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CASSA DI PREVIDENZA SANPAOLO: OPPORTUNITA’ E RISCHI

Per quanto ovvio, la CUB-SALLCA ha seguito e segue con estrema attenzione ogni singolo passaggio del progetto di chiusura della Cassa di Previdenza SanpaoloIMI, l’ultimo gioiello di famiglia dei vecchi sanpaolini di diritto pubblico. A supporto della nostra consigliera Amalia Piccinino abbiamo costituito un gruppo di lavoro estremamente qualificato e che si avvale anche di competenze professionali specifiche esterne alla nostra organizzazione.

Ai pochi distratti, ricordiamo che da oltre un decennio le/i candidate/i della CUB-SALLCA risultano sistematicamente le/i più votate/i dalle/dagli iscritte/i alla Cassa (siamo quindi sindacato di maggioranza relativa) ma, ciò nonostante, l’assenza di democrazia sindacale che caratterizza il nostro settore affida questo tipo di trattative alle cosiddette “fonti istitutive” (azienda e sindacati firmatari) i cui rappresentanti nel CdA della Cassa si adeguano poi supinamente ed acriticamente agli accordi raggiunti.

Noi siamo fuori da questo tipo di giochi e diremo ai lavoratori (quando saranno espliciti tutti i parametri tecnici dell’operazione) quello che riterremo giusto dire per aiutarli nel fare la scelta più opportuna, che ovviamente dipenderà anche dalla loro situazione individuale. Questo, quindi, non è altro che un primo volantino sull’argomento. Ci aiuta, per fortuna, il fatto che avremo molto tempo per approfondire i vari aspetti dell’operazione visto che l’offerta aziendale sarà quantificata ad ognuno degli iscritti verso giugno ‘18 e si avranno poi tre mesi per decidere il da farsi.

 

Vediamo ora quali sono i principali punti di un accordo che, con un’accelerazione degna di un centometrista, le famigerate “fonti istitutive” hanno firmato per dare il colpo (quasi) finale alla previdenza a prestazione definita. Ovviamente, nonostante la rilevanza del tema, non è stata fatta alcuna assemblea e nessuna informativa è circolata tra i colleghi interessati salvo qualche scarno e impreciso comunicato delle sigle sindacali.

 

Volontarietà e mantenimento dei diritti          

Sicuramente l’aspetto più positivo dell’accordo ma non è certo una conquista della contrattazione. Molto più semplicemente le esperienze passate per altri fondi a prestazione definita hanno “insegnato” che i colpi di mano non pagano se non in termini di ricorsi alla Magistratura con esiti praticamente sempre soddisfacenti per i colleghi. Come noto, le posizioni dei non aderenti all’offerta verranno trasferite in una sezione dedicata del Fondo Banco Napoli che cambierà nome ed il cui Statuto verrà adeguato alla bisogna.

 

Pensionati

Qui l’accordo è semplice e, per fortuna (o… magari qualcuno si è fatto sentire …), le fosche anticipazioni contenute nel volantino del 29/11 sono state riviste. La decurtazione è stata fissata al 6% (dal 10% iniziale) ed è stata introdotta una soglia sotto la quale non si applica. Su questo tema è bene ricordare che la decurtazione era stata presentata come inevitabile (“viene solitamente previsto per le capitalizzazioni anticipate delle prestazioni previdenziali”). In realtà era un mettere le mani avanti perché in un’operazione del genere il “di solito” non esiste mentre il 10% è, molto più semplicemente, l’applicazione della decurtazione prevista per le capitalizzazioni nei fondi ex Banco Napoli. Farlo passare come standard di mercato era un’operazione di marketing piuttosto discutibile.

Da parte nostra riteniamo che tecnicamente è sempre auspicabile introdurre una maggiore gradualità piuttosto che uno scalino secco: il 10% poteva anche essere “accettabile” per chi percepisce un’integrazione di 30 o 40.000 euro l’anno mentre lo è meno il 6% per chi è sopra la soglia di esenzione per pochi euro. Infine occorre tener presente che la posizione viene liquidata in contanti e quindi l’imposizione fiscale è un aspetto da valutare attentamente.

 

Attivi, esodati e differiti

Per questi colleghi la determinazione del capitale offerto è più complessa perché occorre trovare un modo per calcolare la misura dell’integrazione attesa. L’accordo specifica che l’offerta individuale verrà calcolata sulla base del principio contabile IAS 19 che prevede di considerare l’anzianità maturata al 31 dicembre 2017 in quanto gli accantonamenti della Banca vengono determinati utilizzando questo approccio contabile. Per gli attivi più “giovani” ciò comporta una penalizzazione piuttosto pesante posto che ogni anno in meno vale il 2,25% in meno di integrazione! Il volantino dei sindacati firmatari ribadisce che questo criterio è quello previsto dalle norme statutarie ma in realtà l’attuario incaricato di valutare gli oneri previdenziali produce regolarmente un secondo documento (Italian Gaap) nel quale il debito previdenziale viene calcolato considerando l’anzianità che si raggiungerebbe al momento della maturazione dei requisiti pensionistici e non solo quella già maturata! È infatti quest’ultimo approccio, che consente di valutare il valore della prestazione previdenziale e, stando alle ultime valutazioni espresse dall’attuario in nostro possesso, il differenziale è di almeno 170 milioni!

