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Morelli e la rottamazione degli orologi

Durante il XXI Congresso della Fabi, l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, Marco Morelli, ha dichiarato le seguenti cose:

  • La banca deve tornare a fare utili.
  • Se i lavoratori rispettano l’orario di lavoro, andando via dopo sette ore e mezza, i risultati non possono raggiungersi.

A voler pensar male, sulla base di quanto detto esplicitamente dall’AD, si potrebbe ricostruire l’implicito non detto, cioè la convinzione che la causa dei mali dell’azienda sia da individuare nello scarso coinvolgimento dei lavoratori. Ma noi vogliamo disporci nel migliore dei modi nell’analizzare le parole dell’AD e non prenderemo in considerazione la colpevolizzazione dei lavoratori che da esse emana, né il tentativo di mistificazione della realtà, confidando nel fatto che l’AD non possa ignorare quali siano le cause dell’attuale situazione in cui versa il Monte dei Paschi.

La richiesta di un allungamento dell’orario di lavoro (perché di questo si tratta) crediamo che abbia destato un certo stupore in tutti. Forse anche chi in banca non ci lavora, ma giudica i fatti della vita con il semplice buon senso, avrà percepito le affermazioni di Morelli come la classica nota stonata in una melodia che dice tutt’altro.

Ma come, si sarà chiesto l’uomo di buon senso, il settore del credito non è quello dove, a voler considerare solo gli ultimi dieci anni, vi sono stati processi di ristrutturazione che hanno riguardato tutte le banche, portando all’uscita di tantissimi lavoratori dal ciclo produttivo? Non è uno dei settori dove gli “esuberi” hanno assunto proporzioni bibliche?

Niente, più della parola esubero, descrive meglio l’asse portante su cui si sono basate le politiche aziendali. Il lavoro umano è divenuto, nella misura di migliaia e migliaia di prepensionamenti, sempre più superfluo.

Perché? Come ci ha spiegato bene l’ABI in occasione anche degli ultimi rinnovi contrattuali del 2012 e del 2015, le innovazioni tecnologiche, in particolare quelle di tipo informatico, conducono allo spostamento di una serie di servizi prima svolti in filiale verso i canali remoti.

Che il lavoro umano sia per le banche un fattore in esubero, per le esigenze di redditività, è attestato anche dall’attivazione in molte di esse, di giornate di sospensione dell’attività lavorativa. Noi al Monte siamo esperti della materia, poiché dal 2012 ci asteniamo dal lavorare per 6 giorni (o 5 o, da quest’anno, 4, per chi ha un RAL inferiore a determinate soglie) con corrispondente riduzione del salario.

Dallo stesso anno, il 2012, qui al Monte, sappiamo anche che esiste un accordo tra Banca e sindacati firmatari, per il contenimento degli straordinari.

Ma allora perché Morelli ha deciso di andare controcorrente?

In realtà le prescrizioni dell’AD sono solo apparentemente in contraddizione con i processi riguardanti il settore, ed anzi rappresentano emblematicamente la posizione che caratterizza non solo le banche, ma l’intero sistema delle imprese.

L’espulsione di forza lavoro dalla produzione di beni e servizi che si è accompagnata alla rivoluzione digitale, dopo aver permesso alle imprese di incamerare i benefici conseguenti la maggiore produttività, le pone adesso in condizione, grazie ad un quadro politico e sindacale favorevole, di poter aumentare i profitti, agendo sull’altro fattore, l’estensione del tempo lavorativo.

Lavorare in pochi, lavorare sempre di più. Questo potrebbe essere lo slogan che sintetizza la linea della parte padronale. Gli strumenti di “persuasione” non mancano, e si autoalimentano proprio grazie ad una tendenza che crea bacini di forza lavoro inutilizzata sempre più ampi, da cui attingere per sostituire i refrattari non disponibili a subordinare qualsiasi bisogno proveniente dai tempi di vita, alle primarie esigenze di profitto. In tal senso il settore del commercio, con le aperture 365 giorni all’anno e 24 ore su 24, sintetizza bene questa irrefrenabile pulsione.

I sindacati collaborativi protestano. Ma intanto il loro agire è, come sempre, fido alleato dei disegni aziendali.

Di fronte ad accordi come l’ultimo contratto di secondo livello del Monte dei Paschi, quello firmato la vigilia di Natale del 2015, che stabilisce che le prestazioni di lavoro straordinario, “potranno essere richieste dalle Aziende firmatarie esclusivamente nei casi di particolare necessità ed urgenza e non verranno autorizzate per periodi inferiori ad 1 ora e per quelle di durata superiore a detto limite, frazioni inferiori a 30 minuti.”, le chiacchiere stanno a zero.

Perché un accordo del genere, che, ricordiamolo, trova collocazione nel quadro di misure idonee al contenimento dei costi (ossia per ottemperare alle esigenze aziendali), ha semplicemente favorito una pratica di lavoro straordinario (che evidentemente continua ad essere richiesto, sempre per ottemperare ad esigenze aziendali…), con modalità che configurano vero e proprio lavoro svolto in “nero”, in quanto la registrazione delle prestazioni aggiuntive avviene dopo il cumulo di frazioni che permettono di raggiungere il minimo autorizzabile, con la inaccettabile sussistenza di lavoro effettuato ma temporaneamente non registrato e le ovvie conseguenze in termini assicurativi, infortunistici, ecc…

Morelli in definitiva, non fa altro che il suo lavoro: adoperarsi affinché dalla forza lavoro sia estratto il maggior plusvalore possibile. Vigila sul tasso di sfruttamento.

Si chiama lotta di classe ed è sempre lì. Non può cancellarla nessuna ubriacatura ideologica o postmodernismo che sia, perché rappresenta la struttura dei rapporti sociali che determinano la nostra esistenza.

L’AD svolge con zelo il suo ruolo di agente degli interessi del capitale. Noi come rispondiamo? Continuando a delegare in bianco, sindacati ormai collusi, che dovrebbero contrapporsi al rullo compressore che distrugge qualsiasi ipotesi di futuro degno di essere vissuto?

Ritirare questa delega in bianco è il primo atto per controbattere l’offensiva poderosa dei banchieri, che si abbatterà sui lavoratori per il prossimo rinnovo del contratto collettivo, e di cui, le dichiarazioni di Morelli, rappresentano le avvelenate avvisaglie.

