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Con grande indignazione stigmatizziamo il comportamento aziendale di questi giorni grazie al quale UBI ha inequivocabilmente esplicitato alla clientela la reale considerazione che ha di quelle che, con stucchevole retorica, continua a chiamare “ risorse umane”.
Nello specifico UBI ha comunicato, a coloro che si sono visti aumentare considerevolmente alcune voci di costo per i servizi bancari, che tali “ineluttabili“ aumenti sono da addebitarsi al costo del personale che, secondo loro, è notevolmente cresciuto a causa degli aumenti contrattuali riconosciuti per effetto di quell’odioso istituto che si chiama Contratto nazionale… una roba da nostalgici dell’800!!
La Comunicazione inviata alla clientela, oltre ad essere assolutamente sleale e lesiva della dignità dei lavoratori, è oltretutto falsa e tendenziosa, almeno riguardo al merito della questione.
Ricordiamo a tutti che UBI Banca ha in questi ultimi mesi effettuato una serie di acquisizioni bancarie, che hanno portato il gruppo ad aumentare il numero dei suoi dipendenti ad oltre 21.400, dai precedenti 17.500 di fine 2016.
Operazioni che hanno permesso di acquisire ad 1 euro 3 goodbank (Banca Marche, Etruria e Carichieti) depurate dai crediti deteriorati (presi in carico dallo Stato) e di portarsi in dote 600 milioni di euro in crediti d’imposta.
Forse l’aumento della voce costo del personale avrà subito un aumento a causa del maggior numero di dipendenti? O forse la banca, oltre a tutti i benefici ottenuti, credeva di far lavorare gratis questi ultimi che pretendono, dopo essere stati salvati, di essere anche pagati?
Oltre al danno si aggiunge la beffa, perché in questa deplorevole vicenda la verità è che i dipendenti di UBI non hanno beneficiato di nessun aumento contrattuale, se escludiamo la mancetta di 85 euro lordi in 3 anni per effetto appunto dell’ultimo rinnovo contrattuale, pagata dai lavoratori stessi con la diminuzione della base di calcolo del TFR e della previdenza integrativa: in pratica una partita di giro, un anticipo del TFR obbligatorio!!
Quindi, riguardo il costo del lavoro, è difficile parlare di aumento, vista la continua chiusura di sportelli e la costante riduzione di organici, il blocco degli straordinari (che vengono fatti lo stesso, ma non vengono più pagati), le giornate di solidarietà; pur di risparmiare qualche euro, nonostante sia il problema meno grave, perfino sull’agenda e il panettone natalizio hanno tagliato… che tristezza!!
Sarebbe invece interessante commentare gli importi a 6 zeri che qualche mega dirigente percepisce ogni anno e che dovrebbero imporre un minimo di decenza in chi scrive addossando a noi lavoratori la responsabilità dell’aumento dei prezzi.
Non ci stiamo a diventare l’alibi dell’azienda che persiste nella continua spremitura della clientela.
Ci toccherà giustificarci di esistere e di avere un contratto collettivo di lavoro.
Di fronte a tanta protervia rispondiamo compatti a questo attacco infamante per riportare alla luce la verità dei fatti e recuperare la dignità dei colleghi e per ritrovare un clima lavorativo sereno, che ormai abbiamo perso da troppo tempo.
In assenza di una immediata rettifica di quanto comunicato alla clientela interessata, dovremo trovare il modo di informare i correntisti facendo loro notare alcune cose.
Un primo dato: per dare il via libera agli aiuti di stato per salvare Monte Paschi, le norme europee hanno fissato il limite di stipendio all’amministratore delegato a 10 volte lo stipendio medio dei dipendenti. In Ubi, come nella maggior parte delle grandi banche italiane, la retribuzione dell’amministratore delegato supera di oltre 50 volte lo stipendio medio dei bancari!
Aggiungiamo che il gruppo UBI gode di ottima salute, ha appena deliberato la distribuzione di un dividendo di 11 centesimi per azione, strapaga i suoi top manager e consulenti esterni e punta a raggiungere oltre 1 mld di euro di utili a fine 2020 e non avrebbe bisogno di continuare con questa politica di rincaro dei propri servizi, se non per una insaziabile sete di profitto.
Forse è per questi obiettivi che UBI ha aumentato le spese alla clientela senza avere il coraggio di ammetterlo e scaricando su di noi le colpe?
Il vero obiettivo per ogni azienda è produrre utili, ma se ciò deve comportare quanto sopra descritto dovremmo chiederci se non convenga ridurre le pretese di guadagno e smetterla di trattare i propri dipendenti come fastidiosi ingombri e l’utenza come un limone da spremere fino alla buccia.
