ci tengono ad essere percepite dall’opinione pubblica come socialmente ed eticamente corrette e che non tollerano sbavature su questo terreno. Qui la vera arma è la deterrenza, cioè la minaccia di usare uno strumento che loro temono, per ottenere interventi decisi verso i responsabili dei comportamenti scorretti.
Non è vero quindi che non si può fare nulla: c’è semmai tutta una gamma di strumenti che si possono usare, magari con la necessaria gradualità, per non esasperare il clima di filiale, ma certamente e in modo determinato per ottenere modifiche nei comportamenti lesivi della dignità dei lavoratori. Ne va della nostra salute, della nostra serenità, del nostro benessere: la condizione lavorativa, il clima aziendale e l’ambiente di lavoro devono restare la sede dove l’individuo-lavoratore realizza se stesso come essere sociale, senza costrizioni, senza umiliazioni, senza imposizioni degradanti.
Siamo un anello fondamentale nella “creazione di valore”, per l’azienda e per i suoi azionisti: rivendichiamo il diritto di essere qualcosa di più che un terminale commerciale in cui scaricare tutta la mercanzia da vendere in giornata.
Si è svolto il 2 luglio scorso il previsto incontro tra Consulenti Personal dell’Area Torino. Gli intervenuti hanno condiviso la situazione di generale disagio derivante dalle forti pressioni commerciali, tema che è esploso con il nuovo modello di servizio e gli obiettivi stratosferici che la banca si è data per realizzare il piano industriale.
Pur essendo considerati il “fiore all’occhiello” dell’azienda per quanto riguarda i collocamenti, i consulenti vengono sottoposti a controlli come fossero bambini. Viene loro richiesto di diventare tuttologi, con il risultato di fare male troppe cose disperdendo la professionalità acquisita negli anni.
Altri hanno evidenziato l’assenza di punti di riferimento che si assumano le proprie responsabilità, mentre anche gli specialisti che dovrebbero supportarli nel lavoro sono pochi, irraggiungibili e anche lontani fisicamente. Spesso ci si ritrova a improvvisare lavori delicati senza adeguata formazione e senza il necessario supporto. Questo è particolarmente clamoroso per il caso dei mutui, ma tocca anche altri ambiti lavorativi dove la specializzazione è stata dispersa (es. esperti banca-assicurazioni) e dove l’assistenza post-vendita è molto carente.
Altra nota dolente è la questione della collaborazione tra Personal e Retail, che si realizza con difficoltà e solo grazie al buon senso e alla collaborazione dei colleghi, superando persino l’ostracismo dei responsabili.
Sono ben noti i problemi procedurali determinati dalla divisione delle filiali in seguito all’introduzione del nuovo modello di servizio (si pensi al rilascio delle carte, ma non è certo l’unico problema). Spesso di fronte ai clienti si creano situazioni imbarazzanti.
Nel delirio generale, casi particolari sono la coabitazione di filiali Personal e Retail con orari diversi: i clienti non capiscono più nulla e lo stesso accade con i consulenti Personal appartenenti alla stessa filiale “virtuale”, ma dislocati in punti operativi diversi, con orari diversi.
Molti interventi concordavano sul fatto che eventuali premi (peraltro molto eventuali) non ripagherebbero lo stato di stress e di malessere esistente: non è la monetizzazione la risposta giusta al problema.
C’è uno stato di disagio che non viene colto “in alto”, i responsabili continuano a dire che tutto va bene e persino il “Barometro di filiale” è costruito con domande tendenziose che tendono ad occultare la situazione reale.
Grande interesse hanno suscitato le ipotesi di concordare una sorta di “frenata” collettiva, che porti a ridurre i collocamenti e ad autoridurre i budget: ipotesi ambiziosa che in qualche filiale (disgustata dalla iniqua distribuzione degli incentivi) ha già cominciato a prendere corpo…
L’incontro è stato un primo, importante, momento di confronto che deve essere seguito da iniziative più ampie che coinvolgano tutte le filiere della rete. Invitiamo alla lettura della relazione introduttiva e invitiamo gli interessati a mettersi in contatto con noi per proseguire il confronto sul tema.