Noi della CUB-Sallca siamo pronti ad organizzare la resistenza e la lotta dei lavoratori, contro attacchi che non hanno neanche più il pudore, delle ipocrite indorature di pillola.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Monte Paschi

Ferie comandate, truffe agli esodati, accordi incomprensibili

Sta creando notevole sconcerto e rabbia la comunicazione aziendale di voler chiudere un certo numero di filiali in occasione di vari “ponti”, ponendo i lavoratori in ferie comandate. Tutto questo è surreale in un momento dove le filiali medio grandi, con organici già ridotti, stanno per subire l’emorragia degli esodi e hanno difficoltà crescenti a organizzare i turni ed a pianificare le ferie.

C’è la sensazione sgradevole di un’azienda che può disporre del tempo dei lavoratori a suo piacimento, mettendo in ferie contro la volontà dei lavoratori od ostacolando legittime aspettative di fruirne quando serve, facendo lavorare ad orari improbabili ed in condizioni di crescente rischio, visto che spesso, a tarda ora, restano a lavorare due e talvolta anche solo un dipendente.

I sindacati firmatutto, non solo hanno preso atto della decisione aziendale, ma si sono anche sostituiti alla controparte nel divulgare tempestivamente l’elenco delle filiali che chiuderanno in determinate giornate. Rispetto alla ragionevole richiesta che i lavoratori che non vogliono essere messi in ferie d’ufficio possano essere adibiti al lavoro in filiali adiacenti o ad attività formative da casa, si resta in attesa di risposta aziendale. Riteniamo che non si debba restare a guardare in caso di risposta negativa e riteniamo che debba essere posta anche la questione dell’insostenibilità degli orari estesi a fronte di organici sempre più ridotti.

 D’altronde, è evidente che la contrattazione è sempre più una finzione: in allegato (e a seguire) troverete il contributo di un nostro iscritto che denuncia, non solo la cattiva qualità degli accordi, ma anche la loro incomprensibilità per i comuni mortali.

 Il ruolo dei sindacati firmatari (dire trattanti sarebbe un complimento immeritato) è ormai ridotto alla fornitura di pratiche amministrative e servizi e ricreativi, con tentativi di procacciarsi tessere con metodi fantasiosi e anche truffaldini.

Ci sono già giunte due segnalazioni di tentativi di raggirare i colleghi che, per andare in esodo, devono andare a firmare in sede Abi per l’uscita, facendo loro credere che è necessario firmare la delega al sindacato per poter procedere.

La presenza dei sindacalisti firmatari in quella sede, è meramente burocratica, un atto d’ufficio che non richiede nessuna ricompensa e soprattutto non richiede di iscriversi a chi non ha intenzione di farlo.

Dovrebbe essere solo un ruolo di garanzia, un termine che fa ridere visto che non sono stati neppure in grado di ottenere che i tempi di uscita per l’esodo fossero correlati alle finestre pensionistiche degli interessati. L’accordo firmato per gli esodi lasciava discrezionalità all’azienda sui tempi di uscita, ci sono stati scavalcamenti e l’esodo sta procedendo in modo disordinato, con i lavoratori lasciati in stato di incertezza.

E’ necessario tornare a fare contrattazione vera, ridefinire regole e tutele per i lavoratori, mettere un freno all’arbitrio aziendale.

 

PVR (Premio Variabile di Risultato) 2017….

Non preoccuparti delle difficoltà che incontri in matematica, ti posso assicurare che le mie sono ancora più grosse.
(Albert Einstein)

Mi considero una persona di media intelligenza, di sufficiente esperienza bancaria e che non ama tirarsi indietro di fronte alle sfide. Viste queste premesse mi decido, faccio un bel respiro e deciso apro l’allegato dell’accordo PVR 2017 per cominciare la lettura. Immediata è la sensazione di trovarsi immersi in un capolavoro russo, a causa della straniante sensazione di ‘guardare’ e non leggere certe formule, al pari dei nomi dati ai loro personaggi da Tolstoj e Dostoevskij.

Riprovo, cerco di capire, tengo a portata di mano un dizionario ma nulla, la stanchezza ha il sopravvento, il cervello inizia a guardare altrove e capisco solo che esiste una base di 600 Euro lordi, e per la parte in aggiunta, se esiste nella vita reale, devo solo incrociare le dita e sperare.

Questa sensazione parte da lontano con il CCNL di categoria, ma con il LECOIP si è aggravata, ho provato a leggere l’accordo di prodotto con CREDIT SUISSE di centinaia di pagine e ho provato a interpretarne la costruzione e tutta la fiscalità, ma mi sono fermato alla terza pagina con 2 giorni successivi di sola Gazzetta dello Sport per disintossicarmi.

Dopo è arrivato l’accordo relativo ai percorsi professionali, con categorie, rating, portafogli, assegnazioni, periodi ecc. Tali e complesse erano le condizioni e i paletti lungo la strada, e così incomprensibili gli eventuali benefici o rischi, che i gestori hanno viaggiato per mesi con l’accordo in mano e lo sguardo perso nel vuoto, ringhiando ai colleghi e temendo attacchi all’arma bianca di direttori che volessero togliergli il portafoglio personale…e non dei clienti.

Potrei fare altri esempi, ma il definitivo tracollo mentale mi è arrivato con il PVR 2017! Numeri a caso, nomi e sigle incomprensibili, chi, cosa, come, cosa devo fare, quanto mi tocca?

Molti anni fa ho partecipato a un corso intersindacale sulla contrattazione, e in 3 giorni tutto era incentrato su: ‘SI FIRMA SOLO QUELLO CHE SI CAPISCE’, ‘TUTTO, OGNI VIRGOLA, OGNI TERMINE E’ IMPORTANTE’ e ‘QUALSIASI ACCORDO DEVE POTER ESSERE VERIFICABILE IN OGNI SUO ASPETTO’!
GLI ULTIMI ACCORDI SONO INVECE INCOMPRENSIBILI, INDECIFRABILI E SOGGETTI A MILLE INTERPRETAZIONI DIVERSE.

E’ stato firmato un LECOIP che ha dato circa 3.000 Euro medi netti (parliamo di aree professionali e QD1, per inquadramenti e ruoli direttivi la leva era ben superiore), in 4 anni, ma nessuno ha mai saputo spiegarmi come funzionasse il sottostante.  Tralascio il misero importo che, è bene ricordarlo, era di 1800 Euro IN QUATTRO ANNI, come ‘ANTICIPO’ di premi, e solo i balzi in su e giù del titolo hanno permesso di aumentare di 1200 euro circa, mentre qualcuno si spartiva miliardi, e altre banche con dividendi inferiori distribuivano premi più alti e subito.

Oggi si arriva al PVR che, dopo aver mangiato tutti i vecchi premi legati alla redditività, si esibisce in FORMULE MATEMATICHE FANTASIOSE E TERMINI DA STAR WARS, IL TUTTO  COLLEGATO…. AGLI OBIETTIVI, SI’, AGLI OBIETTIVI CHE SI PROPONE E CI IMPONE L’AZIENDA, FREGANDOSENE DEGLI UTILI DIVISI.