Proprio per ovviare a questa penalizzazione implicita nella scelta dell’approccio con cui calcolare il capitale da offrire all’iscritto, è prevista l’introduzione di una contribuzione previdenziale aggiuntiva del 4% (peraltro calcolata solo su un sottoinsieme di voci retributive). Quanto sopra fa emergere una oggettiva difficoltà nel valutare complessivamente l’accordo. Ma forse intorbidire le acque è proprio ciò che si voleva …

Per quanto riguarda la liquidazione, è prevista unicamente la zainettizzazione nel Fondo Pensione di Gruppo a Contribuzione Definita le cui regole ne determineranno la tassazione e le condizioni di disponibilità. In particolare, gli esodati potranno riscuotere fino al 50% a condizioni fiscalmente estremamente vantaggiose (tra il 9% ed il 15% contro il 23% previsto per le anticipazioni prima casa e per cause diverse del Fondo Pensione).

 

Il diavolo sta nei dettagli

Una volta definito il quadro dell’accordo, si tratta ora di attendere i conti di fine anno. Oltre al modello di valutazione che incide sull’anzianità da considerare, il calcolo (tecnicamente molto complesso) utilizza tutta una serie di altri parametri che incidono in modo determinante sul risultato finale: tavole attuariali, tassi di incremento della retribuzione, tasso di attualizzazione, ecc. In particolare, il tasso di attualizzazione, ovvero il tasso con il quale si trasformano gli euro di domani in euro di oggi, è un parametro assai rilevante: una variazione dello 0,5% incide per oltre 150 milioni sul debito previdenziale complessivo. Considerando che i tassi di interesse Eur sono negativi fino a 3 anni e non superano l’1,5% neanche nel lunghissimo periodo, il tasso di sconto da applicare dovrà essere ben inferiore al 2,17% utilizzato lo scorso anno!

Su questo aspetto l’accordo, nelle Norme Finali, prevede che le fonti istitutive operino “un approfondimento sui criteri attuariali adottati nella predisposizione delle offerte”. Quello che sembra un messaggio rassicurante è invece un aspetto che ci preoccupa moltissimo. La determinazione da parte dell’attuario dell’onere previdenziale complessivo è una questione che riguarda tipicamente il CdA della Cassa in quanto responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio che, appunto, si basa sulle valutazioni con il metodo IAS. Perché si vuole “scippare” la competenza su questo aspetto all’organo societario preposto, peraltro l’unico democraticamente eletto? Perché le fonti istitutive si arrogano il diritto di valutare parametri tecnici non di loro competenza visto che ormai hanno già determinato l’approccio contabile (ovviamente quello meno favorevole) da utilizzare?

 

Prendere o lasciare

L’operazione si configura come un’offerta straordinaria per capitalizzare i flussi futuri di integrazione della rendita previdenziale ma la liquidazione prevista non si basa su una valutazione equa della prestazione e non include alcuna remunerazione del rischio previdenziale. Una prestazione definita è l’unica vera, concreta ed effettiva protezione previdenziale verso eventuali cambiamenti del quadro normativo complessivo. È una proposta che ognuno è libero di accettare o meno ma che, nei fatti, appare più attraente per chi ha già un reddito previdenziale significativo. Ricordiamo che, grazie al passaggio al Fondo Banco Napoli, sarà possibile operare nuovamente la scelta al momento della maturazione del requisito pensionistico (AGO): è infatti previsto che in quell’occasione sia possibile incassare l’intero capitale con una penalizzazione del 6%.

Per quanto ovvio non mancheremo di far sentire la nostra voce e pretendere un percorso trasparente ed informato ed in tal senso abbiamo già chiesto precise garanzie che, al momento della comunicazione della cifra offerta, vengano resi disponibili tutti gli elementi e gli strumenti utili affinché ognuno possa valutare consapevolmente l’operazione.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

CARIGE, NON continuino a pagare I LAVORATORI

La preoccupazione dei lavoratori per la sorte della Banca è forte e le difficoltà non possono certo essere nascoste, tuttavia è necessario ragionare con calma e lucidità sulla linea da seguire.

Sono usciti due comunicati della Fisac aziendale che manifestano valutazioni diverse tra i sindacati della Banca: non vogliamo entrare nel merito di questa polemica e restiamo in attesa di conoscerne meglio gli sviluppi, ma riteniamo che alcuni punti fermi vadano affermati.