Che Unicredit fosse solo un lontano ricordo di ciò che erano le Banche o le Casse di Risparmio in esso confluite è ormai palese e noto a tutti. Però a noi che abbiamo contribuito a far crescere e diventare grande questa Azienda (che ancora amiamo scrivere con la A maiuscola), fa male, molto male dover leggere sulla stampa che Unicredit (tramite la sua controllata tedesca HVB) “ha aiutato la clientela ricca ad evadere il fisco mettendo in piedi società offshore in Lussemburgo che nascondevano alcuni dei loro guadagni alle autorità. Secondo quanto riportato da Sueddeutsche Zeitung, nei prossimi giorni si riunirà il consiglio di Hvb per discutere della questione che potrebbe costringere l’istituto a pagare una multa appena sotto 10 milioni di euro per le condotte “cum-ex” e oltre 10 milioni per le attività in Lussemburgo.
Nel complesso si parla di quasi 200 milioni di sanzioni. Poco importa se questa cifra è già stata accantonata nel bilancio di HVB. Il danno è immenso e non solo economico. E’ un danno d’immagine e della nostra reputazione. Che fine hanno fatto le affermazioni che il CEO di Unicredit rilasciava alla stampa qualche anno fa? “Senza l’etica la regolazione non funziona“, dichiarava Mr. Ghizzoni. L’attuale crisi per Mr. Ghizzoni non è stata soltanto una carenza di capitali e di liquidità, ma anche di valori: etica e regole. Da queste sue affermazioni Mr. Ghizzoni sono passati 3 anni, risultati? Pochini? Sicuramente meno di quel +30% della sua retribuzione.
E sarà anche per questo, per rinnovare il Management, che Ghizzoni continua a far incetta di “Top Players” (sulla carta, ovviamente…) da strapagare? Ultimo acquisto Paolo Langè destinato al potenziamento della “banca dei ricchi”, perché ormai è ovvio a tutti che il retail rende sempre meno ed è meglio chiudere filiali e licenziare, pardon prepensionare e concentrarsi sul vero business: il wealth management. Insomma soldi per multe milionarie, soldi per l’acquisto di supermanager, soldi per i bonus del management (con particolare attenzione a quelli della filiale londinese dove i soldi scorrono a fiumi…), soldi per il +30% di remunerazione a Ghizzoni….
Soldi, Soldi, Soldi, tanti soldi… per tutti tranne che per i lavoratori. Non ci sono neppure i soldi per mettere in sicurezza gli stabili dove lavorano centinai di colleghi. Nello stabile di Cologno Monzese, per esempio, ci giunge notizia che metà degli ascensori sono fuori uso, l’altra metà sono in condizioni precarie, tanto che molti colleghi sono rimasti bloccati per diverse ore, subendo a causa del caldo africano delle vere e proprie saune. Un ottimo servizio per donne incinte e portatori di handicap che, per raggiungere la propria scrivania, si devono sempre affidare alla buona sorte. Ed i sindacati firmatari che fanno? Poco o nulla.
Come poco o nulla stanno facendo per il premio aziendale. I sindacati firmatari l’hanno già dichiarato ai lavoratori: Unicredit quest’anno vuole pagare il 20% di premio in meno rispetto allo scorso anno. Ai lavoratori la soddisfazione di sapere che i dati di bilancio rispettano i presupposti per l’erogazione, così come sanciti dagli accordi sindacali.
Un’altra nota dolente di cui si hanno sempre meno notizie è il premio del 25° anno, per chi ancora lo stesse aspettando. Non parliamo di pochi soldi, in media si può ragionare su due mensilità; l’intenzione dell’Azienda è chiara (non pagarlo, o farlo confluire nel welfare) e guarda caso i sindacati firmatari da alcuni mesi ci magnificano il nostro sistema di welfare, fonte in molti casi di problemi più che di soluzioni, come la cosa migliore che sia stata scoperta dall’umanità dopo il fuoco e la ruota.
