Author Archives: gipo - Page 5

CRITICITÀ E OPPORTUNITÀ DELL’IPOTESI DI RINNOVO DEL CCNL DEL CREDITO

L’esilità del testo e il rinvio a successivi accordi di temi importanti concernenti il ridisegno dell’organizzazione del lavoro, dei profili professionali e dei conseguenti inquadramenti, rendono di difficile valutazione l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL del credito, firmata in aprile.

Uno spettro, o meglio una famiglia di spettri, uno per ogni gruppo bancario, si aggira eterea e pur presente costantemente, sullo scarno articolato: i piani industriali del prossimo futuro.

Questi ospiti non vengono descritti nel loro aspetto, non essendo naturalmente questa la sede, ma ne ricaviamo il terrificante ritratto, da una vera e propria ossessione sottesa all’ipotesi di accordo: la gestione degli esuberi. Questa acquista una centralità palese nell’economia del testo.

Così come tutte le strade portano a Roma, allo stesso modo, verrebbe voglia di dire, tutti i punti o quasi affrontati, conducono alla necessità di affrontare crisi ed esuberi. Vediamo.

Il fondo per l’occupazione istituito nella precedente tornata contrattuale, che come sappiamo è finanziato da noi lavoratori ed ha inondato le banche di giovani assunti (lo so non li vediamo, ma forse sono eterei, come gli spettri di cui sopra), è confermato, ma la sua natura viene radicalmente modificata. Se ne fa un ulteriore strumento di gestione delle tensioni occupazionali, che opererà in sinergia con il Fondo di solidarietà.

La lettura dei nuovi compiti del Fondo per l’occupazione, ci rimanda a scenari apocalittici: rioccupazione dei lavoratori destinatari della Sezione emergenziale del Fondo di solidarietà e dei lavoratori licenziati per motivi economici, riconversione finalizzata a fronteggiare possibili eccedenze di personale dovute a mutamenti nell’organizzazione del lavoro, quella di cui si è rimandato il complessivo riassetto, come accennato, ad accordi futuri e su cui quindi non ci è dato sapere nulla, nel momento in cui andremo in assemblea a discutere dell’approvazione dell’ipotesi di rinnovo.

Ma la serpeggiante presenza dei piani industriali che ci attendono, riaffiora anche nel punto più innovativo dell’ipotesi di accordo, quello che configura la formazione di uno strumento di coordinamento, finalizzato alla ricollocazione del personale.

Attraverso una piattaforma informatica avente lo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro settoriale, si assiste ad un inedito tentativo di gestione degli effetti delle ristrutturazioni. L’Ente bilaterale che ne dovrebbe sovraintendere il funzionamento, andrebbe a costituire una sorta di agenzia di collocamento settoriale, la cui scala dimensionale, potrebbe facilitare un più efficace mantenimento dei livelli occupazionali.

Il condizionale però è doppiamente d’obbligo, sia per l’incertezza dovuta ad un’articolazione normativa di dettaglio che manca, sia soprattutto, per quella che è a nostro avviso la più eclatante delle omissioni nel testo dell’ipotesi di accordo, ossia la disciplina delle esternalizzazioni.

Il generale peggioramento qualitativo dell’occupazione, con la diffusione della precarizzazione del rapporto di lavoro, si avvale prevalentemente nel nostro settore, della forma della cessione del ramo d’azienda. Per anni risparmiate da queste modalità organizzative, le banche sembrano ormai divenute gli avamposti più “avanzati” nella elaborazione di tali politiche aziendali.

Le esternalizzazioni sono divenute la principale minaccia psicologica incombente sui lavoratori del credito. Un fiume che ha abbattuto gli argini operativi tradizionali, potendo ormai riguardare qualsiasi attività svolta all’interno delle banche.

Il silenzio dell’ipotesi di accordo su questo punto, anche solo in termini di impostazione generale, è dunque assordante. Ed in connessione con il filo rosso della necessità di gestire le crisi occupazionali, sotteso ad esso, prospetta scenari davvero inquietanti.

Così come è costruita, l’ipotesi di accordo è da rigettare.

Però a nostro avviso essa pone dinanzi alle forze sindacali e ai lavoratori maggiormente conflittuali, uno spunto su cui avviare una riflessione.

Sia per quanto riguarda la piattaforma informatica di cui abbiamo già parlato, sia per ciò che concerne il prospettato Cantiere di lavoro che dovrebbe definire i nuovi profili professionali e il sistema di classificazione del personale, ci pare possa aprirsi uno spazio negoziale nuovo, solo prefigurato e teorico per il momento, ma che potrebbe essere tradotto nella possibilità di incidere sul riassetto del settore, perseguendo l’inclusione dei segmenti spinti fuori dal perimetro contrattuale dalla nuova articolazione produttiva.

Un’impostazione programmatica che però passa necessariamente per la costruzione di un diverso modello di rappresentanza sindacale, in considerazione anche del non secondario aspetto che, quale che sia il prossimo contratto collettivo, si tratterà del primo firmato nell’era del Jobs Act e dello scardinamento sostanziale dello Statuto dei lavoratori.

Ma questo è un nodo importante, che richiede una specifica discussione approfondita e su cui dovrebbero convergere le riflessioni di tutti coloro che sono disposti ad impegnarsi nella realizzazione di un ormai necessario adeguamento degli strumenti di lotta, adeguamento che a nostro avviso dovrebbe partire da una valutazione circa la funzionalità delle tradizionali categorie produttive, ad un’azione sindacale che debba tener conto del mutato contesto nazionale e, soprattutto, sovranazionale.

UNICREDIT – DAL CONTRATTO NAZIONALE ALLE EMERGENZE DI GRUPPO

unicreditb“Ma quanto siamo bravi, ma quanto siamo forti”. I Sindacati firmatari, come si può leggere sulla stampa nazionale di questi giorni, si autocelebrano per il grande lavoro svolto in occasione del rinnovo del contratto di categoria ed invitano  i lavoratori – ci sembrerebbe strano il contrario – ad approvare la piattaforma in votazione nelle prossime assemblee.

Tra i sindacalisti c’è chi addirittura si lascia andare a dichiarazioni entusiastiche tali da affermare di aver costretto i banchieri in un angolo e di aver messo in rotta l’ABI, obbligandola alla ritirata.

Cosa in realtà i banchieri abbiano ceduto non è dato a sapere, visto che nulla di quanto sbandierato con la piattaforma proposta dai sindacati firmatari è stato ottenuto. Quindi, più che di una grande vittoria, pensiamo si debba parlare di un pessimo pareggio, uno squallido zero a zero. E giocando pure male.

Avevamo un seguito tra i lavoratori (ed i due scioperi riuscitissimi sono lì a dimostrarlo!) e la vetrina di Expo ci avrebbe permesso di avere maggiore visibilità. Ed invece si è optato per mantenere il (pessimo) contratto del 2012.

Ma al di là del deludente rinnovo contrattuale, il peggio deve ancora venire.

Già, perché all’orizzonte si prospettano nuove fusioni e ristrutturazioni, il che si tradurrà in nuovi inevitabili esuberi. Con una certezza in più e, manco a dirlo, a favore dell’ABI: un CCNL che offre un quadro chiaro e vantaggioso alle banche fino al 2018.

E nel frattempo gli istituti di credito non stanno certo con le mani in mano. Prendiamo per esempio Unicredit e le nuove metodologie di lavoro (Smart working e Teleworking). Avevamo già più volte ribadito che l’assenza di un accordo sindacale avrebbe favorito l’Azienda e penalizzato i lavoratori. E l’Azienda non perde certo occasione per alzare l’asticella delle proprie richieste.

Abbiamo saputo infatti che, a decorrere dai prossimi nuovi dodici avvii di attività in telelavoro, sarà chiesto ai colleghi di avere in dotazione una linea   ADSL privata presso l’abitazione da cui opereranno. A fronte dell’utilizzo di detta ADSL privata si darà corso al rimborso forfettario di 20 euro mensili. Per chi è già in telelavoro si passerà alla nuova modalità al momento del rinnovo del contratto.

Al di là della questione economica (che potrebbe in realtà anche favorire i lavoratori), ciò che ci lascia perplessi è sapere che Unicredit paga per le proprie linee dati costi che sono al di sopra del valore di mercato. Dove sono i tanto sbandierati risparmi che si dovevano realizzare con il passaggio alla rete Fastweb? Sono questi i risparmi ottenuti con l’esternalizzazione dei colleghi e dei servizi in VTS ed AT&T?

Ma cosa ancora più grave è che, dopo aver eliminato i buoni pasto per Smart Worker e

Teleworker, si impone un nuovo servizio a carico dei lavoratori.

Il prossimo passo? E’ probabile che si chiederà ai lavoratori di utilizzare un PC personale. Ormai quale famiglia non ha un pc in casa? E se non ce l’hai (come per l’ADSL) te lo compri….

Questo a riprova che Smart working e Teleworking non sono nuove modalità di gestione  del  lavoro  ma  dei  “benefit”  che   l’Azienda  concede  a  propria discrezione ai lavoratori.