In maniera contraddittoria, l’azienda ha avanzato varie richieste, dall’annuncio della disdetta del contratto integrativo, a proposte sulla mobilità in deroga al contratto nazionale.

L’idea che si vorrebbe insinuare è che, nello sforzo per risanare i conti della Banca, anche i lavoratori debbano contribuire con ulteriori e inevitabili sacrifici.

Riteniamo che questa idea non sia solo iniqua, ma anche sbagliata e fuorviante. I problemi della Banca non derivano da un eccesso di tutele dei lavoratori (che, anzi, a livello di sistema bancario, oramai, sono tra quelli meno retribuiti e maggiormente “precarizzati”), ma dalla sciagurata gestione dei suoi dirigenti e d taluni soci di riferimento, dalla nota collusione, di storica data, tra i poteri forti liguri e la Banca stessa (vedi esponenti politici, sindacati firmatari, imprenditori, coop, ambienti della Curia, rappresentanti di enti pubblici locali, ecc.).

Dire questo è ovvio, ma va anche aggiunto che i risultati della malagestione sono, verosimilmente, irreparabili e che il recente aumento di capitale rappresenta un ultimo, disperato, sforzo che produrrà solo un prolungamento dell’agonia.

E, come se ce ne fosse stato bisogno, le modalità e la tempistica con cui si è arrivati alla costituzione del consorzio per l’aumento di capitale ha provocato un’ulteriore perdita di credibilità, sia agli occhi dei dipendenti, dei clienti che dell’opinione pubblica in generale, non più arginabile.

Accettare accordi peggiorativi non servirebbe in nessun modo a risolvere i problemi di Carige, ma produrrebbe solo un aggravamento gratuito delle condizioni dei lavoratori.

Abbiamo già scritto che solo un intervento dello stato, sul modello di MPS, può risolvere la situazione e siamo convinti che questo sarà l’unico sviluppo possibile.

L’idea migliore, associata allo sciopero del 21 novembre, è stata quella del volantinaggio ai cittadini a Genova. Si deve tentare di costruire un asse tra lavoratori e clienti per tutelare entrambi. Va richiesto con forza che si vada al salvataggio di Carige tutelando i risparmiatori e chi lavora.

Come abbiamo sollecitato anche per MPS, l’intervento dello stato, con l’uso dei soldi dei contribuenti, non deve solo essere finalizzato al salvataggio della Banca, ma deve anche portare ad un nuovo modello di impresa, funzionale agli interessi della collettività e ad una ripresa di redditività sostenibile e socialmente compatibile, che porti, nel lungo termine, anche al recupero dell’investimento pubblico.

Ti proponiamo di operare, anche in Carige, per tentare di costruire un sindacato alternativo e al di fuori delle solite logiche di potere, che da sempre ha dimostrato piena autonomia e coerenza nella difesa dei diritti, in generale, e in ambito lavorativo in particolare.

Il tempo è scaduto. Se sei interessato contattaci.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Carige

COMMENTO SCIOPERO GENERALE E LINK CONVEGNO EUROPA BANCHE

DA CUB SALLCA

A ISCRITTE/I DI BANCHE E ASSICURAZIONI

Si è svolto il 27 ottobre lo sciopero generale dei sindacati di base, di cui diamo conto nel volantino allegato. Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato, provocando chiusure parziali o totali di punti operativi. E’ stata una bella giornata di lotta, nonostante i tentativi (alcuni ridicoli, altri dannosi) che in vario modo hanno cercato di ostacolarne la riuscita. Nelle banche non sono mancati i responsabili aziendali che hanno tentato di mettere in dubbio la legittimità dello sciopero. Ricordiamo ancora una volta che lo sciopero è un diritto dei lavoratori, che può essere esercitato da tutti e non solo dagli iscritti alle organizzazioni che l’hanno indetto; che viene preavvisato sempre a nostra cura con il rispetto delle previsioni di legge e degli accordi di settore; che è compito delle aziende esporre il preavviso al pubblico con congruo anticipo.

Passando a cose più serie, è stata grave la decisione del Ministro Graziano Delrio, che ha ridotto d’autorità la durata dello sciopero nel settore trasporti da 24 ore a sole 4 ore. Ancora una volta è stato violato il diritto di sciopero, ricorrendo ad una forzatura giuridica.

Altri due fatti gravi e importanti si erano verificati nei giorni precedenti: la Corte Costituzionale aveva rigettato i ricorsi legali dei pensionati per i mancati adeguamenti al costo della vita, stabilendo il principio che i vincoli di bilancio (definiti da lor signori) vengono prima dei diritti.

Inoltre l’Istat, nel pieno del dibattito sull’età per il pensionamento, aveva fatto il “miracolo” di riallungare la vita degli italiani, dopo che, due anni fa, il rapporto di Osservasalute aveva rilevato, per la prima volta, una riduzione della speranza di vita.