Concludiamo, quindi, con questa brillante citazione:
“nell’immaginario collettivo tutti quelli che lavorano in banca prendono maxi bonus ma non è così. Questi riguardano solo un piccolo gruppo ai vertici. La maggior parte dei lavoratori non è ricca, con un costo totale annuo di circa 65mila euro di cui il 50% in tasse”.
(Federico Ghizzoni – Parigi – Maggio 2012)
Le assemblee sul rinnovo del contratto del credito si sono concluse. L’ipotesi di accordo è stata approvata quasi ovunque con un consenso plebiscitario: i SI hanno superato il 96%. Deludente il tasso di partecipazione: su 284.000 bancari, hanno espresso il loro voto poco più di 67.000 colleghi. Meno di un lavoratore su quattro ha concorso a determinare il risultato finale e occorre quindi fare la tara alle affermazioni perentorie dei sindacati firmatari che sostengono di aver raggiunto un livello di consenso che non ha precedenti. I dati, forniti in modo aggregato a livello regionale (e solo in taluni casi provinciale), non consentono particolari verifiche o analisi di dettaglio, anche se questa volta (ci mancherebbe) non è certo in discussione l’esito finale.
Come temevamo, il forte dissenso registrato all’interno di alcune sigle sindacali e in molti territori (al direttivo nazionale della Fisac, come noto, i voti contrari erano stati circa il 33%) non è stato portato, per amore o per forza, all’interno della categoria. Lo dimostrano in particolare i dati di Liguria e Lazio, dove il SI ha comunque vinto (rispettivamente con l’84% ed il 90%) seppure con percentuali più basse del dato nazionale.
Tutto questo si è verificato a fronte di un accordo che noi continuiamo a definire largamente deludente, un’occasione mancata nel doveroso tentativo di recuperare qualcosa dopo il disastro del 2012.
Pur nella piena consapevolezza dell’impossibilità di sostenere da soli una battaglia nazionale per il NO (anche la Unisin-Falcri si è totalmente allineata per rientrare al 1^ tavolo), ci siamo assunti il compito di fornire, laddove presenti, una corretta informazione ai lavoratori denunciando puntualmente le bugie e le omertà che le relazioni sindacali contenevano. In Intesa San Paolo, a Torino, nostra tradizionale roccaforte, il NO ha superato il 25% (più un 10% di astenuti), un risultato molto significativo anche se, indubbiamente, la maggioranza dei colleghi ha approvato il contratto.
Tornando ai risultati complessivi, com’è possibile che rispetto ai livelli di critica espressi dalla categoria nel 2012 si sia verificato un arretramento così rilevante? E com’è possibile che i lavoratori siano così rassegnati e passivi, di fronte a quello che sono costretti a subire quotidianamente? Verrebbe da chiedere: a che punto è la notte?
Dopo il varo di una piattaforma che sembrava promettente, nonostante lo sviluppo di una vertenza che ha visto esprimere i lavoratori in lotte compatte, di fronte ad una controparte delegittimata da scandali e malversazioni, i sindacati firmatari si sono nuovamente assunti la responsabilità di chiudere un contratto senza risultati tangibili.
E questa scelta non ha neanche visto una reazione adeguata da parte dei lavoratori e dei delegati di base. Siamo davvero di fronte a cambiamenti epocali e la dimensione della sconfitta è fortemente radicata nella coscienza collettiva.