E mentre ai lavoratori si chiede di cedere sempre qualche pezzo (di diritti e salario) c’è chi, come Federico Ghizzoni, CEO di Unicredit, si aumenta il compenso del 30% e pensa di investire – ancora – i nostri soldi in nuove operazioni di acquisizioni nell’Est Europa. Speriamo non facciano la fine dei due miliardi di euro sperperati in Kazakistan.

Quello di Ghizzoni è un sostanzioso aumento che lo porta ad essere il banchiere più pagato in Italia (staccando di quasi 1 milione di euro il numero uno di Banca Intesa) .

Forse è per questo che nelle Agenzie è stato lanciato un nuovo servizio a pagamento che noi potremmo definire “un obolo per Ghizzoni”:  convincere i clienti a farsi rilasciare la “carta d’identità del  patrimonio immobiliare”. Al solo costo di 10€ e partendo dai dati catastali (senza quindi visionare l’immobile) viene rilasciata una valutazione dei propri immobili e terreni. Peccato che non scrivano che è una valutazione indicativa, con un valore medio per la vendita, ma bensì una valutazione di mercato (cosa che fra l’altro le Agenzie Immobiliari fanno gratuitamente). Complimenti a chi ha pensato questa politica commerciale. Ed a tale proposito c’è da chiedersi se le banche sono autorizzate a svolgere tale servizio.

Comunque quello che ci chiediamo è se , partendo dal principio di equità distributiva sancito nel CCNL in via di approvazione, ciò significherà un analogo aumento per  tutti i lavoratori del Gruppo. Noi ne dubitiamo. Il passato insegna.

In realtà noi ci accontenteremmo che si ponesse fine alla politica di esternalizzazioni selvagge, un concreto impegno del Gruppo contro lo stress lavoro correlato, un maggior investimento su  formazione e  crescita  professionale  dei  lavoratori  e  garantire quella mobilità infragruppo sempre decantata negli accordi sindacali e poco – per non dire mai – applicata.

Ma per poter dar corso a tutto ciò occorrerebbe una classe sindacale meno propensa a sottoscrivere accordi a tutela dei loro dirigenti e più attiva a tutelare i diritti dei lavoratori.

A questo proposito, ricordate quella pessima pagina di vita sindacale nel Gruppo di cui si era occupato persino Il Fatto quotidiano? Nel 2012 il quotidiano pubblicava, con tanto di nomi e cognomi, l’elenco dei sindacalisti Fabi, Sinfub e Uilca “risparmiati” dall’accordo sui pensionamenti “volontari”, che poi tanto volontari non erano. Le sigle sindacali avevano firmato un accordo che mandava a casa 600 bancari anziani e costosi con il sistema del prepensionamento.  A casa senza il loro consenso ma, come detto, con la benedizione di tutte le organizzazioni sindacali (ad esclusione delle RSA FISAC del Lazio: né quella di UBIS, né quella di UNICREDIT – RETE hanno firmato l’accordo del novembre 2012, nonostante fossero le uniche titolate a farlo, come prevede la Legge 223, perché solo nel Lazio c’erano 5 o più persone licenziate).

Ebbene in pochi mesi già 2 dei lavoratori ricorrenti in giudizio contro Unicredit hanno vinto la causa di licenziamento per palese discriminazione (ovvero non vi erano i requisiti di obiettività e razionalità nella scelta dei lavoratori da “cessare”).

I lavoratori insomma non erano “tutti uguali”   e nella scelta di chi mandare a casa

Unicredit ha adottato una buona dose di discrezionalità scegliendo appunto chi salvare. Per chi ogni giorno lavora nel Gruppo Unicredit c’è di che essere preoccupati….

INTESA SANPAOLO – DAL 13 AL 26 MAGGIO: ELEZIONI PER IL RINNOVO DEGLI ORGANI SOCIALI DEL FONDO PENSIONI SANPAOLO IMI

pensioniscrab L’ULTIMA VOLTA PRIMA DEL FONDO UNICO?

QUELLO CHE SEGUE E’ IL NOSTRO BILANCIO SULL’ATTIVITA’ E SULLE TRASFORMAZIONI DEL FONDO NELLO SCORSO TRIENNIO.

CERTAMENTE I NOSTRI ELETTI NON HANNO FATTO TUTTO DA SOLI, CI MANCHEREBBE. MA IL NOSTRO APPORTO E’ STATO DETERMINANTE.

 QUELLO CHE MANCA, CHE RIMANE DA COMPLETARE, PER IL QUALE BISOGNERA’ IMPEGNARSI E’ IL NOSTRO PROGRAMMA DI LAVORO PER IL PROSSIMO MANDATO.

QUESTO NON E’ UN VOLANTINO ELETTORALE COME GLI ALTRI. DICE COSE TRASPARENTI, CRITICHE E INDIPENDENTI. E’ QUESTO IL NOSTRO COMPITO. INDIETRO NON SI TORNA.


 

Non c’è dubbio: i rendimenti ottenuti dagli iscritti al Fondo Pensione nell’ultimo triennio sono stati sicuramente positivi, nonostante i mercati finanziari abbiano attraversato un periodo di elevata volatilità ed incertezza. Ovviamente è questo l’elemento centrale che va valutato, ma occorre anche tenere conto delle modalità con le quali si sono conseguiti tali risultati. Che finora sia andata bene, potrebbe essere una questione di mera fortuna, oppure il risultato di una logica di gestione attenta ed efficiente. Se non è certo che la buona sorte si ripeta, l’aleatorietà dei risultati può essere almeno limitata se si introducono meccanismi gestionali efficaci e logiche di scelta razionali ed indipendenti.

Di sicuro durante questo mandato sono state affrontate molte questioni che hanno decisamente migliorato le tecniche di gestione del Fondo.

Nell’ultimo anno, ad esempio, è stata realizzata la separazione tra la figura del consulente finanziario e quella di chi si occupa di monitoraggio: ora ci si avvale di due diverse società, scelte sulla base di un procedimento lungo e complesso. Tale sistema consente e consentirà al Fondo di essere maggiormente flessibile e, se il meccanismo verrà correttamente gestito, di cambiare uno o l’altro consulente, senza che vi siano rischi di discontinuità nella gestione.

Attualmente si sta cercando di concludere, entro la fine del presente mandato, il progetto di revisione della Sicav Lussemburghese per renderla maggiormente trasparente, per semplificare la struttura e nel contempo aumentare l’indipendenza dei controlli.

Anche la gestione del comparto immobiliare ha subito un forte cambiamento (ricorderete le incaute operazioni fatte con il discutibile immobiliarista Caputi sulle quali siamo spesso intervenuti).  La componente elettiva ha acquisito un ruolo meno marginale di prima ed ora su  alcuni  investimenti,  rivelatisi  sin  qui  problematici,  si  può  guardare  al  futuro  con  meno pessimismo, pur in un contesto di mercato oggettivamente assai difficile ed al momento, nonostante qualche timida ripresa, sempre più differenziato.

In particolare, la nomina di rappresentanti dei lavoratori nei comitati di gestione delle sgr immobiliari che detengono il patrimonio investito consente di impostare diversamente il rapporto con i rappresentanti delle sgr stesse: l’immobile della Magliana (Quorum sgr) e il pacchetto di immobili ex-Telecom (Fondo Tau di Fimit sgr) sembrano ora avviarsi verso una fase di consolidamento (dopo le alterne vicende passate) ed anche sul fondo che contiene gli immobili ex-Sanpaolo (Fondo Omega, sempre di Fimit sgr) il maggior coinvolgimento della componente elettiva del CdA potrebbe portare nuove idee e nuovi risultati.

Sempre in tema di investimenti immobiliari va segnalato che gli oneri di gestione di alcuni fondi sono stati convenientemente ricontrattualizzati. Nonostante le (dovute) prudenti valutazioni di bilancio, il risultato complessivo della gestione immobiliare si sta assestando su valori accettabili (+3% medio nell’arco del triennio), considerando l’andamento del settore.

Tra le novità di fine mandato è importante segnalare l’impegno preso dall’Azienda di potenziare in termini quantitativi e qualitativi le strutture del Fondo, iniziativa da tempo da noi sostenuta e che finalmente dovrebbe trovare soluzione entro la fine dell’anno. In particolare, dotare la funzione Finanza di risorse dedicate (e non da condividere con altri fondi del gruppo) in possesso di competenze specifiche, ci pare più un investimento che un costo.

Infine ricordiamo che il comparto etico è stato oggetto di ristrutturazione ed è ora affidato con mandato specifico ad un operatore specializzato. Siamo sempre stati convinti della necessità di dover fornire questa opzione agli iscritti, anche a prescindere dai peraltro ottimi risultati ottenuti negli ultimi anni (9,38% nel 2012, 8,69% nel 2013 e 10,436% nel 2014). La vox populi secondo cui gli investimenti etici garantiscono rendimenti inferiori è quindi tutta da dimostrare, visto che i rendimenti  sono  in  linea,  quando  non  superiori,  a  quelli  del  comparto  Equilibrato  (che rappresenta il profilo comparabile in termini di rischio). Purtroppo la gara con la quale si è assegnato a Eurizon Capital la gestione del comparto è stata condotta con troppa enfasi sul costo commissionale, piuttosto che sugli aspetti metodologici di scelta dell’universo investibile: ciò nonostante ora il comparto Etico rappresenta sicuramente una scelta concreta a disposizione di coloro che sono più sensibili ai temi della sostenibilità.