CHIEDO A TUTTI VOI COLLEGHI…MA SONO SOLO IO CHE TROVO DISGUSTOSO QUESTO MODO DI FARE SINDACATO CON IL PALLINO DEL GIOCO SEMPRE IN MANO ALL’AZIENDA?  SONO SOLO IO A TROVARE ASSURDO, IN UN’AZIENDA CHE DISTRIBUISCE DA QUALCHE ANNO MILIARDI DI DIVIDENDI, AVERE DEI SINDACATI CHE NON OTTENGONO ALTRO CHE BRICIOLE O ANCHE MENO?  SONO SOLO IO CHE VORREI CHIAREZZA. VERIFICABILITA’ E TRASPARENZA TOTALE NEGLI ACCORDI?

Non si vedono più volantini di scontro, la testa è sempre bassa, hanno costituito mille comitati (welfare, Sicurezza, Sviluppo sostenibile, Pari opportunità ecc.) che coprono tutti i nostri bisogni di tutela ma allora, COME E’ POSSIBILE CHE TUTTI ABBIANO LA SENSAZIONE CHE SI STIA SEMPRE PEGGIO?

Il MIO sindacato non ha permessi, non firma accordi che non capisce e che non possa spiegare, questo mi basta per dargli fiducia, e allora chiedo ai colleghi: se non volete cambiare sindacato, perché il rappresentante è una persona seria e fidata (motivo valido), almeno pretendete nelle assemblee (quando mai le faranno) accordi comprensibili e chiari!  

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO: UN PIANO INDUSTRIALE DA PAURA

Il 6 febbraio scorso ISP ha presentato al mercato e ai sindacati il Piano d’Impresa 2018-2021, insieme ai risultati 2017 e all’annuncio di un nuovo Lecoip 2.0 per incentivare il personale. Come era ampiamente preannunciato, il Piano si propone obiettivi estremamente ambiziosi, aggressivi e sfidanti, con ampio utilizzo di toni sopra le righe per autocompiacimento, esaltazione, orgoglio d’appartenenza. Sfrondato dall’eccesso di testosterone e ricondotto ad una corretta dimensione di pianificazione delle condotte future, da parte di un management ansioso di strafare,  il piano rappresenta un documento utile per leggere cosa ci aspetta nei prossimi 4 anni.

Sebbene non ci sia nulla di veramente nuovo sotto il sole, se non la fibrillazione manageriale che ricorda più una maionese impazzita che la burocratica pianificazione di un banale progetto di estrazione di utili, bisogna distinguere quello che rappresenta la continuità da quello che tende ad introdurre una discontinuità.

E’ nel segno della continuità lo spostamento progressivo del baricentro reddituale dal margine di interesse alle commissioni (in particolare su collocamenti e risparmio gestito). Già nell’esercizio 2017 le commissioni valevano 7.7 miliardi di euro contro 7.1 miliardi degli interessi netti. Ora si vuole addirittura portarle a 10 miliardi entro il 2021, contro 8.3 miliardi di interessi netti. Il propellente di questa impennata dovrebbe essere la crescita esponenziale delle masse gestite (da 338 miliardi a 444 miliardi nell’arco del piano). Un traguardo impegnativo, sia per la Banca dei Territori (+48mld.), sia per il Private Banking (+55 mld.).

Lo stesso si può dire dell’ossessione per il risparmio sui costi, in particolare quello del personale. Il rapporto cost/income che adesso è al 50,9% (55% se includiamo le venete)dovrebbe scendere al 45,4% alla fine del piano. Un risparmio di 1,5 miliardi nel quadriennio, che implica un’impennata della produttività pro-capite di dimensioni impressionanti. Facile da realizzare, con 9.000 persone già uscite o sul punto di farlo, con 1.285 milioni di euro di contributo stataleper l’assorbimento delle venete, un accordo sindacale pronto e via e soprattutto una fuga volontaria precipitosa e massiva per uscire dal “posto migliore dove lavorare”.Molto difficile da gestire, però,  se già ora i responsabili sono preoccupati per come conciliare le ferie dei lavoratori, dopo i vuoti che si andranno a creare nella rete, con l’imperativo di garantire risultati e collocamenti…

Continuità anche nella distribuzione dei dividendi, ma con salto di livello, per accontentare azionisti famelici che si aspettano ritorni sul capitale a due cifre, come negli inebriantianni prima di Lehman: non a caso si promette di riportare il R.O.E dal misero 7.9% del 2017 al più presentabile 12,4%, entro il 2021. Quindi anche gli utili attesi cumulati e la conseguente massa dei dividendi da distribuire devono “cambiare passo”: gli utili devono salire dai 3.8 miliardi del 2017 ai 6 miliardi del 2021. Nell’arco di piano gli utili supereranno, secondo i Messina boys,  i 20 miliardi di euro, scontando un tasso di crescita del 12,1% l’anno, mentre i dividendi arriveranno complessivamente oltre i 15 miliardi (sono stati“solo” 10 nel piano precedente…).

Vorremmo mettere un attimo a confronto i tassi di crescita di utili e dividendi, da una parte, e retribuzioni dei lavoratori, dall’altra. Tralasciando l’importo medio degli aumenti contrattuali, risibili, concentriamoci sul sistema incentivante che va ai lavoratori. Una distribuzione che implica un costo totale tra i 70 e gli 80 milioni di euro l’anno (con meccanismi oscuri e incomprensibili, sia prima che dopo l’erogazione eventuale), a fronte di dividendi con ordini di grandezza almeno 50 volte superiori! Poi c’è il Lecoip, per legare il premio all’andamento azionario, ma per la stragrande maggioranza dei lavoratori è facile constatare che 4 anni di VAP rendevano di più di questa bella invenzione!

Passando ad affrontare le discontinuità del piano, emergono le novità vere, non proprio gradevoli.

Si prospetta un salto di qualità nell’assicurativo con la spinta sulle polizze danni, i cui premi devono salire da 0,4 miliardi del 2017 ai 2,5 miliardi del 2021: una moltiplicazione di oltre 6 volte! L’obiettivo dichiarato è scalare le classifiche delle assicurazioni danni in Italia, diventando il primo operatore per polizze retaildiverse dal comparto veicoli. Qui l’ambizione è costruire una alternativa privata e commerciale al welfare pubblico in via di smantellamento: non a caso si punta su salute, benessere e sicurezza, dopo aver già ampiamente sfondato sulla previdenza. Per il segmento imprese, ci sarà il welfare aziendale “chiavi in mano”.