Appare ridicolo il trionfalismo di certe affermazioni: come si fa a sostenere che l’ABI ha dovuto subire una sconfitta strategica e quindi ha perso? Le banche hanno preferito accontentarsi di quello che già hanno ricevuto dal governo, tra agevolazioni fiscali, rivalutazione delle quote di Banca d’Italia, esenzioni IRAP e provvedimenti sul mercato del lavoro. Jobs Act e decontribuzione assicurano vantaggi economici inaspettati, i nuovi assunti costano pochissimo, esodi e taglio dei costi proseguono senza tregua. Con il tempo potranno essere capitalizzati anche i risultati ottenuti con questo rinnovo.
Innanzitutto l’allungamento del contratto fino alla fine del 2018, la decorrenza degli aumenti rinviata all’ottobre 2016, la delimitazione del perimetro su cui calcolare TFR e previdenza integrativa: economicamente il contratto si chiude per le banche a costo zero. In secondo luogo la revisione degli inquadramenti, preceduta da nuovi modelli di servizio che hanno svuotato di significato la normativa precedente, creando i presupposti per una forte riduzione dei riconoscimenti professionali e gerarchici. Entro un anno i progetti dell’ABI rientreranno dalla finestra tramite la commissione di lavoro sul tema. In terzo luogo i riassetti societari e gli scorpori, che non troveranno certo ostacoli insormontabili nelle vaghe formule con cui è stata “presidiata” l’area contrattuale o il nulla che è stato definito in merito agli appalti.
Tutto l’impianto sul nuovo modello di banca è stato ignorato, più che rigettato, e l’esplosione del problema indifferibile delle pressioni commerciali dimostra che nulla è stato risolto in questi anni di pure chiacchiere, ma anzi il fenomeno si è incancrenito, diventando strutturale e connaturato al “vecchio” modello di banca, l’unico ammesso e consentito.
Del resto non c’è nulla da pretendere da un sindacato che si pone come unico obiettivo quello di contrattare il piatto di lenticchie, cioè una misera parte dell’incremento di produttività e redditività ottenuto, in misura più o meno ampia, dalle aziende, proprio attraverso quei metodi commerciali aggressivi e pressanti che a parole si dice di voler contrastare. Anziché mettere in discussione metodi, strumenti, e obiettivi, i sindacati chiedono solo che il frutto di questo delirio venga redistribuito con criteri meno squilibrati, in modo da lasciare qualche briciola anche alla truppa e alla manovalanza, anziché concentrare tutto su manager ed azionisti.
Ci sembra ben poca cosa rispetto alla misura drammatica che ha assunto lo sfruttamento del lavoro nel ciclo produttivo (anche) bancario, la quota di lavoro non pagato, la dimensione totalizzante del budget commerciale, il decadimento del clima di lavoro, l’inasprirsi delle tensioni con la clientela, l’irraggiungibilità degli obiettivi e la scarsità quantitativa delle risorse impiegate, a partire dagli organici.
Sono nodi che il contratto lascia del tutto irrisolti e che certamente interessano anche quel 96% di lavoratori che, a differenza nostra, ha giudicato l’accordo il male minore di fronte al quale conveniva piegare la testa.
Sette sono le elezioni consecutive in cui la CUB-SALLCA elegge propri rappresentanti nei CdA degli Enti del Welfare di Gruppo. Tre, in particolare, sono i successi per quanto riguarda il Fondo Pensioni Sanpaolo IMI. Due, ed è la prima volta in assoluto, sono i consiglieri che riusciamo ad eleggere senza alcuna alleanza “tecnica”. Più del 20,00% è la percentuale di votanti che ha dato la propria preferenza, anche od esclusivamente, alle/ai candidate/i del sindacalismo di base.
Quello che ci manca non sono certo i numeri. Per chi vuole approfondire, basta guardare la seconda pagina del volantino che riporta i risultati elettorali con un dettaglio che nessun altro vi darà, accontentandosi di scarni comunicati in cui, talvolta, si rivendicano vittorie mai ottenute.
Quello che ci manca sono le parole. “Un successo clamoroso”, “La vittoria più bella”, “Rappresentativi per i lavoratori”: questi i titoli di alcuni dei nostri tanti volantini di commento degli ultimi anni; cosa aggiungere senza scadere nella retorica?