Le importanti innovazioni dell’ultimo triennio non sono ovviamente risolutive come dimostrano alcune vicende del Fondo, a partire dal mancato rinnovo di un nostro rappresentante nel fondo Omicron (immobili ex-Unicredit di Fimit sgr). Durante il prossimo mandato ci sarà da verificare l’operato del service amministrativo e sarà anche necessario rivedere il contratto con la banca depositaria alla luce del nuovo assetto della Sicav. Il comparto etico potrebbe inoltre essere nuovamente migliorato nell’ottica di sviluppare l’approccio SRI (Socially Responsible Investment) per sfruttare nuove metodologie di analisi dell’universo investibile.

Sempre con l’obiettivo di migliorare la governance del Fondo, sarà necessario intervenire per aumentare il grado di autonomia delle strutture interne, che ancora adesso sfuggono al controllo del CdA e restano spesso appannaggio “di chi paga”.

Ad  esempio,  le  modalità  che  hanno  condotto  alla  nomina  di  un  nuovo  responsabile  della funzione  Finanza,  prima,  e  successivamente  del  nuovo  Direttore  del  Fondo,  hanno  fatto emergere chiaramente che il ruolo dei consiglieri è stato di mera ratifica di scelte prese altrove (e con criteri ignoti). La figura del Direttore è per sua natura particolarmente importante perché ha un ruolo da garante. Il processo di scelta avrebbe dovuto coinvolgere l’intero CdA, anzitutto per individuare il profilo professionale necessario a svolgere tale ruolo, per poi valutarne la corrispondenza con i candidati. Niente di tutto ciò: l’Azienda ha presentato un nome unico alla “prendere o lasciare” senza dare alcuna indicazione dei criteri di scelta adottati.

Ci sembra più che evidente come un tale modo di procedere precluda ai consiglieri di amministrazione, perlomeno quelli elettivi, di svolgere pienamente il proprio ruolo e, soprattutto, un tale meccanismo non consenta di ritenere la figura pienamente super partes, nonostante si voglia comunque sostenerne l’indipendenza dalla componente aziendale del Fondo …

Lo Statuto (sigh!) prevede espressamente che la nomina avvenga su proposta aziendale, ma è ovviamente una forzatura considerarla una delega tout court all’Azienda. Che alcuni costi strutturali siano a suo carico non può diventare un alibi per limitare il ruolo del CdA, che non può essere svilito, soprattutto quando si devono scegliere figure centrali per la vita del Fondo. Ricordiamo in merito che i costi complessivamente sostenuti dall’Azienda sono pari a circa

1.200.000 euro (poco più dello 0,05% delle masse gestite). Tale contributo non può però essere motivo di un’eccessiva ingerenza nella gestione del Fondo, che dovrebbe essere totalmente  indipendente  al  fine  di  evitare  ogni  possibile,  ed  anche  solo  potenziale, conflitto di interessi.

La sfida più grande che attende il Fondo nel prossimo triennio è però il processo di unificazione dei fondi pensioni del gruppo.

L’iniziativa, fortemente voluta dall’Azienda, sembra poter avere un’accelerazione dopo la firma del contratto. E’ un obiettivo sfidante, anche perché le politiche di investimento dei due principali fondi attualmente esistenti sono fortemente divergenti.

Come  al  solito  i  sindacati  firma-tutto  si  arrogano  (per  l’ennesima  volta)  il  diritto  di decidere da soli e dall’alto, senza alcuna consultazione dei colleghi e degli iscritti in generale.

Il  processo,  infatti,  prevede  che  siano  solo  le  “fonti  istitutive”  ad  occuparsi  della creazione del nuovo fondo e, dopo i disastri del Circolo Ricreativo unificato e, soprattutto, del Fondo Sanitario Unico (quando lo scioglimento irregolare della Cassa ex Intesa ha determinato cause legali che hanno portato al “congelamento” delle riserve) è più che lecito essere seriamente preoccupati.

E’ bene ricordare che quando si parla di “fonti istitutive” si intende che le contrattazioni saranno appannaggio dei Vertici dei soli sindacati “firmatari”, sempre più autoreferenziali anche nei confronti dei rappresentanti delle loro stesse sigle eletti dai colleghi.

Chi tratta e deciderà lo Statuto del nuovo Fondo sono individui che spesso non si sono mai (o solo superficialmente) occupati di previdenza: è abbastanza prevedibile quindi che le scelte saranno principalmente guidate da logiche di potere e dalla onnipresente “ricerca di equilibri” tra le sigle sindacali (od al loro interno) e l’azienda.

Conoscendo la nota propensione di questa Banca ad ottenere risparmi anche a costo di inefficienze, sarà particolarmente importante che i consiglieri di amministrazione siano almeno coinvolti nei tavoli tecnici del processo di unificazione. In questo senso l’elezione di rappresentanti del Sallca è di fondamentale importanza per evitare che si ripetano i marchiani errori compiuti con l’unificazione dei fondi sanitari e per svolgere quel ruolo di presidio che solo una presenza realmente indipendente da logiche sindacalesi o aziendaliste può garantire.

Indietro non si torna! Rifiutati di votare, in blocco, liste preconfezionate di candidati il cui scopo è quello di monopolizzare la rappresentanza, escludendo ogni possibile voce critica, in particolare nel Consiglio di Amministrazione.

Se condividi i contenuti del nostro volantino ed il nostro programma di lavoro, se hai apprezzato le nostre “storiche” battaglie per una gestione del Fondo più trasparente ed indipendente dagli interessi dei vertici aziendali e sindacali 

n o n  f a r  m a n c a r e  l a  t u a  p r e f e r e n z a a l l e / a i c a n d i d a t e/i s o s t e n u t e/i  d a l  s i n d a c a l i s m o  d i  b a s e

 AREE PROFESSIONALI  QUADRI DIRETTIVI
Consiglio di Amministrazione
 Si votano coppie di candidati (titolare + supplente). Se vuoi che almeno una presenza (su 14) non risponda al “blocco” azienda/sindacati concertativi e svolga una funzione di controllo e di denuncia ti chiediamo di utilizzare una sola preferenza, quella che ti indichiamo. 
GALLIZIO Giovanni Paolo (Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale)REY Cinzia (supplente)

(Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale)

 

NAPOLITANO Alfonso (Banco di Napoli – Na Ovest Ag.35)BIORA Grazia (supplente)

(Banca dei Territori – Nuovo Centro Direzionale)

 

Assemblea dei Delegati
 Si votano singoli candidati. Per mantenere una presenza critica ed indipendente in questo organismo usandolo come “tribuna” per far pesare le opinioni di quanti condividono il nostro programma e le nostre battaglie, vota entrambe/i le/i candidate/i che ti indichiamo. 
BORGIA Mariacristina  (Intesa Sanpaolo – Fil. Sanremo) GIACOMINO Paolo (ISGS Moncalieri)
DI MAURO Francesco (Banco di Napoli – Na Ovest Ag.22) STRUMIA Renato (Intesa Sanpaolo – Fil. Personal Torino V. Piffetti     

INTESA SANPAOLO – STRESS LAVORATIVO E PRESSIONI COMMERCIALI: CONTRASTARLI SI PUO’!

stressDa tempo la nostra organizzazione è impegnata per contrastare questi fenomeni che  riguardano  (spesso  in  forma  intrecciata  tra  loro)  gran  parte  del  mondo bancario.

Per questo, quando un ricercatore universitario ci ha chiesto una mano per la diffusione di un questionario sui problemi della sicurezza in banca (legato al rischio rapina, ma più in generale sul timore di aggressioni allo sportello, anche per discussioni con i clienti), siamo stati ben contenti di aiutarlo. L’iniziativa, che coinvolge varie banche, è ancora in fase di svolgimento.

Nel frattempo, però, siamo partiti con un’altra iniziativa, più incisiva: un esposto all’Asl di Rivoli ed alla Procura di Torino sullo stress lavorativo in Intesa Sanpaolo.

Naturalmente non pensiamo che in questa banca lo stress sia superiore alla media di settore, però qui il problema è stato aggravato dall’introduzione degli orari estesi e dei turni.

La  nostra  tesi  di  un’insufficiente  valutazione  del  rischio  dello  stress  lavoro correlato, a fronte di una così significativa modifica dell’organizzazione del lavoro, è stata accolta dall’Asl, ed abbiamo notizia che sia stata imposta una Prescrizione all’Azienda (cioè l’obbligo di ottemperare alle richieste dell’ASL) rispetto ad un approfondimento dell’indagine sui rischi dello stress lavorativo.

Apprendiamo da comunicati dei sindacati firmatari che, a seguito anche di iniziative degli RLS, Intesa Sanpaolo ha dato incarico all’Università degli Studi di Milano di effettuare un’analisi sullo stress lavoro correlato, attraverso una scelta casuale, su gruppi di lavoratori che, in forma volontaria ed anonima, verranno coinvolti nella compilazione di un questionario e nella successiva partecipazione ad una fase di interazione di gruppo con uno psicologo.

L’indagine sta già avvenendo in varie regioni (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Lazio, Isole) coinvolgendo tutte le figure professionali di filiali dove vengono applicati gli orari estesi.