Il servizio migliorerebbe, i clienti sarebbero più soddisfatti e i lavoratori sarebbero meno stressati con grande beneficio per tutti!!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Ubi Banca
Newsletter a cura della CUB-SALLCA
Numero 0 – Aprile 2018
Da tempo è presente nel nostro settore la necessità di una riflessione, una discussione e una comunicazione più regolare su temi non solo contingenti. Per questo abbiamo pensato di riprendere la pubblicazione di una storica testata come BANCAROTTA per mettere in circolazione notizie, idee, analisi che coinvolgono il mondo del lavoro, il settore delle banche e della finanza, l’economia, la società. Cercheremo di dire la nostra su come va il mondo, ci occuperemo delle dinamiche europee e italiane, parleremo di economia e di sindacato, di ciò che fa la CUB e di ciò che facciamo noi nel nostro settore.
Ad esempio, in questo numero zero, parliamo delle recenti elezioni, del nuovo accordo interconfederale e del Fondo per l’Occupazione del Credito. Poi di alcuni casi aziendali particolarmente eclatanti. Riteniamo utile anche riportare materiale dei sindacati firmatari, laddove evidenziano situazione di tensione vertenziale, con contenuti condivisibili.
Critiche e suggerimenti sono, come sempre, bene accetti. Buona lettura.
Il Sommario di questo numero:
4 marzo. Un commento al voto, a bocce ferme
L’accordo Confindustria e CGIL-CISL-UIL del 28 febbraio 2018
F.O.C.: un accordo poco conosciuto
Esternalizzazioni: se le conosci, le eviti
Unicredit: chi non accetta l’esodo prepari le valigie
Un impegno “strordinario”
Banche Popolari: la riforma fallita
Promotori: la carneficina
Credito Valtellinese: un piano industriale di corsa e in salita
BPM: castagnato Castagna
Bollettino periodico
a cura della Federazione di Torino della CUB-SALLCA
N.13 – Aprile 2018 – chiuso in redazione il 23-4-2018
A A A Cassieri cercasi
Nonostante l’enfasi sulla progressiva chiusura della casse e sull’inutilità della figura dell’addetto a questa mansione, i fatti hanno la testa dura.
In un contesto di continua, ormai drammatica, carenza di personale, gli addetti che sanno lavorare in cassa e quadrare i bancomat sono diventati merce rara, al punto da essere contesi tra una filiale e l’altra, in alcuni casi costretti a lavorare al mattino in una filiale e al pomeriggio in un’altra.
A parte il fastidio di una situazione grottesca e insostenibile, il primo problema che si pone è quello della sicurezza e della tutela dei valori. E’ indispensabile che, ogni volta che si prendono o ri-prendono in carico dei valori, vi sia la presa delle consegne con verifica e controllo di quanto si prende sotto la propria responsabilità.
Spesso questo determina il blocco dell’operatività e attese della clientela, ma a questo principio NON SI DEVE DEROGARE in alcun modo: non si comincia a servire o operare finchè tutti i valori non sono stati controllati!!
Teniamo conto che sta diventando sempre più frequente il caso di filiali che chiudono il servizio di cassa (per tutto il giorno o per il pomeriggio) per mancanza di personale. Se non si fa carico l’azienda di servire i clienti non si vede perchè dovremmo farlo noi a rischio della nostra sicurezza.
Oltretutto, stante la conclamata carenza di cassieri, appare come l’ennesima beffa la richiesta di disponibilità di risorse da inviare per la “migrazione” delle Casse di Risparmio di Rimini, Cesena e San Miniato.
Viene da ridere a leggere nel manuale “Missione e principali attività dell’assistente alla clientela” che lo stesso deve “contribuire alla vendita” e “collaborare alle azioni di sviluppo della base Clienti”.
Chi scrive queste facezie non vive sul Pianeta Credit Agricole, ma direttamente in un’altra dimensione spazio/temporale.
Sulla base di quanto descritto, non solo gli assistenti alla clientela ne hanno già abbastanza del loro lavoro, ma anche i gestori, che spesso devono sostituire gli assistenti alla clientela mandati in prestito da altre parti, vengono distolti dai loro compiti abituali.
La questione grave è che, in questi casi, a sostituire gli assistenti alla clientela sono chiamati lavoratori che non hanno la formazione e le conoscenze necessarie per operare in modo corretto e sicuro.
Le ferie, che dovrebbero servire per il benessere psico-fisico del lavoratore, stanno diventando fonte di stress: quando si torna al lavoro, troppo spesso, ci si ritrova con tutti gli arretrati di cui nessuno si è fatto carico!
Non possiamo che rinnovare l’appello a lavorare seguendo le normative e le regole. Tuteliamo la nostra sicurezza, segnaliamo e mettiamo in forma scritta ogni problema che dobbiamo affrontare.
Chi pensava che la legge 104, quella Legge-quadro per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, si chiamasse così
perché era la centoquattresima legge del 1992, si sbagliava.
Almeno per chi lavora in Unicredit.
Si chiama 104 perché per ogni mese di assenza per assistere i propri
cari malati o “handicappati” (come dice la legge, oggi diremmo disabili o
meglio diversamente abili) l’azienda Unicredit toglie 104 euro dal V.A.P.