Siamo senza parole anche perché restiamo sempre un po’ sconcertati dal verificare come organizzazioni che vantano (anche solo con riferimento al mondo del vecchio gruppo San Paolo) dieci volte i nostri iscritti (giusto per fare un esempio, la Fabi) finiscano poi quasi sempre dietro di noi in questo tipo di votazioni.
Così come è un mistero (ma dai che non lo è…) che quadri sindacali pluridecorati, segretari regionali, provinciali, aziendali, con zainetti di centinaia di ore di permesso sindacale per presidiare assemblee, girare palazzi ed uffici, partecipare a convegni e incontri bilaterali di ogni tipo, ottengano poi sistematicamente molte meno preferenze di qualsivoglia nostro candidato, più o meno conosciuto che sia.
In queste elezioni (al di là del forte calo di consensi per i candidati della Fisac, pur tutti eletti, rispetto alle precedenti occasioni) ciò che colpisce è ancora una volta il risultato deludente della Fiba-Cisl. A risollevarne le sorti non è certo bastata la fusione con Dircredito (!) e questa non si è certo rivelata l’occasione giusta per battezzare il nuovo marchio, First, un acronimo che oggi francamente fa sorridere.
Negativo anche il dato della Falcri (Unisin) che, a differenza di tre anni fa, ha rifiutato con sdegno qualsiasi alleanza “tecnica” con noi (brutti, sporchi e cattivi) per non mettere a rischio (!!) l’obiettivo di rientrare nel primo tavolo aziendale, trascinando alla sconfitta anche una persona competente ed onesta come Stefano Barni che, nel 2012, era stato eletto nel CdA anche con il nostro appoggio.
Su tutto, il forte tasso di astensione (61%) al quale certo hanno contribuito il brutto pasticcio della ripetizione del voto e l’inserimento dei “figli” nella platea elettorale ma che non è poi così lontano da quello registrato nel 2012 (51%). Noi continuiamo a ritenere molto grave (e non giustifichiamo) che un iscritto al Fondo su due si disinteressi delle sue vicende o chiuda occhi e cervello per poter affermare che “tanto sono tutti uguali” o banalità del genere.
Infine, la solita ma sempre più paradossale considerazione. Risultati elettorali e percentuale di astensione dimostrano, ancora una volta, che ci sono migliaia di lavoratori che continuano a tenere in tasca tessere di sindacati che non li fanno mai votare per eleggere i rappresentanti sindacali e le delegazioni trattanti e che, comunque, loro stessi non votano (spesso preferendo noi) nelle sole occasioni, come queste, in cui possono esprimersi.
E allora perché restare iscritti a certe sigle? Per un 730 gratuito, per una polizza del cassiere, per una consulenza sulla normativa? Ma queste sono tutte cose che facciamo bene (e talvolta meglio) anche noi !!!
O forse per qualche promessa di trasferimento o avanzamento? Naturalmente ai danni di qualche altro iscritto a qualche altra sigla…. Ma davvero c’è ancora chi crede a queste panzane?
Lo abbiamo detto più volte. La nostra esclusione dai tavoli ufficiali di trattativa, lo scippo dei diritti (di indire assemblee, per esempio), l’assenza di agibilità sindacali retribuite e così via … non dipendono meccanicamente dal numero dei nostri iscritti ma dalla totale assenza di democrazia sindacale nel settore.
Pur tuttavia, sostenere il Sallca, avere con esso un rapporto organico e non di occasionale simpatia, iscriversi, significa amplificare la nostra possibilità di muoverci sui territori e di fornire controinformazione, ed aumenta la nostra autorevolezza verso l’azienda, rafforzando di conseguenza la nostra capacità di tutelare i lavoratori.
Perché NO, se apprezzate il nostro modo di essere sindacato, se condividete le nostre idee, se ci ritenete onesti e generosi, se votate per i nostri candidati appena ve ne offrono l’occasione?