Tutto si tiene quando si tratta di prolungare le politiche d’austerità che continuano a prostrare l’economia e la società. Ne abbiamo parlato nel convegno del 6 ottobre su “Euro e banche” di cui è possibileoraconsultare i video:

https://youtu.be/H9fu4-c7Xuo

https://youtu.be/C7XlqZEsz5E

https://youtu.be/TfZBK6BsGMA

Intesa Sanpaolo: finalmente un prodotto di successo!!

Questa volta non c’è stato alcun bisogno di formidabili pressioni per raggiungere sfidanti obiettivi. La nuova offerta di Intesa Sanpaolo, denominata ESODO, ha avuto un successo incredibile: circa 6.500 adesioni su una platea di poco più di 8.000 potenziali clienti (lavoratori). Se ne vogliono andare tutte/i. Dal nord al sud, dalla rete alle sedi, dai sindacalisti “duri e puri” agli incalliti carrieristi. Cassieri e gestori ma anche direttori, capi e capetti; persino i più canuti protagonisti dei video-trash e delle convention karaoke. Una fuga di massa.

Alcuni anni fa (nemmeno troppi per la verità) si diceva che far andare via i “vecchi” bancari senza convincenti incentivi era pressoché impossibile. Naturalmente poi c’è stata la Fornero (con lo spauracchio dei 67 anni per tutti) e ci sono state le sempre più frequenti crisi aziendali (ed i concreti rischi di licenziamenti). Ciò nonostante fa impressione che nella solidissima prima banca del paese abbia un simile riscontro il primo piano di prepensionamenti a condizioni assolutamente standard.

Ma la nostra Banca non era il luogo dove si faceva la storia, dove ci si cullava nell’ambizione di essere il più bel posto dove lavorare, per le cui iniziative sociali ci si poteva commuovere in pubblico, dove l’attenzione alle persone era massima in quanto ricchezza del gruppo per l’oggi e per il domani? Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo a riflettere sulle figuracce che si inanellano, una dopo l’altra, quando si fa un uso così smodato di vuoti slogan retorici che nulla hanno a che vedere con la realtà. Che poi presenta il conto.

Sappiamo benissimo che dietro affermazioni del tipo “cercheremo comunque di accontentare chiunque voglia andarsene” c’è sempre stata la ben più prosaica intenzione di utilizzare subito e fino all’ultimo euro il tesoretto di fondi pubblici con i quali viene scandalosamente finanziata l’intera operazione. E che questo vuol dire che saranno ben più di tremila le uscite programmate nel perimetro Intesa Sanpaolo (piano industriale compreso, se serve).

E tuttavia, di fronte ai numeri che oggi sono sul tavolo, cresce l’imbarazzo e la preoccupazione sul come potrà essere gestito il processo e su quali conseguenze avrà su motivazioni, produttività, livelli di competenze professionali e, alla fine, risultati commerciali della truppa.

Il tutto, ovviamente, complicato in misura esponenziale dalla contestuale (e non semplice) integrazione delle banche venete. Ma si sa, l’unica sciocca strategia che questa dirigenza sembra conoscere di fronte al cambiamento (sia esso di un sito internet, delle procedure di filiale o del posto di lavoro e delle mansioni di migliaia di colleghi) è quella che prevede il rispetto messianico di date incautamente fissate a tavolino con lo scarico postumo dei mille disservizi provocati su lavoratori e clientela (lontano dalle luci del palcoscenico). Insomma, fretta ed approssimazione a scapito della qualità.

Quanto capiamo chi va via! Quanto lavoro abbiamo da fare al fianco di chi resta!

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

UBI BANCA: CARO BANCARIO, TI VOGLIO TANTO BENE… MA SE TE NE VAI E’ MEGLIO!!!

L’accordo raggiunto rispetto all’aggiornamento del piano industriale UBI 2019/2020  non ha portato, per ora, sorprese troppo sgradevoli per i lavoratori delle tre cosiddette ‘’Bridge Bank’’.

In attesa dell’armonizzazione degli accordi aziendali, gli esuberi dichiarati verranno gestiti con l’uso del Fondo di Solidarietà su base volontaria, sebbene senza l’integrazione aziendale per garantire che l’assegno, durante la permanenza nel Fondo, non scenda sotto l’80%.
Sono stati fissati limiti alla mobilità territoriale ed evitati processi di esternalizzazione.
L’azienda si impegna all’assunzione di 132 risorse entro il 31/12/18, peraltro in un contesto di 3.000 uscite totali nel gruppo.

Nell’insieme, però, non ci sono idee brillanti per aumentare la redditività (comunque soddisfacente se il CEO Massiah ha così commentato i risultati dell’ultima semestrale: “ottimo semestre, abbiamo triplicato il risultato’’) che non siano i soliti tagli e riduzioni dei costi, sebbene, al momento, su base volontaria.
Viene riconfermata quella forma di cassa integrazione volontaria che va sotto il nome di ‘’social day’’ (periodi di congedo, a giornate o mesi, retribuite al 40%, per almeno 160.000 giornate).