In spregio al comma 9 dell’art. 48 del CCNL del credito che recita
testualmente:
“9. Nel caso di assenza dal servizio, il premio aziendale viene ridotto di tanti
dodicesimi quanti sono i mesi interi di assenza. Nel caso di assenza
retribuita, la riduzione di cui sopra non si applica se l’assenza non supera i
tre mesi; in caso di assenza superiore la riduzione non si applica per i primi
tre mesi, salvo che l’assenza duri un intero anno. La riduzione, comunque,
non si applica per i periodi di assenza per ferie.”
Chi ha usufruito dei 3 giorni mensili concessi dalla legge 104/92, per
tutti e 12 i mesi, si è visto togliere appunto 104 euro dall’azienda della Carta
dei principi (o dei prìncipi), dell’etica, della solidarietà.
Il comma 9 recita chiaramente che l’assenza deve essere di UN MESE
INTERO e non frazioni di mese, come sono i giorni a cui si ha diritto per
legge.
Che la riduzione non si applica per assenze RETRIBUITE, se SOTTO
AI TRE MESI, e, se non sbagliamo, i tre giorni previsti dalla legge 104/92
sono retribuiti, anche se dall’INPS.
Questa prevaricazione è intollerabile e invitiamo tutti i colleghi oggetto
di tale sopruso ad avvisarci per consentirci di espletare le azioni opportune.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
Sta esplodendo il rischio esternalizzazioni nel Gruppo Intesa Sanpaolo. La cessione degli NPL ad una nuova società, dove Intesa Sanpaolo avrà il 49%, materializza il rischio cessione per la Direzione Recupero Crediti. Si erano già svolte numerose assemblee in varie città per affrontare il problema atteso. In quella di Caserta è stato presentato un ordine del giorno dove si chiede che la cessione riguardi solo le attività e non i lavoratori, con l’unica possibilità di un distacco temporaneo dei lavoratori coinvolti. http://fisacgruppointesasanpaolo.it/wp-content/uploads/2018/03/Circolare-Assemblea-Recupero-Crediti-27-marzo-2018-Napoli-%E2%80%93-Caserta.pdf
Su tale posizione riteniamo si debba arrivare alla mobilitazione di tutti i lavoratori del Gruppo: nessuno potrà sentirsi al sicuro se si aprisse un varco simile. Peraltro va ricordato, sebbene la vicenda abbia connotazioni ben diverse, che è già stata effettuata la cessione di 50 lavoratori dell’Innovation Center. Una procedura alquanto pasticciata e ambigua per la nascita di una nuova società, interna al Gruppo.
Ritorniamo sul tema delle ferie “comandate ”per la chiusura di oltre 1.000 sportelli in occasione di vari ponti festivi. L’azienda ha rifiutato la ragionevole ipotesi di consentire ai lavoratori coinvolti di spostarsi in filiali adiacenti o di svolgere formazione da casa, nel caso non volessero assentarsi per ferie obbligate.
Abbiamo quindi scritto alla Commissione di Garanzia che regola lo sciopero nei servizi essenziali per chiedere se tutto questo è lecito e, in caso affermativo, se abbia ancora senso obbligare il settore a pratiche estenuanti per dichiarare un giorno di sciopero, mentre le banche possono chiudere gli sportelli secondo il loro arbitrio. Non ci aspettiamo nulla, ma la cosa andava sollevata e la solleveremo ancora in altre sedi.
Mentre in queste filiali i lavoratori fanno i ponti anche se non vogliono, nelle filiali flexi fare le ferie ed organizzare i turni è sempre più complicato, creando anche situazioni di pericolo, quando pochi colleghi/e (talvolta due o addirittura uno/a solo/a) restano fino a tarda ora in spazi desolatamente vuoti.
Abbiamo scritto ai vertici aziendali e anche al responsabile della salute e sicurezza (si veda allegato) chiedendo che, laddove non ci siano le condizioni (ormai dappertutto), si metta fine agli orari estesi.
Abbiamo approfittato dell’occasione per sollevare il problema delle sanzioni che il Ministero dell’Economia e delle Finanze intende irrogare ai lavoratori che hanno negoziato, per disattenzione, assegni liberi dai 1.000 euro in su. Abbiamo anche segnalato il rischio di errori che potrebbero derivare dalla nuova procedura di dematerializzazione degli assegni.
iPhone: ci sono giunte molte richieste di chiarimenti su questo strumento che l’azienda sta distribuendo ai colleghi delle filiali. Salvo ulteriori approfondimenti, possiamo dire che: 1) chi non lo vuole può rifiutare di ritirarlo, seguendo la procedura prevista dalla normativa aziendale. 2) Non c’è nessun obbligo di tenerlo acceso, ancora meno quando finisce l’orario di lavoro, visto che ai gestori non viene pagata (nè è prevista) la reperibilità. 3) Non esiste nessun obbligo di effettuare formazione (ovviamente in orario di lavoro) con uno strumento che non è certo l’ideale per la lettura.
CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo
DA CUB SALLCA INTESA SANPAOLO
a iscritti/e, lavoratrici e lavoratori
Avevamo lanciato un appello per la raccolta firme per poter presentare le nostre liste alle elezioni del Fondo Sanitario di Gruppo: ne servivano 1891, ne sono arrivate più di 2.500!!!