Ora lasciamo perdere e festeggiamo. Come sempre, la lettura dei dati che seguono è il miglior ringraziamento che possiamo fare ai nostri elettori, ai nostri iscritti, ai nostri candidati ed a noi stessi.
Gli eletti sono naturalmente a disposizione di tutti le/i colleghe/i per qualsiasi necessità.
GIOVEDI’ 2 LUGLIO ORE 18-20
PRESSO CUB-PIEMONTE
CORSO MARCONI 34 TORINO 2^ PIANO
Introdurrà RENATO STRUMIA
Il decollo del nuovo modello ha significato un cambiamento sconvolgente nell’organizzazione del lavoro della rete filiali. Ovunque si riscontra un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro: il retail, il personal, le filiali impresesono state investite da una sorta di tsunami che non accenna a placarsi. Il caos organizzativo, l’improvvisazione, l’incompetenza, le scelte sbagliate del management hanno sin dal primo momento messo a dura prova i nervi dei colleghi e la pazienza dei clienti. L’abnegazione dei singoli ha sinora evitato il peggio, mentre condizioni straordinarie di mercato (dal calo dei tassi, al rialzo delle quotazioni di azioni e obbligazioni) hanno favorito una vera e propria impennata di mutui surrogati e rinegoziati, da una parte, e un forte aumento dei collocamenti, dall’altra.
A questa vera e propria emergenza si è dovuto rispondere con mezzi inadeguati, mentre le pressioni commerciali raggiungevano livelli parossistici. I buoni risultati del primo trimestre non sono replicabili perché il contesto sta cambiando. Né è possibile pensare che il livello di sopportazione dei lavoratori possa ancora reggere a lungo questa situazione intollerabile. L’avvicinarsi delle ferie estive, il ritardo sui corsi di formazione obbligatori, gli adempimenti amministrativi trascurati, renderanno tutto ancora più difficile.
E’ tempo di cominciare a riflettere seriamente su cosa sia possibile fare, dal punto di vista sindacale e contrattuale, per rimediare a questa situazione. Abbiamo organizzato una prima occasione di dibattito sui problemi che coinvolgono iconsulenti personal. Seguiranno iniziative sugli altri segmenti della rete.
Vi invitiamo a partecipare numerosi, portando idee e contributi. Chi fosse impossibilitato a partecipare personalmente, ma fosse interessato a questi temi e a conoscere il nostro punto di vista, può segnalarcelo e riceverà comunque i materiali prodotti per l’incontro.
Incredibile ciò che è successo: venerdì 22 maggio il Fondo Pensioni ha mandato l’ennesimo messaggio di sollecito al voto, ma, insieme a questo, numerosi lavoratori hanno ricevuto in allegato un file con nome e password di migliaia di iscritti! Dopo pochi minuti la procedura di voto è stata bloccata.
Una prima considerazione: l’errore (umano e del tutto scusabile) ha svelato il vero scandalo, cioè una procedura di voto elettronico che non genera password in modo automatico e criptato, ma che funziona con un foglio excel su cui si trovano le password in chiaro! Sono anni che si vota in questo modo, con una procedura che, potenzialmente, può determinare brogli e frodi.
Fatta questa premessa, in concreto, tra l’invio del messaggio con l’allegato incriminato ed il blocco della procedura sono stati espressi in tutto 52 voti, presumibilmente autentici, un numero insignificante rispetto all’esito complessivo.
Per questo motivo ritenevamo opportuno, una volta circoscritto il danno, portare a termine le operazioni di voto (magari prorogando di qualche giorno la scadenza originaria) senza annullare la volontà dei 9.400 colleghi/e che avevano già votato e senza irritare i lavoratori/lavoratrici facendo ripartire da capo tutto il baraccone.