Una novità è il Piano d’incentivazione individuale, che consente, a chi ha maturato almeno 10 anni di anzianità, di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro ottenendo da 20 a 30 mensilità, in base al reddito.

Altra novità, in controtendenza rispetto alle elargizioni illustrate per non lavorare, è la penalizzazione per chi vuole lavorare a tutti i costi: chi maturerà il diritto alla pensione dovrà fruire obbligatoriamente dalle 10 alle 25 giornate (in base al reddito) di giornate di congedo non retribuito. Se non ci siamo distratti, è la prima volta che si assiste ad una misura del genere, almeno nei grandi gruppi bancari.

In questa cornice, il dato veramente negativo è l’imposizione di un limite agli straordinari, i quali, di norma, non potranno superare la quota dell’anno precedente.
In questo caso l’ipocrisia la fa da padrona. Constatiamo giornalmente che molti colleghi si fermano oltre l’orario previsto senza corresponsione del sacrosanto diritto allo straordinario. E’ il segreto di pulcinella, la banca lo sa e i sindacati firmatari lo sanno, ma, invece che denunciare una situazione di aperta illegalità, chiudono gli occhi e firmano tutto.

Noi siamo perché le ore straordinarie siano un’eccezione ma, se vengono svolte, devono essere pagate!! Mascherare il reale numero di ore di straordinario, mentre si contrattano gli esuberi dichiarati dall’azienda, non ci pare degno di un sindacato serio.

Forse l’utilizzo dei social day e le adesioni al fondo di solidarietà senza più incentivi sono il miglior termometro di condizioni lavorative sempre peggiori e da cui i lavoratori cercano di fuggire.

In definitiva, non vediamo la grande vittoria decantata nei comunicati dei firmatari: le trattative avvengono in assenza di una piattaforma sindacale per concordare gli obiettivi da raggiungere, quindi senza nessun mandato per trattare. Le trattative sono sempre durissime ed estenuanti, ma senza un’ora di sciopero non si capisce come la controparte venga indotta a presunti arretramenti, forse la prendono per stanchezza….

Ora pare verranno convocate le assemblee per illustrare i punti dell’accordo e per spiegare il nuovo modello organizzativo che la banca ha intenzione di attuare entro il prossimo 4 dicembre, ma sarà una pura formalità.
Una volta almeno potevamo votare ora possiamo solo ascoltare e subire passivamente!!  Dobbiamo cominciare a dare forza ad un sindacato vero, fatto dai lavoratori per i lavoratori. Noi ci siamo, aspettiamo rinforzi!!!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo UBI

INTESA SANPAOLO: ESODI, LICENZIAMENTI, SCIOPERI

Molti lavoratori hanno letto con stupore il comunicato dei sindacati firmatari a commento dell’accordo sugli esodi: “solo il senso di responsabilità del Sindacato e il rispetto verso tanti colleghi e colleghe interessate da questo provvedimento ha permesso di raggiungere questo obiettivo. Infatti, è di qualche giorno fa la notizia del provvedimento di licenziamento – con effetto immediato – di due colleghi di Intesa Sanpaolo Casa”.

La vicenda di questa tornata di esodi è nota: il governo ha appaltato il salvataggio delle banche ex venete a Intesa Sanpaolo, conferendo tutte le attività per la cifra simbolica di un euro e finanziando, con soldi pubblici, 4.000 uscite (di cui 1000 delle banche ex venete) con Fondo di Solidarietà. Il tutto con l’intimazione della banca al Parlamento a votare il decreto senza modificare una virgola, pena il venir meno dell’operazione.

La trattativa sindacale non era, quindi, particolarmente complicata, ma, per dimostrare di esistere, i sindacati al tavolo hanno rivendicato come conquista l’allargamento della platea di chi poteva accedere all’esodo, consentendone l’adesione anche a chi maturerà il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2023 (un anno in più). Alcuni lavoratori ci hanno fatto notare che, un tempo, erano le aziende a premere per gli esodi, ma nella nostra categoria succedono cose originali.

Ad esempio, in genere, per aumentare l’occupazione si riduce l’orario, noi invece lo aumentiamo: il Fondo per l’Occupazione, come noto, è alimentato dal conferimento di una giornata di banca ore/ex festività, quindi si finisce per lavorare di più.

Nel caso dell’esodo, i sindacati al tavolo hanno pensato bene di dare rappresentanza al diffuso desiderio di fuga presente in categoria, trovando, da parte aziendale, le porte non aperte, ma spalancate. Ribadiamo che i sindacati firmatutto dovrebbero interrogarsi sulla bontà della loro contrattazione, in presenza di lavoratori che non vedono l’ora di andarsene.

Magari, trattando sugli esodi, non sarebbe male chiedere spiegazioni e risolvere lo scandalo delle numerose ore di lavoro supplementare non compensato e giustificato con la causale NRI.