Dobbiamo ringraziare tutti quelli che hanno dato una mano, sia mandando la propria firma, sia prestandosi a raccoglierne nel proprio punto operativo.
Senza di voi non ce l’avremmo fatta, nonostante i giri nelle filiali e davanti alle sedi dei nostri rappresentanti sindacali (in aspettativa sindacale NON retribuita). La pioggia di firme arrivate con le vostre buste è stata determinante per raggiungere e superare il quorum richiesto.
Ora ci permettiamo di chiedere un attimo di attenzione per poter votare in modo informato e, se riterrete fondati i nostri argomenti, dare un ulteriore contributo per la campagna elettorale (si voterà a partire dal 21 maggio), divulgando e diffondendo il comunicato che prepareremo, cominciando a riflettere già da questo.
Intanto sapevate che il Fondo Sanitario di Gruppo, nato nel 2010, ha aumentato la contribuzione per i nuovi assunti dopo quella data e peggiorato le prestazioni per i pensionati?
Sapevate che ci sono 33.000.000 di Euro di riserve congelati, quelle dell’ex Cassa Intesa, a seguito di una vertenza legale per le modalità scorrette di chiusura della vecchia cassa?
In allegato trovate un breve resoconto che ricorda come è nato il Fondo Sanitario di Gruppo ed i principali problemi che ha evidenziato da subito e che sono rimasti irrisolti.
L’argomento non è certamente nuovo, ma vale la pena ribadire alcuni concetti e lo facciamo con l’aiuto di un eccellente lavoro (datato 2014, ma è come fosse scritto oggi) della Fabi di Reggio Emilia (vedi allegato).
Le segreterie nazionali dei sindacati firmatari hanno firmato accordi scandalosi, come le oramai tristemente famose assunzioni “miste”, oltretutto senza mai degnarsi di presentarsi in assemblea per ottenere il consenso dei lavoratori.
Hanno anche firmato accordi (nazionali e aziendali) che dovrebbero consentire segnalazioni per le pressioni commerciali esagerate, che non si sono solo rivelati inutili, ma anche dannosi, perchè, a fronte di esposti alle Asl (come giustamente suggerito dal documento della Fabi di Reggio Emilia), che noi non abbiamo esitato a fare, le banche hanno buon gioco a dimostrare la loro “buona volontà” nell’affrontare il problema, mostrando gli accordi firmati o qualche indagine di specialista ben retribuito.
Tuttavia questo documento resta utile e ne consigliamo una lettura attenta e completa (da consigliare anche ai vostri superiori, quando necessario!), anche se vogliamo anticiparvi due frasi chiave:
L’azienda può perciò legittimamente assegnare al lavoratore un budget, ma, nel contenuto della prestazione lavorativa – che il lavoratore è tenuto ad effettuare con la dovuta diligenza e conformandosi, alle direttive impartite dal datore di lavoro così come precedentemente sottolineato- NON E’ RICOMPRESO L’OBBLIGO DI REALIZZARLO.
Inoltre vi è un richiamo opportuno al rispetto delle normative ed a respingere (e documentare, ove possibile) sollecitazioni ad operare in violazione delle stesse per raggiungere gli obiettivi: indurre il lavoratore a non rispettare i principi di deontologia ed etica professionale pur di raggiungere gli obiettivi di budget è chiaramente un comportamento che viola la predetta norma (riferimento all’art 2087 del codice civile, NdR).
Vogliono convincerci che chi lavora in modo corretto è fuori posto.Invece dobbiamo ricordarci sempre che rispettare le leggi e le norme, spiegare bene i prodotti che vengono proposti ai clienti è il MODO NORMALE E CORRETTO DI OPERARE!
Al contrario, chi fa i risultati non spiegando tutto ai clienti, omettendo dettagli o ricorrendo a vari trucchi pur di “vendere” e magari viene portato come esempio da seguire da parte di qualche responsabile, LAVORA IN MODO SCORRETTO, DANNEGGIA TUTTI/E E VA ISOLATO.
Ricordiamo, se mai ce ne fosse bisogno, che raggiungere il budget, nei limiti del possibile, è nell’interesse di tutti, ma forzare per raggiungerlo espone a rischi di provvedimenti disciplinari!
Quindi, non facciamoci schiacciare dalle pressioni commerciali: scriveteci, parliamoci, costruiamo insieme la comunità dei lavoratori e delle lavoratrici bancari che vogliono difendere la dignità del proprio lavoro e non subire imposizioni e pretese illegittime di qualche responsabile, che vorrebbe dimostrarci che siamo noi dalla parte del torto!
Durante il XXI Congresso della Fabi, l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, Marco Morelli, ha dichiarato le seguenti cose:
- La banca deve tornare a fare utili.
- Se i lavoratori rispettano l’orario di lavoro, andando via dopo sette ore e mezza, i risultati non possono raggiungersi.