Ai lavoratori possiamo dare un semplice e banale consiglio: partecipate e dite la verità!!

E’ chiaro che questa indagine è conseguenza delle iniziative che sono state messe in campo. Non ci facciamo illusioni che ciò sarà sufficiente a frenare le aziende, in particolare sul terreno delle spinte commerciali: per questo serve la resistenza dei lavoratori ed una contrattazione sindacale che, a partire dal recente rinnovo contrattuale, non è, al momento, all’altezza del problema.

La nostra iniziativa, però, serve a dimostrare ai lavoratori che resistere è possibile e che l’arbitrio aziendale trova limiti nell’azione sindacale, se  la si vuol fare, e nelle leggi esistenti.

RIFLESSIONI SEMIFREDDE SUL CCNL DEL CREDITO

firmacontrattodi Renato Strumia

Il ragionamento sul contratto non può prescindere né dal contesto in cui si è svolto, né dalla vicenda dell’ultimo precedente rinnovo, che esponeva le segreterie al rischio di un nuovo e pesante flop. Lo sviluppo degli avvenimenti è stato per certi aspetti sorprendente, non era scontato né attendersi uno scontro vero (che invece in certi momenti è andato in scena non solo per finta), né una conclusione che per quanto mi riguarda è ben riassunta dal titolo “contratto prorogato” (nel bene e nel male, checché ne dica “Infoaut”).

Le banche questa volta sembravano decise ad andare fino in fondo, “cambiando verso” ad una storia di concertazione sociale “da manuale” che aveva permesso di gestire, per circa 15 anni, oltre 50.000 esodi con un patto da gentlemen, all’insegna del “non facciamoci del male”. I sindacati invece  non riuscivano a credere all’evidenza, cioè a farsi una ragione del fatto che la pacchia potesse essere finita e che le cose andassero riconquistate ripartendo da zero, cominciando proprio dal loro diritto a trattare (che avevano sempre considerato acquisito in via definitiva). Per riuscire a portare a casa la pelle, cioè a ripristinare lo status quo, questa volta è stato necessario battersi o perlomeno minacciare di farlo in modo serio e organizzato, peraltro riuscendoci abbastanza bene e a volte anche oltre i prevedibili esiti.

Il rinnovo del contratto, se visto alla luce della situazione del primo semestre 2013,  poteva essere immaginato in forma molto diversa: nel CCNL 19.1.2012 le banche avevano ottenuto quasi tutto, senza colpo ferire. I sindacati avevano persino truccato le carte per sostenere di avere il consenso a firmare un bidone. L’orchestrazione delle assemblee, il tentativo di sterilizzare la Campania e la Liguria ribelli, il rinvio alle calende greche delle assemblee nel Lazio, per evitare esiti letali, la generale mistificazione dei risultati non verificabili, avevano alla fine portato ad un risultato addomesticato presentabile (60-40%), ma poco credibile.

Al rinnovo del contratto era seguito il tradizionale riassorbimento della FISAC dissidente (che, nella più classica tradizione CGIL, ha considerata chiusa l’esperienza, una volta esaurita, e ha ricontrattato il riposizionamento interno), e la normalizzazione accelerata della Unisin-Falcri, ansiosa di riaccreditarsi come soggetto affidabile per il 1^ tavolo.  Del Comitato per il No è rimasto in piedi,  isolato e ignorato,  solo lo spezzone CUB-SALLCA.

Si poteva quindi pensare che ABI avrebbe “capitalizzato la capitolazione” dei sindacati anche per il rinnovo successivo, quello che si è appena concluso. In fondo in tutti i gruppi bancari sono stati impostati, nei mesi immediatamente successivi  al CCNL 19/1/2012, piani industriali di ampia portata, con esuberi ed esodi, riduzioni degli organici, solidarietà difensiva, esaurimento delle ferie, giornate di sospensione obbligatoria e/o volontaria, blocco dei percorsi professionali, non pagamento dello straordinario, peggioramento dei trattamenti di missione. Nei casi più gravi, laddove la situazione patrimoniale era così deteriorata da mettere in forse la stessa sopravvivenza dell’azienda come entità autonoma, abbiamo addirittura assistito  a forti riduzioni nelle prestazioni del welfare aziendale, al blocco o alla mancata erogazione del VAP, alla riduzione dei contributi previdenziali integrativi. Quasi ovunque, si è fatto ampio ricorso a forme di utilizzo del premio sociale, a carattere assistenziale, per ridurre il peso di tasse e contributi. Il tutto ha contribuito ad una forte riduzione del costo del lavoro, che alcuni istituti hanno quantificato in almeno il 10%. Uno studio di Prometeia, ripreso dall’ABI, quantifica un calo della componente stipendi nel settore di circa 5 miliardi (da 27 a 22 miliardi) nel periodo 2007-2017. Buona parte di questo calo è ascrivibile al CCNL 19/1/2012!

ABI avrebbe quindi potuto scegliere una linea soft, puntare ad un rinnovo a basso impatto sociale, con modalità silenti e consensuali. Invece sin dalla disdetta del settembre 2013 si è capito che non sarebbe stata una passeggiata rituale.

Se andiamo a sgranare la cronologia della sequenza contrattuale, in realtà, vediamo la costante presenza di un doppio binario, la vecchia tattica dei due forni, un continuo stop & go.

Nell’agosto 2013 ABI (gestione Micheli) rende noto un documento corposo in cui dipinge un quadro drammatico della situazione del settore, ne individua le cause nell’eccesso di costo del lavoro e chiede un cambiamento radicale della struttura contrattuale. A settembre 2013 segue formale disdetta del CCNL con ben 9 mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale. I sindacati indicono uno sciopero per il 31 ottobre 2013. Lo sciopero riesce con alte ed estese adesioni.

La trattativa riprende e si arriva ad un nuovo accordo sul Fondo di sostegno al reddito: vengono peggiorate le prestazioni per i lavoratori che hanno ancora  il sistema retributivo pieno, con penalizzazioni differenziate in base al reddito, ma lo strumento resta come principale ammortizzatore sociale di settore nel gestire lo svecchiamento della categoria e la gestione degli esuberi. Nello stesso tempo si sigla un accordo che individua un percorso di rinnovo del CCNL: entro il 28 febbraio 2014 deve essere presentata la piattaforma sindacale,  entro il 31 marzo 2014 deve iniziare la trattativa.

Alla fine di gennaio compare la “bibbia”: si tratta di un documento di fonte ABI, non ufficiale, probabilmente circolato nei contatti informali tra ABI e segreterie nazionali, che si decide di non diffondere e non rendere pubblico. Difficile però smentirne l’esistenza e l’autenticità: difficile soprattutto abiurarne i contenuti, che altro non sono che la trasposizione del documento di agosto in richieste operative, declinate con puntuali e precise rivendicazioni padronali in tema di riforme contrattuali da esigere.

Il documento crea imbarazzi e smentite, è evidente e palese che ha l’intento di condizionare o sovrapporsi all’elaborazione autonoma della piattaforma rivendicativa da parte dei sindacati, che invece procedono per conto loro a predisporre un documento sufficientemente generico ed accattivante per affrontare il percorso assembleare al riparo da brutte sorprese.

I tempi slittano, ma di poco: la piattaforma è pronta per inizio aprile, le assemblee la votano a grandissima maggioranza ed entro maggio viene inviata alla controparte: ci sarebbero i tempi per cominciare a discuterne, insieme al “nuovo modello di banca” che viene proposto dai sindacati alla controparte, all’opinione pubblica, al sistema delle imprese e dei risparmiatori. L’iniziativa dei sindacati è ad ampio raggio: si propone ai lavoratori una piattaforma che punta a difendere l’area contrattuale, a limitare le iniziative aziendali su appalti ed esternalizzazioni, a condizionare i piani industriali, a difendere l’occupazione, a recuperare il potere d’acquisto attraverso una richiesta economica pari a 175 euro al mese da acquisire entro la scadenza del contratto, prevista al 30.06.2017. Nello stesso tempo si propone alle banche un patto in difesa dell’occupazione basato sull’aumento dei ricavi, sull’apertura a nuove figure professionali e a nuovi servizi (consulenza fiscale e amministrativa, intermediazione immobiliare, offerte di nuovi pacchetti di servizio, ecc.), mentre si cerca di rendersi simpatici a imprese e consumatori, sponsorizzando l’uso della leva del credito come strumento di sostegno all’economia reale, in luogo della finanziarizzazione spinta del modello economico di riferimento.

La trattativa però stenta a decollare: in ABI scade il mandato di Francesco Micheli come presidente del CASL e subentra Alessandro Profumo, che prende in mano la trattativa dalla fine di luglio 2014. Il primo scoglio da affrontare è il consolidamento in tabella degli aumenti retributivi del CCNL 19.1.2012: il famoso EDR. L’accordo del 6.10.2014 prevede l’inserimento in tabella con decorrenza 1.1.2015 e la “saldatura” del contratto scaduto il 30.6.2014 con quello nuovo che si andrà a rinnovare, auspicabilmente, entro la fine dell’anno. Ma nel merito della trattativa, a questo punto, non si è ancora entrati.