Prosegue, con accelerazione, lo smantellamento della rete fisica di distribuzione: 1.100 Filiali chiuderanno, lasciando totalmente sguarnite le città minori (dove resteranno solo le tabaccherie di Banca 5 e i bancomat), mentre le residue 2.920 filiali saranno prevalentemente concentrate nelle città medio-grandi, dove è concentrato il 75% della popolazione italiana. Grandi tagli anche ai costi immobiliari (-19%) entro il 2021 e creazione di una nuova sede a Milano (Rho Fiera) per concentrare le direzioni centrali a 40 minuti di treno dal Grattacielo di Torino.

Novità gravi anche per il recupero crediti, dove si paventa la creazione di una nuova società con la partnership di un operatore industriale (si teme a maggioranza non ISP, per cedere 10 miliardi di euro di NPL e 700 lavoratori, con trattativa in fase avanzata con l’operatore svedese IntrumIustitia, ma di questo il Piano non parla…). Inoltre si accenna al progetto “Pulse” per creare un’unità interna dedicata alla gestione dei crediti retail alla prima fase di deterioramento, centralizzando le attività ora svolte in filiale, con 1.000 persone in organico entro il 2021.

Naturalmente si insiste per l’estensione del nuovo contratto di lavoro “misto”, con un contratto part-time da dipendente bancario e l’altro come consulente finanziario, tutto nella stessa persona. Un modello precursore che rischiamo di trovarci sul tavolo al prossimo CCNL per estensione all’intero settore. Intanto i 9.000 esodati e pensionati verrebbero sostituiti da sole 1.650 risorse, mentre altri 5.000 lavoratori seguiranno un percorso di riconversione verso ruoli “ad elevato valore aggiunto”.

Ovviamente non si fa cenno ai rischi di esecuzione del Piano: una nuova fase di instabilità finanziaria, uno storno dei mercati, i nuovi vincoli della MIFID II, la fine delle politiche monetarie ultra-espansive, la diffidenza del mercato italiano verso strumenti di tutela come le polizze private, lo scarso interesse perla consulenza evoluta, la difficoltà di espandere il credito sano, le politiche austeritarie tuttora operanti, la carenza di un mercato liquido degli NPL.

Quello che invece è certo, almeno per noi, ma sottaciuto dagli stessi “rappresentanti dei lavoratori” che hanno la titolarità di trattare, anche senza mandato, è l’enorme grado di tensione che questo piano provocherà nel clima aziendale, la sofferenza psico-fisica cui saranno sottoposti i lavoratori che dovranno realizzarlo in mezzo a difficoltà operative, procedurali, commerciali. Avremo un ulteriore aumento di pressioni commerciali, cui non hanno posto argine né i protocolli etici e sostenibili, né le caselle “io segnalo”, né l’accordo ABI di più recente conclusione. Vedremo ancora salire la richiesta di obiettivi impossibili, l’applicazione di metodi di controllo invasivi, l’invito a forzare le regole, lo straordinario non pagato, la pretesa di ottenere i risultati anche se nessun contratto lo prevede o lo impone.

Dobbiamo ricostruire un tessuto di solidarietà tra lavoratori che ci consenta di resistere e difenderci rispetto ad un’azienda che ha perso il senso della realtà ed elabora piani funambolici. Dobbiamo mantenere la nostra coerenza professionale, applicare le normative e fare un lavoro di qualità, rispettando le esigenze reali dei clienti che abbiamo davanti. Questo significa difendere il proprio futuro, nel lungo periodo. La sostenibilità del modello produttivo non è compatibile con chi vuole strafare…

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

Fruendo 2014, 2015 ,2016, 2017 e 2018.

I 1064  esternalizzati da Banca MPS SPA sono al quinto anno di vita lavorativa, e non, nella Fruendo SRL: il mai esistito “ramo d’azienda”, concepito prima ed inventato di sana pianta nel corso del 2013 dai tre ”incaricati” di Banca MPS SPA, Dalla Riva, Profumo e Viola,spalleggiati dai politici di Banca MPS SPA e dai sindacati di Banca MPS SPA, quelli che firmarono gli accordi sull’esternalizzazione (siglando la preesistenza ed autonomia funzionale di un ramo d’azienda mai esistito, appunto) voluta da Banca MPS SPA; ma anche, indirettamente, quelli che non li firmarono, ripromettendosi, a loro dire, di agire (quando?) nelle sedi opportunenei confronti dei loro omologhi firmatari.

La risposta degli esternalizzati ci fu (contammo circa 700 cause individuali verso Banca MPS SPA),  e c’è stata quando 250 esternalizzati da Banca MPS SPA hanno presentato un esposto/querela alla Procura della Repubblica di Siena sull’operato di quei sindacati, e sindacalisti, che firmarono quegli accordi con Banca MPS SPA; e c’è, con le 79 cause per l’esecuzione della sentenza d’appello che ha condannato Banca MPS SPA per le quali si attende sentenza il prossimo 2 marzo.

Banca MPS SPA, intanto, continua a nascondersi dietro la sua invenzione ed a prendere tempo.

Riteniamo che la maggior parte degli esternalizzati sia grata alla Banca MPS  che, in passato,  li ha assunti, alla Banca che ha consentito loro l’acquisto della prima casa, la tutela della salute propria e dei familiari, i contributi allo studio per i figli. Forse nessuno di loro si sarebbe aspettato un calcio nel fondoschiena da quella stessa Banca MPS che  li aveva assunti. Banca MPS SPA, che  si èlasciata depredare fino all’orlo del fallimento,  per poi permettere solo l’esternalizzazione di 1064 persone, senza nessun vantaggio economico o strategico. Anzi.

Chiediamo a Banca MPS SPA se quell’esternalizzazione è stata la risposta, o la soluzione, ai suoi problemi. Chiediamo a Banca MPS SPA se gli stipendi ai suoi manager (a quelli, in particolare, che si possono vantare solo di aver cacciato fuori dalla Banca una  selezione di 1064 persone) sono stati giustificati e giustificabili. Chiediamo inoltre a Banca MPS SPA se in assenza di un “vero” codice etico dispone almeno di  un codice di decenza.

In un colpo solo i lavoratori hanno perso fiducia nei sindacati firmatari e nell’azienda, ma dal  disincanto si deve passare ad una maggiore consapevolezza.

A nostro avviso questa vicenda dimostra che nessuno può sentirsi al sicuro: quello che è successo agli esternalizzati di Fruendo può accadere a tutti. Per ora la scelta delle azioni legali è stata vincente, ma non si può delegare sempre agli avvocati la soluzione dei nostri problemi.