La scelta, invece, è stata di annullare tutto e ricominciare, per cui dobbiamo tornare a chiedere il vostro voto per evitare nuovi colpi di mano che già si stanno profilando.
L’azienda, infatti, ha già avviato trattative con i sindacati firmatari per unificare tutti i fondi pensione del Gruppo a contribuzione definita. L’idea è di creare un fondo unico che, per un lungo periodo (quello più delicato dal punto di vista tecnico e che può creare maggiori problemi) sarà gestito da un CdA NOMINATO dai sindacati “maggiormente rappresentativi” (ci siamo capiti, vero?).
Proprio per questo lanciamo un appello ad aiutarci a diffondere questo comunicato ed a votare e sostenere i candidati del sindacalismo di base.
Facciamo in modo che ci sia una sentinella, competente e indipendente, a vigilare sul vostro zainetto.
LA NUOVA CONSULTAZIONE ELETTORALE SI TERRA’ NEL PERIODO
3 – 16 GIUGNO
E’ NECESSARIO VOTARE NUOVAMENTE!!!
VOTA E FAI VOTARE PER I CANDIDATI SOSTENUTI DAL SINDACATO DI BASE
AREE PROFESSIONALI
Consiglio d’Amministrazione
Giovanni Paolo Gallizio/Cinzia REY
Assemblea dei Delegati:
Mariacristina BORGIA
Paolo GIACOMINO
………………………………………………
QUADRI DIRETTIVI
Consiglio d’Amministrazione
Alfonso NAPOLITANO/Grazia BIORA
Assemblea dei Delegati:
Francesco DI MAURO
Renato STRUMIA
Non abbiamo presentato candidati per i SINDACI (consigliata scheda bianca)
Lo abbiamo detto quando abbiamo chiesto il vostro aiuto per superare il tradizionale ostacolo che ci viene frapposto da azienda e sindacati concertativi solo per poter partecipare alle elezioni: la raccolta di oltre 2.000 firme di sostegno (ne sono arrivate molte di più…).
Lo abbiamo detto nel nostro volantone programmatico che abbiamo distribuito nei giorni scorsi: siamo gli unici (al momento) ad aver parlato in dettaglio e diffusamente di contenuti, di criticità gestionali, di impegni per il futuro.
E lo diciamo ora in quello che, inevitabilmente, è il nostro appello al voto.
Si tratta di elezioni di particolare importanza, con ogni probabilità le ultime per il “vecchio” Fondo Sanpaolo IMI. Il progetto di unificazione degli Enti Previdenziali di Gruppo, fortemente voluto dall’azienda, sta infatti entrando nella fase decisiva. Il CdA che eleggeremo avrà quindi un compito delicato: sorvegliare con estrema attenzione un percorso che muove grandi interessi e, di certo, non è privo di rischi (e di possibili costi) per i lavoratori. Ma perché ciò avvenga è necessario che al suo interno ci siano anche “quelli del Sallca”, le “voci fuori dal coro”; consiglieri e delegati sicuramente competenti ma, in primo luogo, critici ed indipendenti rispetto a vertici aziendali e segreterie sindacali e pronti a denunciarne eventuali “accordi al ribasso”. Occorre in ogni modo evitare che si ripetano i marchiani “errori” compiuti nei percorsi di unificazione dei Circoli Ricreativi e, soprattutto, delle Casse Sanitarie, frutto dell’arroganza con la quale le cosiddette “fonti istitutive” (azienda e sindacati firmatari) hanno riservato a sé tutto il potere decisionale, non consultando mai la platea degli iscritti-lavoratori.
E, comunque, anche dal punto di vista dei meccanismi operativi e della governance, indietro non si può tornare ed il Fondo Unico dovrà necessariamente assumere come un dato di partenza quei livelli di trasparenza amministrativa, di efficacia e prudenza gestionale e di razionalità nella struttura dei controlli per i quali ci siamo battuti in questi anni di presenza nel Consiglio di Amministrazione del nostro Fondo.