A voler pensar male, sulla base di quanto detto esplicitamente dall’AD, si potrebbe ricostruire l’implicito non detto, cioè la convinzione che la causa dei mali dell’azienda sia da individuare nello scarso coinvolgimento dei lavoratori. Ma noi vogliamo disporci nel migliore dei modi nell’analizzare le parole dell’AD e non prenderemo in considerazione la colpevolizzazione dei lavoratori che da esse emana, né il tentativo di mistificazione della realtà, confidando nel fatto che l’AD non possa ignorare quali siano le cause dell’attuale situazione in cui versa il Monte dei Paschi.
La richiesta di un allungamento dell’orario di lavoro (perché di questo si tratta) crediamo che abbia destato un certo stupore in tutti. Forse anche chi in banca non ci lavora, ma giudica i fatti della vita con il semplice buon senso, avrà percepito le affermazioni di Morelli come la classica nota stonata in una melodia che dice tutt’altro.
Ma come, si sarà chiesto l’uomo di buon senso, il settore del credito non è quello dove, a voler considerare solo gli ultimi dieci anni, vi sono stati processi di ristrutturazione che hanno riguardato tutte le banche, portando all’uscita di tantissimi lavoratori dal ciclo produttivo? Non è uno dei settori dove gli “esuberi” hanno assunto proporzioni bibliche?
Niente, più della parola esubero, descrive meglio l’asse portante su cui si sono basate le politiche aziendali. Il lavoro umano è divenuto, nella misura di migliaia e migliaia di prepensionamenti, sempre più superfluo.
Perché? Come ci ha spiegato bene l’ABI in occasione anche degli ultimi rinnovi contrattuali del 2012 e del 2015, le innovazioni tecnologiche, in particolare quelle di tipo informatico, conducono allo spostamento di una serie di servizi prima svolti in filiale verso i canali remoti.
Che il lavoro umano sia per le banche un fattore in esubero, per le esigenze di redditività, è attestato anche dall’attivazione in molte di esse, di giornate di sospensione dell’attività lavorativa. Noi al Monte siamo esperti della materia, poiché dal 2012 ci asteniamo dal lavorare per 6 giorni (o 5 o, da quest’anno, 4, per chi ha un RAL inferiore a determinate soglie) con corrispondente riduzione del salario.
Dallo stesso anno, il 2012, qui al Monte, sappiamo anche che esiste un accordo tra Banca e sindacati firmatari, per il contenimento degli straordinari.
Ma allora perché Morelli ha deciso di andare controcorrente?
In realtà le prescrizioni dell’AD sono solo apparentemente in contraddizione con i processi riguardanti il settore, ed anzi rappresentano emblematicamente la posizione che caratterizza non solo le banche, ma l’intero sistema delle imprese.
L’espulsione di forza lavoro dalla produzione di beni e servizi che si è accompagnata alla rivoluzione digitale, dopo aver permesso alle imprese di incamerare i benefici conseguenti la maggiore produttività, le pone adesso in condizione, grazie ad un quadro politico e sindacale favorevole, di poter aumentare i profitti, agendo sull’altro fattore, l’estensione del tempo lavorativo.
Lavorare in pochi, lavorare sempre di più. Questo potrebbe essere lo slogan che sintetizza la linea della parte padronale. Gli strumenti di “persuasione” non mancano, e si autoalimentano proprio grazie ad una tendenza che crea bacini di forza lavoro inutilizzata sempre più ampi, da cui attingere per sostituire i refrattari non disponibili a subordinare qualsiasi bisogno proveniente dai tempi di vita, alle primarie esigenze di profitto. In tal senso il settore del commercio, con le aperture 365 giorni all’anno e 24 ore su 24, sintetizza bene questa irrefrenabile pulsione.
I sindacati collaborativi protestano. Ma intanto il loro agire è, come sempre, fido alleato dei disegni aziendali.
Di fronte ad accordi come l’ultimo contratto di secondo livello del Monte dei Paschi, quello firmato la vigilia di Natale del 2015, che stabilisce che le prestazioni di lavoro straordinario, “potranno essere richieste dalle Aziende firmatarie esclusivamente nei casi di particolare necessità ed urgenza e non verranno autorizzate per periodi inferiori ad 1 ora e per quelle di durata superiore a detto limite, frazioni inferiori a 30 minuti.”, le chiacchiere stanno a zero.
Perché un accordo del genere, che, ricordiamolo, trova collocazione nel quadro di misure idonee al contenimento dei costi (ossia per ottemperare alle esigenze aziendali), ha semplicemente favorito una pratica di lavoro straordinario (che evidentemente continua ad essere richiesto, sempre per ottemperare ad esigenze aziendali…), con modalità che configurano vero e proprio lavoro svolto in “nero”, in quanto la registrazione delle prestazioni aggiuntive avviene dopo il cumulo di frazioni che permettono di raggiungere il minimo autorizzabile, con la inaccettabile sussistenza di lavoro effettuato ma temporaneamente non registrato e le ovvie conseguenze in termini assicurativi, infortunistici, ecc…
Morelli in definitiva, non fa altro che il suo lavoro: adoperarsi affinché dalla forza lavoro sia estratto il maggior plusvalore possibile. Vigila sul tasso di sfruttamento.