Venendo alla vicenda di Intesa Sanpaolo Casa, purtroppo non possiamo sorprenderci troppo. Da tempo, anche in questa azienda del Gruppo, le pressioni per raggiungere i risultati sono aumentate in modo vertiginoso, con tutto il corollario di riunioni e messaggi (anche scritti) in cui l’arroganza e la maleducazione di alcuni responsabili hanno rotto ogni freno inibitore.

Dopo tante chiacchiere, la situazione di Intesa Sanpaolo Casa si mostra in tutta la sua cruda realtà: ai nostri colleghi viene chiesto di dare sempre di più, con orari più lunghi (40 ore settimanali, quando bastano), paghe più basse ed il miraggio di incentivi legati ad obiettivi irraggiungibili. Tanto, se la carota non funziona, si puòagevolmente maneggiare il bastone del job’s act. Infatti le assunzioni in Intesa Sanpaolo Casa sono avvenute sfruttando la legge del governo Renzi e se qualcuno aveva dubbi su come funzionasse il “contratto a tutele crescenti”, adesso avrà tutto più chiaro.

 Resta l’amarezza per un’azienda che si era appena vantata di non aver usato lo strumento dei licenziamenti per gestire la vicenda delle ex banche venete. Si chiarisce peraltro come i nostri top manager intendano i rapporti con lo stato: se arrivano finanziamenti si attivano strumenti morbidi per gestire le eccedenze di personale, se la legge consente di avere mano libera non si esita ad usare lo strumento concesso dal governo.

L’insieme di questi fatti conferma la validità della piattaforma per lo sciopero generale del 27 ottobre: dobbiamo riconquistare diritti, dobbiamo rivendicare politiche generali del tutto diverse, bisogna arginare la dilagante arroganza delle aziende.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

27 OTTOBRE: SCIOPERO GENERALE

Lo sciopero generale indetto per venerdì 27 ottobre da molte Organizzazioni Sindacali di Base, tra cui la C.U.B., riveste una particolare importanza per tutto il mondo del lavoro in Italia. Vuole essere una giornata di lotta che riporta in campo il conflitto, che non è uno strumento del passato, obsoleto ed inefficace, ma l’unico modo che abbiamo per difendere e far valere i nostri interessi. Vogliono farci credere che lottare sia inutile, che dobbiamo rassegnarci all’insicurezza, alla paura, alla precarietà, alle decisioni altrui, al dispotismo delle aziende, alla subalternità dei sindacati collaborativi, alla mancanza di democrazia sindacale, alle leggi che reprimono gli scioperi, all’assenza di alternative.

Invece scioperando noi diciamo che vogliamo un futuro diverso, stipendi più alti, pensioni decenti, vite lavorative più brevi, contratti di lavoro più stabili, orari ridotti, modelli di sviluppo espansivi e sostenibili. Anche in banca è ora di dire basta e chiedere una svolta: ritornare ad assumere e sostituire gli esodati (senza i contratti “ibridi”); eliminare le pressioni commerciali; alzare gli stipendi, in particolare del personale più giovane; ripristinare livelli di servizio adeguati, riprendere a fare credito all’economia reale, che non è certo mettere un camper sportello nelle zone terremotate (questa è solo pubblicità).

Impegnarsi tutti per una buona riuscita dello sciopero significa anche ribadire il ruolo centrale che devono avere gli interessi dei lavoratori in un settore investito dalla crisi, che dovrà affrontare a breve un CCNL delicato e impegnativo. Alleghiamo il nostro volantino che espone in modo analitico le ragioni dello sciopero.

Monte dei Paschi: la carota delle parole, il bastone dei fatti

Se la realtà fosse costituita dalle parole, i dipendenti del Monte dei Paschi di Siena non avrebbero eguali tra tutti i lavoratori, in termini di considerazione da parte dei vertici aziendali. A loro è stato più volte riconosciuto il grande merito di avere permesso alla banca di navigare nei mari tempestosi che conosciamo.

Ma la realtà, purtroppo, ha il brutto vizio di non riuscire ad adeguarsi al vestito che le parole le cuciono addosso. Per quanto il miglior sarto si prodighi nell’occultarne le vere forme, queste rimangono tali.

E’ così che, dagli strappi di quel vestito fatto di parole piene di gratitudine, encomio, riconoscimento, è fuoriuscito un vecchio e nodoso bastone.

Una prima cucitura è saltata con la proposta di introdurre, in via sperimentale, l’utilizzo del badge. I passaggi registrati non saranno solo ad inizio e fine giornata. Ma anche quelli intermedi.

Quei lavoratori che nell’eloquio aziendale sono quasi degli eroi, vanno controllati nei loro movimenti, minuto per minuto. Perché? I sindacati firmatari, che potrebbero essere interessati a porre questo quesito, non sono dello stesso avviso, evidentemente.