Certo non è solo merito nostro (ci mancherebbe) e molto rimane ancora da fare. E tuttavia, in particolare nell’ultimo triennio, riteniamo importante il contributo che abbiamo dato nel migliorare le tecniche di gestione del Fondo (ad esempio, separando la figura del consulente finanziario da chi si occupa di monitoraggio), nel rafforzare il ruolo dei Consiglieri eletti dai lavoratori nel controllo delle dinamiche del comparto immobiliare (che così tante preoccupazioni aveva dato nel passato…), nella ristrutturazione del comparto etico, nell’ottenere dall’azienda il potenziamento delle strutture del Fondo dotandole di risorse dedicate e in possesso di competenze specifiche.
Per migliorare la governance del Fondo, peraltro, sarà necessario intervenire ancora per aumentare il grado di autonomia delle strutture interne ed evitare che il ruolo dei consiglieri sia svilito a mera ratifica di scelte prese altrove (e con criteri ignoti), come accaduto in occasione della nomina del nuovo Direttore o del Responsabile della Funzione Finanza.
In tale contesto, ci sembra di poter dire che i rendimenti finanziari ottenuti dai vari comparti del Fondo, decisamente molto positivi, siano ancora più apprezzabili perché sono anche il risultato di una “macchina” più efficiente, più sotto controllo e che spreca di meno e non, solo o tanto, il frutto di felici intuizioni “di mercato” dei gestori.
Ora tocca a voi. Se condividete i contenuti dei nostri volantini ed il nostro programma di lavoro, se avete apprezzato le nostre “storiche” battaglie per una gestione del Fondo più trasparente ed indipendente dagli interessi dei vertici aziendali e sindacali, vi chiediamo non solo di votare per i nostri candidati ma di diventare protagonisti della campagna elettorale convincendo le colleghe/i più disattente/i e tentate/i “dal tanto sono tutti uguali”.
I nostri clamorosi successi del 2009 e del 2012 non devono essere il motivo per “abbassare la guardia”. Per noi ogni volta è più difficile. Non dimentichiamo mai che continuiamo a confrontarci con organizzazioni che possono mettere in campo, per girare filiali e palazzi, centinaia di quadri “in distacco sindacale”, mentre la nostra campagna elettorale è, come sempre, essenzialmente basata sull’uso del tempo personale e sull’aiuto di iscritti e simpatizzanti cui chiediamo, anche questa volta, di arrivare dove noi non riusciamo.
VOTA E FAI VOTARE PER I CANDIDATI SOSTENUTI DAL SINDACATO DI BASE
A R E E P R O F E S S I O N A L I | Q U A D R I D I R E T T I V I |
C o n s i g l i o d i A m m i n i s t r a z i o n e | |
Si votano coppie di candidati (titolare + supplente). Se vuoi che almeno una presenza (su 14) non risponda al “blocco” azienda/sindacati concertativi e svolga una funzione di controllo e di denuncia ti chiediamo di utilizzare una sola preferenza, quella che ti indichiamo. | |
GALLIZIO Giovanni Paolo(Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale)REY Cinzia (supplente)
(Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale) |
NAPOLITANO Alfonso(Banco di Napoli – Na Ovest Ag.35)BIORA Grazia (supplente)
(Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale) |
A s s e m b l e a d e i D e l e g a t i | |
Si votano singoli candidati. Per mantenere una presenza critica ed indipendente in questo organismo usandolo come “tribuna” per far pesare le opinioni di quanti condividono il nostro programma e le nostre battaglie, vota entrambe/i le/i candidate/i che ti indichiamo. | |
BORGIA Mariacristina(Intesa Sanpaolo – Fil. Sanremo) | GIACOMINO Paolo(ISGS Moncalieri) |
DI MAURO Francesco(Banco di Napoli – Na Ovest Ag.22) | STRUMIA Renato(Intesa Sanpaolo – Fil. Personal Torino V. Piffetti |