Gli incontri riprendono senza costrutto fin quando,  a inizio novembre 2014, l’ABI presenta un documento di 6 cartelle che ripropone in versione stringata e sintetica le richieste che da oltre un anno “girano” attorno alla trattativa senza mai essere formalizzate. ABI chiede di depotenziare il CCNL ad una semplice cornice, che stabilisca norme e minimi retributivi base, per lasciare alla contrattazione di 2^ livello gli spazi opportuni per adattare la struttura contrattuale alle specifiche esigenze aziendali. Chiede di poter applicare ai back office trattamenti compatibili con i “mercati di riferimento”, cioè orari aumentati e retribuzioni ridotte. Propone di separare più nettamente i servizi amministrativi dalla rete commerciale, con l’introduzione di forme di lavoro autonomo.   Chiede di rivedere la struttura degli inquadramenti, accorpando i livelli da 13 a 6  e porre rimedio alla situazione di eccessivo addensamento delle figure professionali nell’area dei quadri direttivi. Chiede di rinnovare il contratto a costo zero, precisando che non ci sono margini economici per concedere aumenti retributivi. Partendo da una ricostruzione degli indici d’inflazione effettiva e dalla previsione di una situazione deflattiva, offre un aumento economico dell’1,85%, precisando che nell’offerta economica devono essere inclusi anche gli effetti del ripristino degli scatti di anzianità, mentre resterebbe il blocco del TFR con il conteggio delle soli voci previste nell’ultimo triennio.

A questa impostazione dell’ABI i sindacati reagiscono con la rottura delle trattative, anche se l’indizione di scioperi è preclusa in quanto deve trascorrere il semestre di raffreddamento del conflitto previsto dal protocollo di settore del 24.10.2011. La proclamazione del 2^ sciopero di categoria viene così rinviata al nuovo anno e viene fissata al 31.01.2015, con l’indizione di 4 manifestazioni di piazza, che si svolgeranno a Milano, Ravenna, Roma e Palermo, mentre la CUB-SALLCA manifesta a Torino.

Lo sciopero ottiene un’ottima adesione e sorprendentemente anche le manifestazioni di piazza riescono bene, con una buona copertura mediatica. In particolare la manifestazione di Milano vede sfilare, oltre ad una nutrita delegazione di sindacalisti di mestiere, sia del settore che confederali, anche molti lavoratori ruspanti e partecipativi.

Il contratto dei bancari diventa per qualche settimana l’emblema di una situazione più generale in cui oltre 7 milioni di lavoratori hanno il contratto scaduto e l’azione congiunta di governo e padronato contribuisce ad alzare la tensione sociale anche in settori dove la presenza, seppure ridotta, di utili e margini potrebbe favorire la ripresa della domanda e un ruolo della contrattazione. La scarsa popolarità di cui godono i banchieri, la moderazione della piattaforma  e la determinazione dei lavoratori nel partecipare alle lotte, alla fine convincono l’ABI a riprendere il negoziato con obiettivi più contenuti. La trattativa finisce per concentrarsi sui tre soli nodi della parte economica, della revisione degli inquadramenti e delle garanzie da mantenere sull’area contrattuale. Di fatto lo scambio avviene, dopo la convulsa settimana precedente alla possibile disapplicazione del contratto, tra parte economica e parte normativa.

La durata del contratto viene prorogata al 31.12.2018, gli aumenti vengono scaglionati su tre anni, con prima decorrenza 1.10.2016, la consistenza è dimezzata rispetto alla richiesta iniziale e una parte rilevante degli aumenti viene finanziata dal permanere del blocco delle voci su cui viene conteggiato il TFR. Nel corso dell’intera vigenza del contratto, che diventa quadriennale, così come la contrattazione integrativa aziendale, l’impatto economico è contenuto al 3% circa. Si tratta di un aumento infimo per la stragrande maggioranza dei lavoratori.

Gli unici ad avere qualche motivo di soddisfazione per la parte economica sono naturalmente i lavoratori di nuova assunzione, che vedono ridursi l’abbattimento del salario d’ingresso dal -18% al -10%. Per  coloro che sono già in servizio, in quanto assunti/confermati sulla base del CCNL 19.1.2012,  il recupero avviene a spese del FOC, che come sappiamo è finanziato per il 90% dai lavoratori (in termini di banca ore/festività soppresse) con modalità obbligatorie e per il resto dal Top management che versa con modalità volontarie il 4% della propria retribuzione contrattuale, mentre le aziende non contribuiscono per nulla (ente bilaterale molto anomalo!).

Le contropartite per l’esito umiliante della parte economica consistono nella “tenuta” dell’area contrattuale e nel “rinvio” della manovra sugli inquadramenti. Sul primo versante le aziende hanno rinunciato ad ampliare in modo incontrollato l’area dei contratti complementari, che peraltro sono previsti in contratto sin dal 1999 e che dovrebbero funzionare soprattutto nell’improbabile fase dell’insourcing, cioè quando si riportano dentro il perimetro societario delle lavorazioni appaltate all’esterno. Sul secondo versante si è deciso di aprire un “cantiere di lavoro”, che entro 12 mesi dovrebbe produrre una sintesi, da applicare poi nel contratto successivo: intanto però le banche possono contrattare nuovi inquadramenti in sede aziendale, stabilendo situazioni ex-novo.

Ovviamente viene dato molto rilievo al FOC, che da fondo bilaterale destinato a produrre o stabilizzare nuova occupazione dovrebbe estendere la sue prerogative anche al riassorbimento di lavoratori espulsi in seguito a situazioni di crisi, o alla loro riqualificazione professionale. Di fatto le aziende potranno attingere, senza obbligo, a questo bacino, se vi troveranno le competenze che cercano, mentre le risorse saranno, come prima, a carico dei lavoratori, come abbiamo già ribadito.

In  sostanza le aziende portano a casa un contratto “snello”, molto distante da quello su cui puntavano, ma anche poco costoso rispetto agli impegni esigibili. Nei fatti hanno ottenuto nell’arco di tempo in cui si è svolta la vicenda contrattuale, innumerevoli e imprevisti vantaggi “extra-contrattuali”, che hanno in parte abbassato le loro pretese e intercettato le loro reiterate richieste alla “politica”. Basti pensare ai 2,5 miliardi di euro che nel triennio riusciranno a recuperare come conseguenza del nuovo trattamento fiscale riservato all’ammortamento dei crediti incagliati. Basti pensare ai 3,7 miliardi che riusciranno a risparmiare in base alla legge di stabilità e all’esenzione della base imponibile IRAP. Basti pensare ai 7,5 miliardi che hanno ottenuto come rivalutazione patrimoniale delle quote detenute in Banca d’Italia. Basti pensare agli 8.000 euro annui che riusciranno a risparmiare, per i primi tre anni,  per ogni lavoratore neo-assunto, come effetto della de-contribuzione (sommando, vengono fuori 24.000 euro a cranio). Per non parlare dei vantaggi del nuovo contratto a tutele crescenti per i lavoratori assunti dopo il 7.3.2015 e delle possibilità che si aprono con le norme applicative del Jobs-Act.

I sindacati chiudono la vicenda cantando vittoria e non perdono occasione per auto-incensarsi. In realtà la trattativa si chiude con un sostanziale pareggio, che lascia totalmente irrisolti i problemi pregressi, dal peso non certo irrilevante.

Si pensi alla vicenda degli orari, di lavoro e di sportello, che sono stati liberalizzati con l’ultimo contratto e non hanno conosciuto alcuna rivisitazione critica, nonostante siano evidenti gli impatti devastanti nell’organizzazione dell’unica banca (Intesa Sanpaolo) che li ha applicati in modo esteso e massiccio.

Si pensi alla vicenda dei Consorzi ed al loro utilizzo per costituire in società pezzi di lavorazione da cedere poi a soci esterni al perimetro contrattuale del credito (Unicredit, Banca MPS, Bnl), con le fragili tutele che tendono ad indebolirsi ulteriormente nel tempo e che anche le nuove previsioni in termini di Area Contrattuale non possono impedire.

Si pensi allo spazio enorme concesso sul terreno del salario, spazio che sarà riempito da nuovi e corposi sistemi incentivanti su iniziativa aziendale, in barba a tutti gli impegni contro le politiche commerciali aggressive.

Si pensi ai nuovi modelli distributivi, che fanno ogni giorno carta straccia degli accordi esistenti in tema di inquadramenti, indennità, mansioni, e che vengono usati per anticipare nuovi schemi contrattuali, mai discussi con  i rappresentanti dei lavoratori.

Non si tratta quindi di vedere il bicchiere mezzo vuoto (come fa la Fisac malpancista) o mezzo pieno (come fa “Infoaut”), ma di cogliere il senso di questo rinnovo sul piano politico e sindacale.

Un’occasione sprecata per riconquistare il terreno perduto, nonostante i rapporti di forza messi in campo in categoria di fronte alla protervia dei banchieri.

Un ulteriore passaggio verso un sistema più deregolato, dove la riduzione al minimo del recupero retributivo lascerà a mani vuote i lavoratori delle imprese in forte crisi (Mps, Carige, Banca Marche, Pop. Etruria e via commissariando) ed apre grandi spazi di discrezionalità aziendale laddove i margini restano (o tornano) più alti e la situazione patrimoniale più solida. Gli ammortizzatori sociali continueranno ad essere finanziati dal contributo dei lavoratori, in una fase dove si vedrà poca nuova occupazione e nuovo intensificarsi del flusso in uscita (anche come conseguenza delle nuove aggregazioni connesse alla riforma delle banche popolari).