Si chiama lotta di classe ed è sempre lì. Non può cancellarla nessuna ubriacatura ideologica o postmodernismo che sia, perché rappresenta la struttura dei rapporti sociali che determinano la nostra esistenza.
L’AD svolge con zelo il suo ruolo di agente degli interessi del capitale. Noi come rispondiamo? Continuando a delegare in bianco, sindacati ormai collusi, che dovrebbero contrapporsi al rullo compressore che distrugge qualsiasi ipotesi di futuro degno di essere vissuto?
Ritirare questa delega in bianco è il primo atto per controbattere l’offensiva poderosa dei banchieri, che si abbatterà sui lavoratori per il prossimo rinnovo del contratto collettivo, e di cui, le dichiarazioni di Morelli, rappresentano le avvelenate avvisaglie.
Noi della CUB-Sallca siamo pronti ad organizzare la resistenza e la lotta dei lavoratori, contro attacchi che non hanno neanche più il pudore, delle ipocrite indorature di pillola.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Monte Paschi
Sta creando notevole sconcerto e rabbia la comunicazione aziendale di voler chiudere un certo numero di filiali in occasione di vari “ponti”, ponendo i lavoratori in ferie comandate. Tutto questo è surreale in un momento dove le filiali medio grandi, con organici già ridotti, stanno per subire l’emorragia degli esodi e hanno difficoltà crescenti a organizzare i turni ed a pianificare le ferie.
C’è la sensazione sgradevole di un’azienda che può disporre del tempo dei lavoratori a suo piacimento, mettendo in ferie contro la volontà dei lavoratori od ostacolando legittime aspettative di fruirne quando serve, facendo lavorare ad orari improbabili ed in condizioni di crescente rischio, visto che spesso, a tarda ora, restano a lavorare due e talvolta anche solo un dipendente.
I sindacati firmatutto, non solo hanno preso atto della decisione aziendale, ma si sono anche sostituiti alla controparte nel divulgare tempestivamente l’elenco delle filiali che chiuderanno in determinate giornate. Rispetto alla ragionevole richiesta che i lavoratori che non vogliono essere messi in ferie d’ufficio possano essere adibiti al lavoro in filiali adiacenti o ad attività formative da casa, si resta in attesa di risposta aziendale. Riteniamo che non si debba restare a guardare in caso di risposta negativa e riteniamo che debba essere posta anche la questione dell’insostenibilità degli orari estesi a fronte di organici sempre più ridotti.
D’altronde, è evidente che la contrattazione è sempre più una finzione: in allegato (e a seguire) troverete il contributo di un nostro iscritto che denuncia, non solo la cattiva qualità degli accordi, ma anche la loro incomprensibilità per i comuni mortali.
Il ruolo dei sindacati firmatari (dire trattanti sarebbe un complimento immeritato) è ormai ridotto alla fornitura di pratiche amministrative e servizi e ricreativi, con tentativi di procacciarsi tessere con metodi fantasiosi e anche truffaldini.
Ci sono già giunte due segnalazioni di tentativi di raggirare i colleghi che, per andare in esodo, devono andare a firmare in sede Abi per l’uscita, facendo loro credere che è necessario firmare la delega al sindacato per poter procedere.
La presenza dei sindacalisti firmatari in quella sede, è meramente burocratica, un atto d’ufficio che non richiede nessuna ricompensa e soprattutto non richiede di iscriversi a chi non ha intenzione di farlo.
Dovrebbe essere solo un ruolo di garanzia, un termine che fa ridere visto che non sono stati neppure in grado di ottenere che i tempi di uscita per l’esodo fossero correlati alle finestre pensionistiche degli interessati. L’accordo firmato per gli esodi lasciava discrezionalità all’azienda sui tempi di uscita, ci sono stati scavalcamenti e l’esodo sta procedendo in modo disordinato, con i lavoratori lasciati in stato di incertezza.
E’ necessario tornare a fare contrattazione vera, ridefinire regole e tutele per i lavoratori, mettere un freno all’arbitrio aziendale.
PVR (Premio Variabile di Risultato) 2017….
Non preoccuparti delle difficoltà che incontri in matematica, ti posso assicurare che le mie sono ancora più grosse.
(Albert Einstein)
Mi considero una persona di media intelligenza, di sufficiente esperienza bancaria e che non ama tirarsi indietro di fronte alle sfide. Viste queste premesse mi decido, faccio un bel respiro e deciso apro l’allegato dell’accordo PVR 2017 per cominciare la lettura. Immediata è la sensazione di trovarsi immersi in un capolavoro russo, a causa della straniante sensazione di ‘guardare’ e non leggere certe formule, al pari dei nomi dati ai loro personaggi da Tolstoj e Dostoevskij.
Riprovo, cerco di capire, tengo a portata di mano un dizionario ma nulla, la stanchezza ha il sopravvento, il cervello inizia a guardare altrove e capisco solo che esiste una base di 600 Euro lordi, e per la parte in aggiunta, se esiste nella vita reale, devo solo incrociare le dita e sperare.