Se riteniamo inadeguati i sindacati aziendali, la rappresentanza  dobbiamo crearcela da noi. Invitiamo i lavoratori, che hanno intrapreso azioni  legali e non hanno subito passivamente gli accordi sindacali, non ad aderire al nostro sindacato, ma a farsi essi stessi sindacato, auto organizzandosi per la tutela dei propri diritti.

Noi mettiamo a disposizione la nostra sigla di sindacato di base, la nostra esperienza e volontà di combattere. Lavoriamo  insieme per una rappresentanza sindacale che difenda i lavoratori senza compromessi al ribasso e collusioni con la controparte.

 

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Fruendo

UBI BANCA: C’ERA UNA VOLTA IL PREMIO FEDELTA’

Un altro pezzo  di reddito fisso è stato sacrificato sull’altare della concertazione, il 27/01/18, con l’accordo tra azienda e sindacati firmatari per quello che una volta veniva chiamato, appunto, ‘’premio fedeltà’’.

Piccola nota per i colleghi più giovani: nelle diverse banche reti che, unite,  hanno dato vita a UBI Banca spa, veniva riconosciuto ai colleghi un importo al raggiungimento di una certa soglia di anzianità (25/30/35 anni), quale riconoscimento appunto del loro lavoro, dell’impegno e dello spirito di appartenenza  dimostrati nel corso degli anni.

Tale previsione,  anche molto diversa in base alla banca di provenienza  (dai 2500 ai 6000 euro), era stata cancellata dopo la disdetta dei vari CIA nel 2012, tuttavia tutte le vecchie banche  hanno continuato ad elargire tali somme a titolo di liberalità aziendali, una sorta di ‘’regalo del padrone’’.

Con la firma dell’accordo si mette fine a questo ‘’insostenibile’’ onere per UBI, che, sottolineamo, gode di ottima salute dal punto di  vista economico, distribuisce dividendi agli azionisti, strapaga i propri dirigenti e punta a raggiungere oltre 1 miliardo di euro di utili alla fine del 2020, ma non riesce più a gratificare e a riconoscere ai propri dipendenti un meritato premio, nemmeno dopo una vita di‘’ fedele’’ e onorato lavoro.

Per ora,  chi matura il ‘’diritto’’ alla corresponsione entro il 2018 si vedrà riconosciuto il 100% dell’importo previsto, in base agli accordi vigenti nell’azienda di provenienza e dovrà accettare di percepire la somma per il 50% in contanti e il 50% sotto forma di welfare.

Ancora una volta, quindi, trattamenti diversi per colleghi che da oltre 10 anni lavorano per la stessa banca!!

Dall’anno  prossimo la percentuale dell’importo diminuisce costantemente, fino ad arrivare nel 2026 ad un misero 30% dell’attuale e solo nella forma welfare, poi il nulla…o, meglio, per i colleghi che maturerebbero il diritto dopo il 2026 solo una mancetta di 200 euro in conto Welfare.

Come al solito, per giustificare la presunta bontà dell’accordo, i sindacati firmatari nel loro volantino unitario (e non si capisce perché debbano essere 5 sindacati con 5 sigle diverse se poi sono sempre tutti d’accordo nel firmare le stesse cose!!! Unitevi e fate il sindacato unico!!!) ci tengono a farci sapere che l’azienda voleva azzerare tali premi ma, grazie alla caparbietà e la tenacia che contraddistingue da sempre il loro operato in difesa dei diritti dei lavoratori, sono riusciti a strappare con le unghie ed il coltello tra i denti l’accordo migliore possibile!!

Ma del resto il mondo là fuori è cambiato e noi bancari dobbiamo essere pronti ad affrontare le sfide del mercato con nuovi strumenti, dobbiamo accettare il fatto che non possono più esserci  le vecchie tutele e garanzie del passato a salvaguardare il posto di lavoro ed il reddito.

Un lavoratore, presente in una delle ultime riunioni con la direzione per la presentazione e l’esaltazione del nuovo modello distributivo che la banca ha calato dall’alto sulla testa di noi tutti e che sta creando non pochi problemi e malumori, sia tra i colleghi che tra la clientela, nonché  forti perplessità rispetto alla sua reale efficacia, ha riferito che, secondo l’azienda,  d’ora in avanti dovremo dedicarci sempre di più al lavoro commerciale ed alla cosiddetta consulenza.

In realtà, molto più prosaicamente, il tutto si traduce nel piazzare i soliti tre prodotti a tutti indistintamente, senza riguardo per le esigenze reali del cliente. Hanno sottolineato che noi come UBI abbiamo anche la responsabilità di guidare il mercato e in quanto banca prevalente sul territorio dobbiamo  indurre la gente a indebitarsi sempre di più, indipendentemente dal fatto che  lo vogliano o meno (perché se non lo facciamo noi lo fanno gli altri..).

Si è cercato di convincere i colleghi più scettici facendo leva sull’importanza del nostro operato a beneficio  del bene comune, dobbiamo  essere consapevoli ed orgogliosi di agire per uno scopo superiore, oltre che per il vantaggio e l’utile della propria azienda, per la comunità tutta, per il rilancio dei consumi, per aumentare il PIL nazionale, insomma abbiamo una mission da compiere. Naturalmente si è sorvolato sui danni che queste politiche aggressive hanno causato al sistema finanziario, fino alle crisi bancarie intervenute degli ultimi 10 anni che, nei casi più gravi, hanno trascinato nel baratro migliaia di risparmiatori, famiglie, economie e destabilizzato intere aree del pianeta.

Ma si sa la memoria e’ corta e allora basta con la vecchia figura del bancario stanco e annoiato dietro a quintali di carta e pratiche amministrative che non portano nessun valore aggiunto, dobbiamo metterci in gioco, quindi valorizzare la competitività, lo spirito commerciale, unica strada da percorrere per mantenere o recuperare alti livelli di redditività, spingiamo i colleghi a mettersi in competizione l’uno con l’altro, certo nel rispetto della MIFID, premiamo economicamente coloro che vincono la battaglia del budget, basta con il salario uguale per tutti, avanti con l’idea che il compenso  deve essere rapportato al risultato ottenuto dal singolo lavoratore e non sulla base di una contrattazione collettiva che unisce tutti in uno spirito di solidarietà e appartenenza.

In soldoni, viva il salario variabile e incerto e abbasso il salario fisso, qualche briciola a chi vende e gli altri tirino la cinghia!!

Purtroppo anche la cancellazione del premio fedeltà va dritta in questa direzione…con il beneplacito dei nostri rappresentanti sindacali!!