Denunciare questo stato di cose anche attraverso il voto negativo sull’ipotesi di rinnovo mi sembra una scelta coerente, seppure complicata da articolare e spiegare. L’auspicio è che non tutti i quadri sindacali abbiano la mente ottenebrata da questo apparente successo e che resti un po’ di materia grigia e senso della realtà per valutare le cose nel merito e intravvedere gli scenari di mutamento radicale che si aprono nel settore.

Torino, 16.4.2015                                                                                              RENATO STRUMIA

CCNL BANCARI, VERSO LE ASSEMBLEE

mani-alzateoL’attacco dell’ABI è stato respinto.
Il Contratto Nazionale rimane in sostanza quello sancito dalla pesantissima sconfitta del
2012. Quello che ha consentito manovre sugli orari devastanti (come in Intesa Sanpaolo); quello che ha spinto ai margini della categoria e che tiene in uno stato di incertezza e precarietà migliaia di lavoratori ceduti ai Consorzi (come in BNL, Unicredit, MPS); quello che ha concesso alle banche enormi e strutturali risparmi sul terreno del salario contrattato, lasciando praterie alla discrezionalità dei sistemi incentivanti; quello che non è riuscito ad impedire l’esplodere del fenomeno delle pressioni “alla vendita”, sempre più opprimenti.

L’attacco dell’ABI è stato respinto.
Ciò significa in termini più concreti che l’area contrattuale rimane quella attuale e che la manovra sugli inquadramenti viene rinviata.
Sul primo versante, le aziende hanno rinunciato ad ampliare l’utilizzo dei contratti complementari ma, in compenso, nessuno degli strumenti di rafforzamento delle attuali fragili tutele è stato ottenuto, né impegni più cogenti sul terreno dell’insourcing, una delle tante bufale del 2012.
Sul secondo versante si è deciso di aprire un “cantiere di lavoro”, che entro 12 mesi dovrebbe produrre una sintesi da applicare poi nel contratto successivo: intanto però le banche potranno contrattare nuovi inquadramenti in sede aziendale e non è detto che sarà per migliorarli!!

L’attacco dell’ABI è stato respinto.
La cornice contrattuale quindi è stata difesa (ed è ovviamente un bene preziosissimo) ma è quella debole e manomessa da anni di sconfitte ed arretramenti. I banchieri, tutto sommato, se ne sono fatti una ragione visto che sono stati loro a chiedere di prolungare la durata del nuovo contratto (sino a fine ’18). Presto ripartirà il risiko bancario (crisi aziendali, banche popolari) ed il ventaglio di strumenti che già hanno a loro disposizione (quadro legislativo, effetti del jobs act, possibilità di deroghe al contratto nazionale, nuovi inquadramenti) sono stati ritenuti, ahimè, più che sufficienti per affrontare quattro anni di ristrutturazioni e contrattazioni aziendali beneficiando di rapporti di forza consolidati.

L’attacco dell’ABI è stato respinto e qualche sacrificio era necessario.
Per esempio quello di buttare alle ortiche un’intera piattaforma, l’ennesima (ma perché continuano a farle?).
Non ci sarà nessun “nuovo modello di banca”, concetto sul quale i sindacati firmatari puntavano forte e per il quale nelle assemblee si erano spesi con parole roboanti. Resterà in vigore quello amato da banchieri, faccendieri, poteri forti.
La questione centrale delle pressioni commerciali non è stata nemmeno affrontata. Nulla nemmeno sul terreno della riduzione della discrezionalità aziendale in tema di orari di sportello o di sistemi incentivanti. Nessun risultato in positivo, come detto, anche sul fronte delle cessioni di ramo d’azienda.

L’attacco dell’ABI è stato respinto e qualche sacrificio era necessario.
Per esempio il salario, visto che siamo di fronte al secondo contratto totalmente autofinanziato. Lo dimostra in primo luogo il fatto che nel corso della “trattativa” sia stato ridotto l’importo e prorogata la decorrenza della prima tranche di “aumenti” (sino ad arrivare ai ridicoli 25 euro lordi dell’ottobre 2016) pur di far quadrare comunque i conti.
Si dice che nel 2012 andò peggio, peccato che allora solo il fronte per il NO svelò il trucchetto mentre i sindacati firmatari, dopo aver negato l’evidenza nelle assemblee, recentemente hanno giurato che non sarebbe più successo. E’ invece è accaduto, visto che la riduzione della base di calcolo del TFR (ormai strutturale e addirittura retroattiva!!) si porterà via buona parte degli incrementi tabellari ed il resto lo farà il conseguente impatto sulla previdenza integrativa (cosa che, detto per inciso, penalizza fortemente proprio i giovani…)

L’attacco dell’ABI è stato respinto e in più il Contratto ha un’anima sociale.
Su questo non ci possono essere dubbi e lo diciamo senza alcuna ironia.
Solo che “la solidarietà” non è il frutto di un concorso tra le due controparti ma è tutta farina del nostro sacco. Sono infatti circa 1.200.000 giornate lavorative aggiuntive quelle che la categoria “offre” per sostenere il prolungamento della durata e l’allargamento delle finalità del FOC (Fondo per l’Occupazione) nel quale, ricordiamo, le banche non mettono un euro. Siamo noi quindi che forniremo ai banchieri gli incentivi economici per favorire la rioccupazione dei lavoratori licenziati nel settore, la solidarietà espansiva, la riconversione professionale, le nuove assunzioni. E saremo noi, e questo ha del clamoroso, a pagare agli attuali apprendisti il parziale recupero salariale (oltre 200€ lordi) rispetto alle tabelle contrattuali (dal -18% al -10%).

Ed a questo proposito è giusto rimarcare come l’incremento del “salario di ingresso” per i futuri assunti, sprofondato negli anni a livelli imbarazzanti, è una delle poche buone notizie che ci riserva questo rinnovo contrattuale. Anche in questo caso, tuttavia, l’operazione è a costo zero per le banche visti gli sgravi fiscali (8.000 euro all’anno per tre anni) previsti dal jobs act, per non parlare, ovviamente, dei vantaggi derivanti dal fatto di poter assumere lavoratori precari e licenziabili (anche ingiustamente) a vita.

L’attacco dell’ABI è stato respinto in un contesto molto difficile.
Nessuno può metterlo in dubbio. Solo che dipende sempre da chi racconta la storia e spesso le Premesse ad un Contratto non mentono su chi sia il vero vincitore. Nel nostro caso contengono una narrazione ideologica ed unilaterale (che appunto definisce il contesto) che è vergognoso aver cofirmato (e condiviso o subìto).
Non una parola sulle responsabilità dei banchieri e della finanza per la crisi che ci attanaglia; non una sugli scandalosi emolumenti dei top manager; nulla sugli oltre 13 miliardi di euro che recente provvedimenti del Governo hanno garantito alle banche per rafforzare patrimonio o conto economico (per non parlare dei fiumi di denaro a tasso zero elargiti dalla BCE). Nessun commento alle avventure finanziarie di banchieri incapaci e condannati che hanno portato alla rovina banche secolari. E nessuna scusa sul fatto che fossero proprio loro a guidare la delegazione del 2002 che invocava (e ottenne) sacrifici e responsabilità sociale.

L’attacco dell’ABI è stato respinto ma noi voteremo NO perché riteniamo che si tratti dell’ennesima occasione persa. Alla continuità delle mobilitazioni (dopo due scioperi e manifestazioni riuscitissime) si è preferito il confronto-teatrino tra gruppi dirigenti che “sanno” quando è il momento di chiudere. Ed il punto di “mediazione” raggiunto è per noi del tutto insufficiente.

CONTRATTO CREDITO: NESSUNA RIVINCITA, NESSUN RECUPERO, NESSUN NUOVO MODELLO DI BANCA, “PROROGATO” IL PESSIMO CCNL DEL 2012

images2Questa ci pare la sintesi di una vicenda durata un anno e mezzo, con due scioperi di categoria (non accadeva da 12 anni) e azioni di denuncia all’opinione pubblica (che hanno dato molto fastidio ai banchieri), due proroghe della scadenza contrattuale, un finale thriller, con rottura delle trattative, ripresa quasi immediata, volata finale alle 5 del mattino del 1 aprile…

I  toni  entusiastici  dei  vertici  dei  sindacati  firmatari  (tornati  ad  un  unico  tavolo, compresa l’ex ribelle Falcri) non lasciano dubbi: difesa l’area contrattuale, tutelata vecchia e nuova occupazione, migliorata la condizione dei neoassunti, ottenuto un aumento di 85 Euro a regime.

E’ davvero così? Le sette paginette e quattro righe in cui si condensa questo rinnovo contrattuale (di cui due pagine di retorica inconcludente sullo stato dell’economia italiana) cominciano già a suggerire qualche dubbio.

 

Area Contrattuale

E’ indubbiamente stata difesa dagli attacchi della controparte e nessuno può svilire l’importanza di questo risultato. D’altra parte, è anche vero che nessun miglioramento  presente  nella  piattaforma  dei  sindacati  firmatari  è  stato ottenuto.