Questa sensazione parte da lontano con il CCNL di categoria, ma con il LECOIP si è aggravata, ho provato a leggere l’accordo di prodotto con CREDIT SUISSE di centinaia di pagine e ho provato a interpretarne la costruzione e tutta la fiscalità, ma mi sono fermato alla terza pagina con 2 giorni successivi di sola Gazzetta dello Sport per disintossicarmi.
Dopo è arrivato l’accordo relativo ai percorsi professionali, con categorie, rating, portafogli, assegnazioni, periodi ecc. Tali e complesse erano le condizioni e i paletti lungo la strada, e così incomprensibili gli eventuali benefici o rischi, che i gestori hanno viaggiato per mesi con l’accordo in mano e lo sguardo perso nel vuoto, ringhiando ai colleghi e temendo attacchi all’arma bianca di direttori che volessero togliergli il portafoglio personale…e non dei clienti.
Potrei fare altri esempi, ma il definitivo tracollo mentale mi è arrivato con il PVR 2017! Numeri a caso, nomi e sigle incomprensibili, chi, cosa, come, cosa devo fare, quanto mi tocca?
Molti anni fa ho partecipato a un corso intersindacale sulla contrattazione, e in 3 giorni tutto era incentrato su: ‘SI FIRMA SOLO QUELLO CHE SI CAPISCE’, ‘TUTTO, OGNI VIRGOLA, OGNI TERMINE E’ IMPORTANTE’ e ‘QUALSIASI ACCORDO DEVE POTER ESSERE VERIFICABILE IN OGNI SUO ASPETTO’!
GLI ULTIMI ACCORDI SONO INVECE INCOMPRENSIBILI, INDECIFRABILI E SOGGETTI A MILLE INTERPRETAZIONI DIVERSE.
E’ stato firmato un LECOIP che ha dato circa 3.000 Euro medi netti (parliamo di aree professionali e QD1, per inquadramenti e ruoli direttivi la leva era ben superiore), in 4 anni, ma nessuno ha mai saputo spiegarmi come funzionasse il sottostante. Tralascio il misero importo che, è bene ricordarlo, era di 1800 Euro IN QUATTRO ANNI, come ‘ANTICIPO’ di premi, e solo i balzi in su e giù del titolo hanno permesso di aumentare di 1200 euro circa, mentre qualcuno si spartiva miliardi, e altre banche con dividendi inferiori distribuivano premi più alti e subito.
Oggi si arriva al PVR che, dopo aver mangiato tutti i vecchi premi legati alla redditività, si esibisce in FORMULE MATEMATICHE FANTASIOSE E TERMINI DA STAR WARS, IL TUTTO COLLEGATO…. AGLI OBIETTIVI, SI’, AGLI OBIETTIVI CHE SI PROPONE E CI IMPONE L’AZIENDA, FREGANDOSENE DEGLI UTILI DIVISI.
CHIEDO A TUTTI VOI COLLEGHI…MA SONO SOLO IO CHE TROVO DISGUSTOSO QUESTO MODO DI FARE SINDACATO CON IL PALLINO DEL GIOCO SEMPRE IN MANO ALL’AZIENDA? SONO SOLO IO A TROVARE ASSURDO, IN UN’AZIENDA CHE DISTRIBUISCE DA QUALCHE ANNO MILIARDI DI DIVIDENDI, AVERE DEI SINDACATI CHE NON OTTENGONO ALTRO CHE BRICIOLE O ANCHE MENO? SONO SOLO IO CHE VORREI CHIAREZZA. VERIFICABILITA’ E TRASPARENZA TOTALE NEGLI ACCORDI?
Non si vedono più volantini di scontro, la testa è sempre bassa, hanno costituito mille comitati (welfare, Sicurezza, Sviluppo sostenibile, Pari opportunità ecc.) che coprono tutti i nostri bisogni di tutela ma allora, COME E’ POSSIBILE CHE TUTTI ABBIANO LA SENSAZIONE CHE SI STIA SEMPRE PEGGIO?
Il MIO sindacato non ha permessi, non firma accordi che non capisce e che non possa spiegare, questo mi basta per dargli fiducia, e allora chiedo ai colleghi: se non volete cambiare sindacato, perché il rappresentante è una persona seria e fidata (motivo valido), almeno pretendete nelle assemblee (quando mai le faranno) accordi comprensibili e chiari!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Il 6 febbraio scorso ISP ha presentato al mercato e ai sindacati il Piano d’Impresa 2018-2021, insieme ai risultati 2017 e all’annuncio di un nuovo Lecoip 2.0 per incentivare il personale. Come era ampiamente preannunciato, il Piano si propone obiettivi estremamente ambiziosi, aggressivi e sfidanti, con ampio utilizzo di toni sopra le righe per autocompiacimento, esaltazione, orgoglio d’appartenenza. Sfrondato dall’eccesso di testosterone e ricondotto ad una corretta dimensione di pianificazione delle condotte future, da parte di un management ansioso di strafare, il piano rappresenta un documento utile per leggere cosa ci aspetta nei prossimi 4 anni.