Scusate se i nostri volantini sono sempre molto prolissi, ma del resto gli spazi di comunicazione sono sempre minori, le assemblee non si tengono quasi più e l’unico modo per  far sentire la nostra voce rimane quello di scrivere, cercando di svegliare la categoria dal torpore anestetizzante in cui sindacati firma tutto  e banche a braccetto vorrebbero tenerci per sempre.

Noi pensiamo che sia giusto e possibile resistere e contrastare certe logiche che sembrano inarrestabili ed un modello di banca che sta deteriorando sempre di più il clima lavorativo.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Ubi Banca

UBIS: NO, IL CONSULENTE NO!

 

 

Lo “stabilimento” di Via Molfetta di UBIS, a Roma, è collocato in un’area lontana da Dio e dal mondo e soprattutto da mezzi pubblici. Davanti ad un bellissimo parco ed in mezzo a ad un complesso urbanistico popolare, per lo più fatiscente, frequentato, durante la sera, da drogati, malviventi, prostituzione di ogni tipo.

L’ingresso principale, su Via Molfetta appunto, è posto immediatamente dopo una curva, solo il Padreterno sa come, fino ad oggi, non sia mai accaduto un incidente, con un solo marciapiede, sulla parte opposta.

L’ingresso secondario dà su una stradina, Via Manduria, scarsamente illuminata e teatro, quanto meno, della succitata prostituzione o altro, visto il materiale specifico che ogni giorno si trova sulla strada.

Il parcheggio, dato appunto il complesso popolare, è scarso, le strade adiacenti, piccole ed anguste, a mala pena riescono a contenere le automobili dei residenti.

Furti e vandalismi sono all’ordine del giorno, così come retate con elicotteri e dozzine di pattuglie delle forze dell’ordine. Qualche negozio aperto nella zona, forse 5, compresa una farmacia, per il resto serrande abbassate e spazzatura, spazzatura, spazzatura, dalle camere da letto alle cucine, dalle decine di ruote (di motocicli o automobili) alle (sempre) decine di cassafortine per alberghi, calcinacci, e tutto il repertorio possibile ed inimmaginabile.

Sì, sì avete letto bene.

In questo contesto così armonioso e variegato l’unica nota positiva è il vasto, vastissimo parcheggio interno, in superficie e in garage (sembra che ci sia un ulteriore garage ad un altro livello, che funzionava prima che arrivasse UBIS a mettere le strutture “a norma”).

Parcheggio ovviamente destinato ai dipendenti di UBIS. Ma a Via Molfetta non ci stanno solo dipendenti, ma anche decine e decine di consulenti esterni, a cui ovviamente è vietato l’accesso al parcheggio.

Il vecchio responsabile – purtroppo per noi, per fortuna per lui, non più tra noi – utilizzando la logica del buon padre di famiglia che cosa aveva disposto? I consulenti che venivano con i motocicli parcheggiavano dentro, anche perché fuori non li avrebbero ritrovati, e a quelli con le automobili veniva consentito l’accesso dopo l’orario di uscita dei dipendenti, anche e soprattutto in considerazione del fatto che i consulenti si trattengono sempre fino a tardi, qualche volta tardissimo. Fra loro ci sono ovviamente molte donne.

Adesso, all’improvviso, qualche genio si è inventato che NO, I CONSULENTI NON ENTRANO PIU’, per non si sa quale motivo che non sia: PERCHE’ LE POLICY … L’ASSICURAZIONE … LA SICUREZZA … tutte fesserie di questa portata.

In tutto questo la quintuplice sindacale, che ovviamente rappresenta gli interessi dei … uhmmm lavoratori? Tutti? No, probabilmente solo quelli della logistica – tacciono, sono sensibili al tema ed alla problematica, partecipano al disagio, ma tacciono, stanno fermi, come il famoso semaforo/Prodi di guzzantiana memoria.

Ancora più allucinante, se possibile, è stata la reazione di qualche “collega” dipendente, che non approva la battaglia per il mantenimento dello status quo, ritenendo che questo possa essere un incentivo a pretendere, da parte di UBIS, una maggior presenza in azienda.

In effetti il sindacato non fa altro che rappresentare le istanze dei propri iscritti e lavoratori. E noi, allora,  facendoci interpreti delle istanze di 111 lavoratori, chiediamo all’Azienda UBIS di Via Livio Cambi 1 – 20151 MILANO, ai responsabili di Sicurezza e Logistica (e magari pure logica), di consentire ai “colleghi” esterni la fruizione del parcheggio, così come era fino ad oggi, o al 1° febbraio – data del “FUORI TUTTI” – così che possano lavorare tranquilli, almeno dal lato dei mezzi di trasporto.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Unicredit

ESODI E ASSUNZIONI IN INTESA SANPAOLO UNA NUOVA “VITTORIA” SINDACALE

Nel nostro precedente volantino avevamo ironizzato sul pieno successo del piano aziendale, che ha ottenuto il consenso all’uscita della stragrande maggioranza dei lavoratori aventi diritto all’esodo e la cui volontà di fuga sembra essere l’unico argomento su cui la disponibilità aziendale è generosa.

Appare, quindi, del tutto fuori luogo il tono del comunicato dei sindacati firmatari, i quali, senza timori di cadere nel ridicolo, rivendicavano di aver prima chiesto ed ottenuto di ampliare la platea di chi poteva andare in esodo a chi maturava la pensione entro il 2023, ed ora di aver “conquistato” l’uscita di tutti coloro che l’avevano chiesta.

Immaginiamo quale resistenza aziendale abbiano dovuto superare, vista la ritrosia della controparte a beneficiare della possibilità di risparmiare 675 milioni di Euro all’anno a partire dal 2021 dopo aver mandato a casa quasi gratis gli esodati.E questo sia perché il tesoretto statale conseguente all’affaire banche venete è parametrato su una permanenza media nel fondo superiore a quella che si realizzerà (e quindi coprirà molto più delle 4.000 teste inizialmente previste) sia perché per il triennio 2017-2019 anche il “normale” ricorso al Fondo Esuberi è beneficiato da un robusto contributo pubblico, grazie alle misure previste nella legge di stabilità 2017.

Inoltre, a fronte di 6.500 esodi (più le uscite per pensionamenti, oltre ai 1.000 esodati delle ex banche venete), ottengono 1.500 assunzioni, 500 delle quali nella forma delle famigerate assunzioni miste, un’altra “conquista” di cui i firmatutto e senza vergogna si vantano, ma che rappresenta un ulteriore passo verso la precarizzazione della categoria, con giovani assunti col jobs act (cioè liberamente licenziabili) per 600 Euro circa al mese e la necessità di procacciarsi il resto del reddito cercando clienti da gestire come consulenti finanziari autonomi (i vecchi promotori).