Una seconda cucitura si è lacerata attraverso le modalità utilizzate per “convincere” i colleghi ad aderire all’esodo volontario. E’ stata adottata la forma più raffinata delle relazioni aziendali: la minaccia. A chi lasciava intendere una mancata adesione, è stato prospettato un trasferimento in luoghi disagiati e logisticamente difficili da raggiungere.

Anni infernali, quelli vissuti dai lavoratori del Monte dei Paschi, che hanno lasciato, in molti di loro, segni profondi. Esaurimenti o vere e proprie depressioni, vissute spesso in silenzio.

Assume quindi un valore beffardo l’invio di lettere di revoca della franchigia relativa alla presentazione di certificato medico per i primi tre giorni di malattia. Il comunicato unitario dei sindacati firmatari, pur evidenziando l’odiosità di una misura che colpisce, nella quasi totalità, dipendenti che rientrano al lavoro prima del previsto per senso di responsabilità, non va oltre la blanda richiesta di aumentare il periodo di riferimento del monitoraggio a due anni, senza nemmeno provare ad argomentare che la regola della franchigia non ha impedito lo sviluppo della banca e che nessun nesso, a meno che non si voglia mistificare completamente la realtà, è mai esistito tra questioni attinenti la quantità e la qualità del lavoro dei dipendenti del Monte dei Paschi e le sabbie mobili in cui esso si è impantanato. Dunque perché, adesso, divengono centrali aspetti concernenti il controllo della forza lavoro?

Come noto, la totale assenza di democrazia sindacale nel settore bancario ha pesato fortemente sulla perdita di diritti e salario dei lavoratori, nel periodo apertosi con la privatizzazione del sistema creditizio. Adesso però risulta arduo non vedere la trasformazione delle organizzazioni sindacali firmatarie in enti para-aziendali, organicamente integrati nell’esecuzione della governance dettata dal management.

Un fulgido esempio ce lo offre un punto dell’accordo sui prepensionamenti, nella parte che prevede un finanziamento della banca per i lavoratori esodati, nel caso in cui una legge intervenga nel frattempo, modificando i requisiti di accesso alla pensione. Una sorta di anticipo pensionistico oneroso, analogo a quello realizzato dal governo. Vale la pena ricordare, visti i tempi che viviamo, che la pensione è salario differito. Far pagare un interesse, sul proprio salario, che non si riesce a percepire, nell’ipotesi che una norma di legge varata dai rappresentanti politici del capitale, ne posticipi il godimento pur dopo 42, 43 o più anni di lavoro, è un’infamia che si traduce nella cessione di pezzi di quel salario alla rendita finanziaria.

Anche in questo caso i sindacati firmatutto non hanno nulla da eccepire sull’introduzione perniciosa del principio. Chiedono solo che il tasso d’interesse, previsto al 4,50%, venga…ridotto.

Quello a cui si assiste al Monte dei Paschi è un avvitamento autoritario, repressivo, che configura una forte regressione nei rapporti capitale-lavoro. E questo proprio nel momento in cui quel capitale diviene sostanzialmente pubblico, con il Ministero dell’Economia e delle Finanze assurto ad azionista di riferimento. Una nazionalizzazione finora accompagnata da forme di attacco ai diritti e alla dignità dei lavoratori, che nulla di buono lascia presagire. Ma su questo aspetto, la nazionalizzazione e le possibili azioni dei lavoratori che facciano perno su di essa, ritorneremo. La nostra voce non si spegnerà. Ma per farla pesare, abbiamo bisogno del vostro sostegno.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo MPS