Il mantenimento del contratto del credito in caso di cessione è una tutela fondamentale, ma resta il nodo del controllo societario (come richiesto nella nostra piattaforma) o perlomeno di un rafforzamento della nozione di controllo societario (come richiesto nella piattaforma dei sindacati firmatari) per far cessare lo stato di incertezza e precarietà in cui vivono le migliaia di lavoratori ceduti a società dove la banca  mantiene  una  quota  di  minoranza  (si  pensi  alle  Newco  di  Unicredit)  o nemmeno quella (Fruendo di Mps).

Processi che, come noto, vengono “guidati” da quelle costosissime e utilmente dannose società di consulenza di matrice anglosassone che poi addirittura, ad esempio nell’ultimo caso citato, diventano azioniste di riferimento delle nuove società. Bella quindi l’idea, nella piattaforma dei sindacati firmatari, di introdurre informative sulle società di consulenze alla stregua degli appalti. Peccato che non sia stata neppure discussa!

 

Occupazione e Jobs Act

Questo tema ruota intorno al Fondo per l’Occupazione (FOC) e su questo va chiarito preliminarmente un punto: il FOC è pagato da noi, visto che è finanziato per il 90% attraverso la giornata di ex festività o banca ore sottratta obbligatoriamente ai lavoratori e per il restante 10% dal contributo volontario dei top manager pari ad un 4% dei loro emolumenti.

Il FOC è stato istituito con il rinnovo contrattuale del 2012 per favorire la creazione di nuova occupazione stabile nel settore “incentivando” le banche ad assumere a tempo indeterminato. Ricorderete, nelle assemblee, le promesse dei sindacati firmatari sulle previste 30.000 nuove assunzioni…

In realtà è servito sostanzialmente per rendere più economica la conferma degli apprendisti. Ora il Fondo viene prorogato sino al 31 dicembre 2018 allargando il suo campo d’azione per favorire la rioccupazione di lavoratori licenziati nel settore, la solidarietà espansiva, la riconversione e riqualificazione professionale, l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Sono circa 1.200.000 giornate lavorative aggiuntive che la categoria mette sul piatto per ridurre il costo del lavoro.

In caso di nuove assunzioni le aziende valuteranno prioritariamente le posizioni di chi si trova nella sezione emergenziale del Fondo di Solidarietà. Ovviamente non c’è nessun obbligo, ogni banca valuterà se gli conviene assumere un lavoratore già formato (con relativo contributo pagato da noi come lavoratori) o un giovane con il contratto  a  tutele  crescenti  (in  realtà  inesistenti)  con  relativo  contributo  pagato sempre da noi (come cittadini).

E incredibilmente sarà sempre il FOC (cioè noi) a pagare agli attuali apprendisti il parziale recupero salariale (oltre 200€ lordi) rispetto alle tabelle contrattuali (dal -18% al -10%).

E’ comunque ovvio che l’incremento del “salario di ingresso” per i futuri assunti, sprofondato negli anni a livelli imbarazzanti, è una delle poche buone notizie che ci riserva questo rinnovo contrattuale.

Rispetto al jobs act l’accordo di rinnovo prevede che la continuità con le vecchie tutele sia prevista per le cessioni volontarie ed individuali di contratto, per il passaggio in nuove aziende (NewCo) e per le cessioni di ramo d’azienda (questo ultimo caso, peraltro, previsto dalla stessa legge).

Il punto che conferma il mantenimento di ciò che resta dell’art.18 a chi è in servizio al 7 marzo 2015 dovrebbe garantire che anche gli attuali apprendisti avranno questa tutela (non prevista dal jobs act): ci mancherebbe, visto che la loro stabilizzazione è pagata dal FOC…

 

Aumenti contrattuali

Tralasciamo di ricordare la richiesta di 175 Euro di aumenti medi nella piattaforma dei sindacati firmatari: eravamo talmente consapevoli delle difficoltà “di fase” che nelle nostra  piattaforma,  realisticamente,  avevamo  proposto  un  aumento  di  100  Euro uguale per tutti.

Ciò nonostante il risultato ottenuto è veramente sotto ogni limite di accettabilità. La progressiva riduzione e dilazione della prima tranche (25 euro lordi a partire da ottobre 2016!!!) è la conferma più lampante di un “aumento”, ancora una volta, totalmente fittizio in quanto  autofinanziato dai lavoratori stessi con la riduzione della base di calcolo del TFR (vengono considerate le sole voci di paga base, scatti e importo ex ristrutturazione tabellare) che si ripercuote anche (con un’interpretazione estensiva delle aziende) sulla base di calcolo della previdenza integrativa.

Certo nel contratto precedente era andata anche peggio, ma la beffa rimane, con l’aggiunta che il contratto viene prolungato di un anno e mezzo fino al 31 dicembre 2018.

 

Inquadramenti

Su questo punto l’assalto dell’Abi, per ora, non è passato, ma la partita rischia solo di essere rinviata al “Cantiere di lavoro” che dovrà occuparsene nella prospettiva già del successivo rinnovo contrattuale. Ci chiediamo se verranno poste al vaglio dei lavoratori le posizioni sindacali per conferire loro un mandato preciso, ma temiamo di immaginare già la risposta.

Oltretutto la previsione che è stata introdotta di possibili contrattazioni sul tema a livello aziendale potrebbe riservare brutte sorprese.

La fungibilità all’interno della categoria dei quadri permane. Vero che l’Abi avrebbe voluto estenderla ancora di più, ma questo non rende meno grave la cosa.

Ricordiamo che nella nostra piattaforma avevamo chiesto la reintroduzione degli automatismi (tema che fa venire l’orticaria alla controparte) che però è del tutto coerente con il concetto di fungibilità che esiste da tempo nelle Aree Professionali, dove le declaratorie dei livelli non sono ben definite.

 

Un’altra piattaforma cestinata

La soddisfazione delle segreterie sindacali per l’accordo siglato si accentua quando fanno l’elenco delle richieste dell’Abi che sono state respinte.

Noi  che  continuiamo  a  pensare  che  le  trattative  non  debbano  essere necessariamente in perdita, preferiamo ricordare cosa è stato lasciato per strada, senza nemmeno mai essere realmente messo in discussione, rispetto alla piattaforma approvata dai lavoratori e, soprattutto, rispetto alle difficoltà della realtà lavorativa quotidiana.

Il nuovo modello di banca: i sindacati firmatari ci avevano puntato forte (almeno nella propaganda assembleare); resterà in vigore quello amato da banchieri, faccendieri, poteri forti.

Le pressioni commerciali: non c’è assolutamente nulla, non ritenendo di dover neppure commentare le quattro frasi di maniera contenute nell’ipotesi di accordo, che sono la classica aria fritta per coprire il misfatto.

Anzi, l’ulteriore declino del salario reale contrattato, unito alla piena discrezionalità aziendale su percorsi professionali, inquadramenti e formazione, lasciano aperte le praterie alle banche per continuare imperterrite con le consuete pratiche.

I sistemi incentivanti: anche qui, in assenza di reali aumenti contrattuali e di interventi forti sulle politiche commerciali, nulla cambia.

Gli   orari:   sebbene   la   piattaforma   delle   altre   sigle   non   prevedesse   nulla sull’argomento, nella nostra si tornava a ragionare sul terreno della riduzione dell’orario di lavoro e soprattutto sulla necessità di rimettere mano all’eccesso di flessibilità concesse in materia di orari di sportello, flessibilità che le aziende hanno mostrato di saper gestire in modo disastroso per i lavoratori e senza benefici per l’occupazione.

Oltretutto, nel precedente contratto, nella fretta di concedere mani libere alla aziende sugli orari, i sindacati firmatari si sono dimenticati di tutelare il diritto di assemblea che, laddove sono stati introdotti gli orari estesi, è fortemente penalizzato.

Se, quindi, i propositi dell’Abi di spianare il contratto del credito sono stati respinti, nessuno   dei   principali   problemi   della   categoria   è   stato   per   lo   meno parzialmente risolto (fatto salvo, lo abbiamo detto, la riduzione del gap salariale dei neoassunti).

 

La cornice contrattuale nazionale rimane (ed  è  ovviamente  un bene preziosissimo)  ma  è  quella  debole  e  manomessa  da  anni  di  sconfitte  ed arretramenti, quella che ha accompagnato sin qui il costante peggioramento delle condizioni salariali e normative della categoria, quella che consentirà alle banche  quattro  anni  di  contrattazioni aziendali (sino  al  ‘19…)  partendo da rapporti di forza immutati.

Nessuno nasconde che il contesto era ed è difficile, con livelli di disoccupazione insostenibili, un mercato del lavoro devastato ed un governo pregiudizialmente ostile ai lavoratori.

E tuttavia non si sfugge all’impressione che ancora una volta un’occasione sia stata persa e che molte carte potessero essere ancora giocate visto il contesto di sostanziale unità sindacale, il forte e non scontato successo delle mobilitazioni, il discredito dei banchieri mai forte come in questo periodo.

Si è preferita invece la solita partita di scacchi giocata ai vertici e si è deciso per lo stallo.