Ci chiediamo se al tavolo di trattativa qualcuno ogni tanto rifletterà sul degrado delle condizioni lavorative che ha determinato questa fuga di massa (degrado cui contribuiscono, in parte, anche i brillanti accordi firmati negli ultimi anni) e sul fatto che si potrebbe fare almeno un timido tentativo per escludere i nuovi assunti dalla normativa del jobs act.

Facciamo i migliori auguri a tutti coloro che hanno avuto accesso o lo avranno all’esodo (pur nella permanente incertezza sui tempi di uscita, lasciati alla discrezionalità aziendale). Per coloro che restano al lavoro e vivono male la loro condizione, suggeriamo di non limitarsi ad aspettare, rassegnati, il loro turno per  i prossimi esodi, ma di reagire con noi per migliorare la qualità lavorativa.

C’è molto da fare: segnare gli eventuali straordinari che vengono fatti e pretendere (col nostro aiuto) la compensazione, senza accettare di giustificarli con la causale NRI. Pretendere che la formazione sia a carico dell’azienda e non della buona volontà del lavoratore. Documentare e segnalare richieste improprie ed illegittime per il raggiungimento dei budget (compreso il controllo delle agende elettroniche). Più in generale segnalare ogni comportamento di responsabili che può diventare fonte di stress lavorativo, compreso la violazione di regole e normative aziendali. Invitiamo gli stessi responsabili a segnalarci comportamenti scorretti dei loro superiori gerarchici.

Viviamo in una situazione in cui il potere aziendale sembra non avere limiti e possa essere esercitato in modo arbitrario. Tutto questo non può essere accettato. Dobbiamo ristabilire un clima lavorativo accettabile, con ritmi e carichi di lavoro sopportabili, il rispetto della dignità delle persone, il rispetto delle regole.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

MUTUO NEMICO. Gioie e dolori dei tassi agevolati Intesa Sanpaolo.

Le condizioni agevolate applicate ai dipendenti dell’azienda non sono contrattate sul piano sindacale, ma rappresentano da tempo uno dei punti di forza dell’intero pacchetto “welfare” per fidelizzare il personale ed attrarre talenti professionali e figure specialistiche nel “posto migliore in cui lavorare”. Tuttavia non mancano anche qui evidenti “sbavature”.

Dal completamento della fusione tra Intesa e Sanpaolo, quindi da oltre 10 anni, esiste il “nuovo pacchetto”, che fornisce ai dipendenti del Gruppo condizioni agevolate omogenee per accedere ai prodotti e servizi della banca. Di particolare valore i tassi sui finanziamenti ed in particolare sui mutui immobiliari, che consentono di accedere ad un bene primario come la casa a tassi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato (sebbene la forbice si sia ridotta alquanto, con il calo dei tassi e l’aumento della concorrenza, per mutuatari “sicuri”).
Da qualche anno a questa parte il pacchetto mutui si è arricchito di un ulteriore strumento, il “mutuo amico”, dedicato a quei lavoratori che hanno un reddito familiare lordo annuo inferiore ai 35.000 euro: una categoria che sta acquisendo “spessore”, visto il progressivo pensionamento dei bancari più costosi, il forte contenimento degli aumenti contrattuali delle ultime tornate, le varie formule di salario d’ingresso per i neo-assunti ed il lento ma costante peggioramento delle condizioni retributive per il personale entrato in banca negli ultimi lustri.
Inizialmente si poteva accedere con il mutuo amico ad un finanziamento non superiore ai 100.000 euro, poi elevato a 200.000 euro con la revisione del pacchetto attuata tre anni fa, che includeva, tra le altre cose, la possibilità anche per i dipendenti di rinegoziare i mutui già in essere e l’innalzamento a 600.000 euro del plafond complessivo utilizzabile nel corso della propria vita per comprare casa per sé o per i propri figli. Tanta roba, verrebbe da dire…
Certamente pesavano le condizioni generali di mercato: tassi bassi, offerta competitiva da parte dei concorrenti, liquidità illimitata a costo zero messa a disposizione dalla BCE. Alla fine anche i mutui ai colleghi fanno budget, sebbene i tempi e le ansie per ottenere le relative delibere da parte degli organi preposti siano spesso lunghi, prolungati e penosi (tranne qualche “scavalcamento” per pratiche più prioritarie di altre, naturalmente…).
Mentre però le innovazioni migliorative vengono strombazzate subito ai quattro venti per fare propaganda, le modifiche peggiorative subiscono una diversa sorte. A giugno 2017 le relazioni industriali hanno deciso di modificare il parametro reddituale su cui calcolare e concedere il mutuo amico: non più l’imponibile lordo Irpef, ma l’imponibile Inps, ben più
alto del primo. Le modifiche non sono state rese note che con le FAQ di fine settembre e
soltanto i colleghi che erano alle prese con richieste di mutuo in corso hanno avuto la
possibilità di rendersene conto.
Accade così l’ennesimo giro di giostra degli imponibili utilizzati dalla/e azienda/e per i
diversi scopi, utili sempre però per realizzare risparmi di costo. Un imponibile su cui
calcolare l’accantonamento del TFR e un altro per conteggiare il contributo alla previdenza
integrativa (che negli ultimi due rinnovi contrattuali hanno finanziato i risibili aumenti dei
contratti stessi), adesso un diverso imponibile anche per le erogazioni dei mutui ai
dipendenti. Una vera e propria geometria variabile degli imponibili!
L’utilizzo dell’imponibile INPS per verificare la congruità del Mutuo Amico non ha alcuna
giustificazione: il reddito effettivo del lavoratore è legato al suo reddito lordo (già gravato
da un peso fiscale rilevante), mentre il rapporto rata/reddito è giustamente calcolato sul
reddito netto percepito. Cosa c’entra l’imponibile Inps con la sua situazione reddituale?
Questa modifica taglia via dal perimetro di applicazione sin da subito centinaia di colleghi
e in prospettiva svariate migliaia: gli interessi applicati sono ben diversi e l’incidenza delle
rate sui mutui più lunghi ha ben altra consistenza, con forte aggravio sui colleghi più
giovani e famiglie monoreddito. In caso di utilizzo del massimale del plafond, su durate
elevate, la differenza può ammontare a centinaia di euro al mese e a decine di migliaia di
euro sul piano di ammortamento completo. Le modalità della sua introduzione hanno
seriamente danneggiato chi aveva già intrapreso operazioni di acquisto, facendo conto
sulle precedenti condizioni. A nulla sono valse le richieste di applicazione graduale della
nuova normativa, per salvaguardare le operazioni in corso ed evitare la retroattività, anche
per tenere conto delle modalità poco trasparenti e tempestive di comunicazione e
informativa.
Stigmatizziamo questa iniziativa aziendale, il generale silenzio che ha circondato
l’operazione e la rigidità nel rifiutare ogni deroga per le operazioni immobiliari già
impostate. Auspichiamo che questa improvvida decisione venga rivista e si ritorni al più
presto alla normativa precedente.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

VICENDA FRUENDO, GLI ULTIMI SVILUPPI

Circa un mese fa, i legali dei lavoratori di Fruendo, che avevano aperto una vertenza legale contro l’esternalizzazione, si sono visti recapitare da MPS e Fruendo una proposta per rinunciare al rientro in banca, in cambio di una clausola di salvaguardia, valida fino al 2031, che prevede il ritorno in MPS al verificarsi di una serie di eventi negativi.