RESET G7

Dal 26 settembre al 1^ ottobre i ministri di Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada, Giappone e Regno Unito si riuniranno alla Reggia di Venaria per discutere ufficialmente di scienza, industria e lavoro, ma in realtà per proseguire nel progetto politico che prevede lo smantellamento totale dei diritti dei lavoratori, la compressione dei salari, la polverizzazione del welfare e dei servizi sociali e previdenziali. Lo sviluppo tecnologico nel modello economico dominante diventa uno strumento per aumentare i profitti e contemporaneamente ridurre gli occupati. Il governo italiano persegue questa politica in obbedienza ai diktat europei e la attua da tempo tramite leggi che svuotano i diritti del lavoro (Fornero, Jobs Act), impoveriscono lo stato sociale e i servizi pubblici (“buona scuola”, riduzione dell’assistenza sanitaria, tagli alle pensioni e allungamento dell’età pensionabile), stravolgono i cardini democratici e costituzionali (obbligo del pareggio di bilancio, riforma della Costituzione – sonoramente bocciata dal Referendum popolare del 4 dicembre 2016). Il G7 Lavoro si svolge a Torino (anzi a Venaria, per paura di proteste): un’area metropolitana che dopo aver subito 100 anni di sfruttamento industriale è ora avviata ad una complicata trasformazione, che implica anche desertificazione produttiva e marginalizzazione sociale di massa. A Torino la Fiat si sta ritirando da ogni impegno produttivo, mentre le istituzioni pubbliche sono gravate da debiti mostruosi, che possono portare al dissesto. Intanto servizi e investimenti rappresentano occasione di appalti e di saccheggio da parte di consorzi e gruppi economici, che propongono contratti di lavoro in cui tutto (orari, turni, preavviso di chiamata, ferie, permessi) è aleatorio e in cui l’unica cosa certa per il lavoratore è l’obbligo a rimanere sempre e comunque “a disposizione”, ringraziando per il tozzo di pane guadagnato. Qui si utilizzano i trasferimenti a centinaia di chilometri di distanza come arma di ricatto per fare accettare sconvolgimenti di orari e sottrazione di diritti, oppure si impongono ai lavoratori come “incentivo” all’esodo. La più sfrenata “flessibilità” in mano ai padroni non frena affatto la chiusura di fabbriche e uffici, ma anzi la incentiva e la rende logica e naturale. Contro tutto questo il sindacalismo di base organizza un corteo dei lavoratori Venerdì 29 settembre con partenza alle ore 17.30 da Porta Palazzo (Corso Giulio Cesare – Ex stazione Torino Ceres) in direzione Giardini di Via Montanaro (Barriera di Milano)

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CARIGE: AGGIORNATO IL PIANO INDUSTRIALE

Il 14 settembre Carige ha reso noto un aggiornamento del piano industriale al 2020,
in sintesi una nuova cura “lacrime e sangue”. Altre 63 filiali da chiudere, in aggiunta
alle 58 già chiuse tra il 2016 e luglio 2017. 842 dipendenti in esubero, con la
previsione di scendere dai 4.742 attuali ai 3.900 finali (in pratica uno su cinque
viene messo fuori). Esodi incentivati, part-time e cessione di attività gli strumenti
individuati per portare l’azienda in utile già nel 2018, razionalizzando la rete e
facendo “efficienza operativa”. A latere un taglio delle obbligazioni subordinate di
entità ancora sconosciuta ed un aumento di capitale da 560 milioni di euro dall’esito
incerto, visto che l’esigente famiglia Malacalza, azionista di riferimento dopo i
disastri dell’era Berneschi, ha già perso nell’investimento in Carige 230 milioni di
euro e non sembra intenzionata a mettere altri soldi, né assistere indifferente al
diluirsi del suo 17,8% di quota. Nell’immediato, vendita dei pochi gioielli di famiglia
rimasti, come l’immobile che ospita la sede di Milano e che dovrebbe fruttare oltre
100 milioni di euro, per fare un po’ di cassa a breve.
Persino il segretario della FIRST-CISL si è sentito in dovere di intervenire nella
vicenda Carige:
“Siamo stupefatti che, nell’individuare quale elemento fondamentale di rilancio della
banca la presenza di una base di clienti resiliente e fedele, ci si accanisca contro i
lavoratori, ossia coloro che hanno permesso che questa fedeltà si mantenesse,
rimediando ai danni reputazionali provocati dalle cattive gestioni dei
vertici”.“Volontarieta’ e sostenibilita’ sociale devono essere i punti fermi della
gestione delle ricadute occupazionali – aggiunge Romani -, mentre e’ chiaro che
non ci sono spazi per ulteriori sacrifici retributivi in una banca che ha gia’ un livello
di costo unitario del personale al di sotto della media di sistema in virtu’ dello
straordinario senso di responsabilita’ mostrato in questi anni dai lavoratori e dal
sindacato.Piuttosto – conclude Romani -, osserviamo che ancora una volta ci
troviamo di fronte a stantie formule basate sul taglio di dipendenti e di filiali, sulla
cessione degli npl, su esternalizzazioni di professionalita’ e sulla mera
riorganizzazione dei processi e dei modelli organizzativi, mentre poco o nulla si
innova dal lato dei prodotti e dei servizi”.
Non c’è da stupirsi se viene sempre chiesto ai lavoratori di sacrificarsi: sono l’unico
soggetto che ha una rappresentanza sempre disponibile a cedere. I soci non
accettano di tirare fuori nuovi soldi, le autorità di governo accettano i diktat dell’UE
e le conseguenze del bail-in, le altre banche sono impegnate a tirarsi fuori dai guai
per conto loro, la Banca d’Italia sostiene di aver vigilato bene, il presidente dell’ABI
Patuelli professa ottimismo, sull’onda del mantra ”la crisi è finita”.
Per le sorti di Carige varrebbe la pena prendere in considerazione ipotesi di scenari
avversi e la necessità di puntare su soluzioni istituzionali sul modello Monte dei
Paschi di Siena, per prevenire disastri come nel caso delle banche venete. Anche
tra catastrofi abbiamo dovuto purtroppo imparare a distinguere…

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