A questo punto la parola passa alle lavoratrici ed ai lavoratori. Noi pensiamo che questo accordo vada bocciato perché, come detto, vi erano le condizioni per continuare la mobilitazione e raggiungere qualche risultato sostanziale.

In gioco non c’è solo il modello di banca, ma anche il modello di sindacato. Sta ai lavoratori decidere se continuare sulla strada di un ritorno affannoso a politiche di concertazione e collaborazione con i banchieri o tentare la strada, certo difficile e piena di difficoltà, di una linea di contrasto reale alle politiche che da quasi trent’anni stanno portando ad una progressiva svalorizzazione del nostro lavoro.

INSIEME CONTRO IL BARATRO 3

spimipensTorniamo a presentare i contributi inviati dai colleghi/e.

In questo numero ci occuperemo di attività di cassa e dei problemi che derivano dagli orari che fanno coincidere il momento della chiusura della filiale con quello dello sportello.

Di seguito due contributi dalla Lombardia, in allegato una storia esilarante da un collega dall’Emilia Romagna.

Se avete voglia di ridere, leggete: parla di uno scambio di battute immaginario tra un cassiere (Rag) e un’anziana cliente, la Signora Razdori (Raz), in una filiale che chiude la cassa al pomeriggio.

Divertente, ma fa anche riflettere.


 

INSIEME CONTRO IL BARATRO, NUMERO 3

 

Primo contributo dalla Lombardia

Io personalmente lavoro in una filiale piccola.  Da marzo chiudiamo la cassa il pomeriggio, garantendo il servizio solo fino alle 13. In questo modo,  dopo l’orario di pranzo, i clienti potranno usufruire del servizio cassa solo nelle filiali flexi più vicine, che già sono al collasso, anche per il precedente accorpamento di filiali.

Tutto questo perché? Per farci fare telefonate a clienti che non vogliono o possono fare investimenti di nessun tipo… oltre al fatto che per noi cassieri risulta essere anche un danno economico perché vi è un taglio netto alle indennità di cassa. Forse era quello il reale obiettivo: un semplice e lineare taglio. Nulla di più.

 

Secondo contributo dalla Lombardia

Volevo semplicemente evidenziare anche i problemi che i colleghi hanno nelle  filiali dove la cassa  apre dalle 08,30 alle 13,00 e poi nel pomeriggio,  dalle 14,15 alle 16,55, si fa consulenza.  Se lo sportello e’ aperto fino alle 16,55 e il nostro orario e’ fino alle 16,55….. Siamo obbligati a  fermarci per chiudere il terminale e non solo: se un cliente arriva all’ultimo  minuto … lo mandiamo via???  Mi sembra tutto imbarazzante e poco etico . Grazie


Personaggi:

Il Rag. e la Signora Raz.

Il Ragioniere (Rag.) deve spiegare alla Signora Razdori (Raz.), vecchia cliente, il “Modello di servizio della

Divisione Banca dei Territori”. Pure Rag. non è più giovanissimo e si vede!

Quando gli chiedono: «Ma lei non va in pensione?», deve confessare che gli toccano ancora alcuni anni

“Forneriani”.

 

Lo scambio di battute si svolge in filiale di pomeriggio.

 

Rag. «Signora Razdori, Le devo dire che la nostra Filiale è diventata Filiale Retail»

Raz. «Ritel, ragioniere, ritel»

 

Rag. «Ecco signora, questa operazione di prelievo non la posso fare, solo il mattino fino alle 13. Adesso dovrà andare al bancomat o in un UB. »

 

Raz. «Hab, ragioniere, hab! Se lei fosse stato un mio studente…… E a cosa è dovuta questa novità?»

 

Rag. «Perché tenendo chiusa la cassaforte il pomeriggio, diminuiamo il rischio di rapine …..»

 

Raz. «Ahahah, logica ineccepibile! Mi sembra di sentire il mio medico, quello di prima perché adesso l’ ho cambiato. Quando gli ho detto che piegando la gamba mi faceva male il ginocchio, mi ha risposto di non piegare la gamba!»

 

Rag. «Ecco signora, no, non posso fare neanche il pagamento del MAV addebitato sul conto corrente: solo il mattino fino alle 13….»

 

Raz. «E questo bonifico per pagare le spese condominiali? Neanche questo? »

 

Rag. «Eh si, neanche il bonifico posso fare: cioè potrei ma non posso» La signora Razdori sta perdendo la pazienza.

Raz.: «Ma mi prende in giro? »

 

Rag. «Assolutamente no, signora Razdori. Ho il supporto informatico per fare tutte le operazioni che lei mi chiede, ma la banca dice che non posso. Però la posso accompagnare alla postazione internet che abbiamo qui in filiale e io la assisto. »

 

Raz.: «E quanto ci impieghiamo? »

 

Rag. «Beh signora …….. considerato che le devo fare anche il contratto di internet e che lei, per sua ammissione, è completamente a digiuno riguardo a internet, ecco direi ………. Una mezzoretta? »

 

Raz.: «MEZZORA PER PAGARE UN MAV? »

 

Rag. «Nooooooo, mezzora per il contratto di internet il mav e il bonifico. Ma solo perché è la prima volta. Sa, le devo spiegare un po’ di cose, ma poi, una volta che lei ha imparato vedrà che le sembrerà tutto banale. »

 

Raz. «Senta ragioniere, ma lei è un banchiere o un consulente informatico? Comunque lasciamo perdere, vengo domani mattina! Adesso vado da Giovanna: devo chiedere informazioni per il leasing di mio marito.»

 

Rag. «Ecco signora, Giovanna è stata trasferita al Centro Imprese.»

 

Raz. «Quindi mio marito, adesso, deve andare al Centro Imprese? »

 

Rag. «No, il rapporto di suo marito è rimasto qui in filiale, come d’altronde quasi tutti i rapporti delle piccole aziende.»

 

Raz. «Allora chi c’è adesso al posto di Giovanna?» Rag. «Nessuno. Giovanna non verrà sostituita.» Raz. «E allora chiedo a lei? »

Rag. «No signora, io non so niente di imprese, neanche delle piccole. Mai fatto imprese, come d’ altronde

nessuno di questa filiale. Vada dal direttore. Se non lo sa lui …..Prima che se ne vada le volevo chiedere di avvisare sua figlia che non potrà più versare da noi sul suo conto Mediolanum»

 

Raz. «Cioè deve venire solo al mattino entro le 13?»

 

Rag. «No. Né il mattino né il pomeriggio: dovrà andare in una filiale hab. Ah, adesso mi ricordo che suo genero deve ancora ricevere un rimborso dall’ INAIL per un infortunio. Gli dica che anche lui deve andare a riscuotere in una filiale hab, perché io potrei ma non posso.»

 

Raz. «Mammamia ragioniere, mi sembra di essere Josef K.. Prima di salutarla, e non la insulto soltanto per buona creanza, mi chiedo a che ora lei esca”

 

Rag. «Esco alle 16 e 55. »

 

Raz. «Bene ragioniere, e se io entro alle 16 e 54, visto che la filiale è aperta fino alle 16 e 55? »

 

Rag. «Nessun problema signora: io le consegno le chiavi della filiale retel, lei si serve da sola e quando esce chiude lei. Ah venga che le insegno a inserire l’allarme notturno.»

“PROROGATO” IL CONTRATTO DEL CREDITO

firmacontrattoCome d’abitudine negli ultimi tempi, alle 5 del mattino del 1 aprile è stata firmata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto del credito.

Forse ricorderete che martedì mattina, 24 marzo, avevamo pubblicato un volantino che segnalava anche la possibilità di una chiusura del contratto in tempi rapidi. Leggendo il messaggio della newsletter, giunto lo stesso giorno dell’annuncio della rottura delle trattative, molti avranno pensato ad una nostra clamorosa svista.

In realtà, non conoscendo tutti i retroscena della trattativa, avevamo, in qualche modo, intuito la conclusione: dopo neppure 48 ore dalla rottura uscivano notizie sulla ripresa delle trattative ed in effetti lunedì 30 marzo le parti sono tornate ad incontrarsi, fino alla firma finale di quello che, a prima vista, appare come un congelamento della situazione in essere, insieme a vari rinvii.

Per ora vi invitiamo alla lettura dell’ipotesi di accordo: torneremo a breve con un commento approfondito sul merito dell’accordo e sul percorso che ha portato alla sua firma.

INTESA SANPAOLO – NUOVO MODELLO DI FILIALE E STRESS LAVORO CORRELATO

stressbisAbbiamo scritto alle funzioni aziendali (clicca qui per il testo della lettera) per lamentare le violazioni alle norme, previste dal D.L. 81/2008, sullo stress lavorativo, che vengono prodotte dal nuovo modello di filiale, così come in passato era accaduto con l’introduzione dei turni.

Che le violazioni ci siano non è una nostra opinione: un nostro esposto in materia all’Asl di Rivoli ha prodotto indagini conclusesi con la Prescrizione all’azienda di rifare il Documento di Valutazione del Rischio (DVR) sullo stress lavoro correlato, ritenuto dall’Asl non adeguato.

Continuate a farci avere le segnalazioni su cosa succede nei vostri punti operativi: sapremo fare buon uso delle informazioni ricevute.