Questa mossa aziendale dimostra, come prima evidenza, che gli avvocati,  indirettamente, sono già riusciti a strappare condizioni migliori di quelle ottenute dai sindacati che firmarono lo sciagurato accordo di cessione.

In secondo luogo, a fronte dei comprensibili timori dei lavoratori per l’esito del ricorso in Cassazione, questa offerta tardiva, da parte aziendale, dimostra che i timori della controparte sono ancora più forti.

In una situazione come questa, ci aspetteremmo che i sindacati che non firmarono l’accordo di cessione, ma che, contrariamente a noi, hanno il potere di indire assemblee, si attivassero in tal senso, per evitare che ogni lavoratore con ricorso in piedi sia lasciato da solo a fare la sua scelta.

Noi pensiamo che non solo le vertenze legali debbano andare avanti, ma che andrebbe aperta una vertenza sindacale per il rientro di tutti i lavoratori in MPS. Le vertenze legali, a nostro parere, hanno sempre una funzione complementare e non sostitutiva dell’azione sindacale.

Nel caso di esito favorevole delle cause anche in Cassazione avremmo una situazione paradossale, nella quale alcuni lavoratori (chi ha tenuto in piedi la causa) rientrerebbero in MPS, altri (chi avesse accettato la conciliazione) che resterebbero in Fruendo con garanzie rafforzate e altri ancora, chi non ha fatto causa, che resterebbero in Fruendo con le sole garanzie dell’accordo sindacale.

Mps, a seguito delle sentenze giunte fino al secondo grado, è in un’oggettiva situazione di debolezza e si deve percorrere la strada per garantire il rientro a tutti i lavoratori.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo MPS

MATRIMONIO UBI BANCA…LAVORATORI SEPARATI IN CASA!!

 

UBI  Banca nasce nel lontano 1 aprile 2007 dall’integrazione di 7 banche e una serie di società prodotto e di servizi.

Ogni realtà presentava una propria storia distinta e i lavoratori godevano di trattamenti diversi sulla scorta di quanto erano riusciti ad ottenere con i loro CIA nel corso degli anni.

Da oltre 2 lustri però le divisioni valevano solo per i dipendenti: le azioni erano quotate sotto il nome di UBI, le strategie aziendali, i piani industriali e le decisioni più importanti si prendevano in UBI, solo i lavoratori rimanevano divisi in base all’azienda di provenienza.

Le differenze di trattamento, derivanti dai diversi contratti integrativi erano anche molto marcate, sia per quanto riguarda l’aspetto economico che per quello normativo.

Ora sappiamo bene che uniformare tutti questi accordi non era operazione fattibile dall’oggi al domani da un punto di vista tecnico.

Tuttavia si poteva tentare di coinvolgere i lavoratori, magari mobilitarli, per cercare di raggiungere obiettivi collettivi che, tendenzialmente, dovevano puntare all’uniformità ai livelli più alti per tutti, o perlomeno provarci.

Invece la trattativa per il nuovo CIA è stata una mediazione mediocre tra i diversi trattamenti delle ex banche, togliendo qualcosa a qualcuno e aggiungendo a qualcun altro, al punto che commentare gli accordi raggiunti era davvero difficile.

Naturalmente, nel solco della totale mancanza di democrazia che contraddistingue il nostro settore, il tutto si è svolto senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori, sia in fase preventiva, con la stesura di una piattaforma rivendicativa, sia nella fase finale di legittimazione dell’accordo, attraverso il voto assembleare.

Forse per compensare chi ha perso qualcosa sulla parte normativa, a qualcuno è venuto in mente di accordarsi per un diverso trattamento per il Vap.

Fino ad oggi il premio di produzione è stato calcolato, più o meno tenendo conto dei risultati ottenuti dalle singole realtà, con notevoli differenze tra le varie banche del gruppo, differenze che, se possiamo anche accettare per il passato, risultano incomprensibili e odiose se applicate per il futuro.

Il Vap 2017 (erogato nel 2018) è apparentemente uguale per tutti (la parte dove si può scegliere tra conto welfare e cash), ma vi è una parte che è stata contrattata separatamente nelle banche pre-esistenti.

Partendo da una buona idea (consolidare in modo stabile una parte del premio) è stato fatto un pasticcio indigeribile.

Intanto lo strumento scelto per questa erogazione è soltanto il conto welfare (senza possibilità dell’opzione cash),  che ha ormai un’ampia casistica di spese rimborsabili, ma che non è detto possa essere utilizzato da tutti.

Diciamo che, piuttosto che confliggere con l’azienda, viene più facile accordarsi con essa su come eludere il fisco, facendo risparmiare al datore di lavoro tasse e, soprattutto, contributi previdenziali.

Ma la beffa finale è che il premio consolidato, ispirato a criteri di uguaglianza, in quanto fisso e uguale per tutti i livelli contrattuali, è però diverso per le banche di provenienza, con importi differenziati da 320 euro fino a 725 euro, tendenzialmente per sempre!!!

I nostri sedicenti rappresentanti, pur di salvaguardare l’interesse particolare, sono riusciti a mantenere un piccolo residuo di differenze, quasi a ricordo perenne degli oltre 10 anni passati con condizioni e diritti anche molto differenti tra i dipendenti.

Anche in questo episodio emerge la mancanza di un’azione di largo respiro e di capacità di rappresentanza generale.

Rilanciamo il nostro invito ad autorganizzarci e aderire ad un sindacato libero, che non teme il confronto con i lavoratori e il conflitto con la controparte e che abbia, tra gli altri, come obiettivo anche il riconoscimento di uguali diritti per tutti i lavoratori di UBI….TUTTI!!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Ubi Banca