Sebbene non ci sia nulla di veramente nuovo sotto il sole, se non la fibrillazione manageriale che ricorda più una maionese impazzita che la burocratica pianificazione di un banale progetto di estrazione di utili, bisogna distinguere quello che rappresenta la continuità da quello che tende ad introdurre una discontinuità.
E’ nel segno della continuità lo spostamento progressivo del baricentro reddituale dal margine di interesse alle commissioni (in particolare su collocamenti e risparmio gestito). Già nell’esercizio 2017 le commissioni valevano 7.7 miliardi di euro contro 7.1 miliardi degli interessi netti. Ora si vuole addirittura portarle a 10 miliardi entro il 2021, contro 8.3 miliardi di interessi netti. Il propellente di questa impennata dovrebbe essere la crescita esponenziale delle masse gestite (da 338 miliardi a 444 miliardi nell’arco del piano). Un traguardo impegnativo, sia per la Banca dei Territori (+48mld.), sia per il Private Banking (+55 mld.).
Lo stesso si può dire dell’ossessione per il risparmio sui costi, in particolare quello del personale. Il rapporto cost/income che adesso è al 50,9% (55% se includiamo le venete)dovrebbe scendere al 45,4% alla fine del piano. Un risparmio di 1,5 miliardi nel quadriennio, che implica un’impennata della produttività pro-capite di dimensioni impressionanti. Facile da realizzare, con 9.000 persone già uscite o sul punto di farlo, con 1.285 milioni di euro di contributo stataleper l’assorbimento delle venete, un accordo sindacale pronto e via e soprattutto una fuga volontaria precipitosa e massiva per uscire dal “posto migliore dove lavorare”.Molto difficile da gestire, però, se già ora i responsabili sono preoccupati per come conciliare le ferie dei lavoratori, dopo i vuoti che si andranno a creare nella rete, con l’imperativo di garantire risultati e collocamenti…
Continuità anche nella distribuzione dei dividendi, ma con salto di livello, per accontentare azionisti famelici che si aspettano ritorni sul capitale a due cifre, come negli inebriantianni prima di Lehman: non a caso si promette di riportare il R.O.E dal misero 7.9% del 2017 al più presentabile 12,4%, entro il 2021. Quindi anche gli utili attesi cumulati e la conseguente massa dei dividendi da distribuire devono “cambiare passo”: gli utili devono salire dai 3.8 miliardi del 2017 ai 6 miliardi del 2021. Nell’arco di piano gli utili supereranno, secondo i Messina boys, i 20 miliardi di euro, scontando un tasso di crescita del 12,1% l’anno, mentre i dividendi arriveranno complessivamente oltre i 15 miliardi (sono stati“solo” 10 nel piano precedente…).
Vorremmo mettere un attimo a confronto i tassi di crescita di utili e dividendi, da una parte, e retribuzioni dei lavoratori, dall’altra. Tralasciando l’importo medio degli aumenti contrattuali, risibili, concentriamoci sul sistema incentivante che va ai lavoratori. Una distribuzione che implica un costo totale tra i 70 e gli 80 milioni di euro l’anno (con meccanismi oscuri e incomprensibili, sia prima che dopo l’erogazione eventuale), a fronte di dividendi con ordini di grandezza almeno 50 volte superiori! Poi c’è il Lecoip, per legare il premio all’andamento azionario, ma per la stragrande maggioranza dei lavoratori è facile constatare che 4 anni di VAP rendevano di più di questa bella invenzione!
Passando ad affrontare le discontinuità del piano, emergono le novità vere, non proprio gradevoli.
Si prospetta un salto di qualità nell’assicurativo con la spinta sulle polizze danni, i cui premi devono salire da 0,4 miliardi del 2017 ai 2,5 miliardi del 2021: una moltiplicazione di oltre 6 volte! L’obiettivo dichiarato è scalare le classifiche delle assicurazioni danni in Italia, diventando il primo operatore per polizze retaildiverse dal comparto veicoli. Qui l’ambizione è costruire una alternativa privata e commerciale al welfare pubblico in via di smantellamento: non a caso si punta su salute, benessere e sicurezza, dopo aver già ampiamente sfondato sulla previdenza. Per il segmento imprese, ci sarà il welfare aziendale “chiavi in mano”.
Prosegue, con accelerazione, lo smantellamento della rete fisica di distribuzione: 1.100 Filiali chiuderanno, lasciando totalmente sguarnite le città minori (dove resteranno solo le tabaccherie di Banca 5 e i bancomat), mentre le residue 2.920 filiali saranno prevalentemente concentrate nelle città medio-grandi, dove è concentrato il 75% della popolazione italiana. Grandi tagli anche ai costi immobiliari (-19%) entro il 2021 e creazione di una nuova sede a Milano (Rho Fiera) per concentrare le direzioni centrali a 40 minuti di treno dal Grattacielo di Torino.
Novità gravi anche per il recupero crediti, dove si paventa la creazione di una nuova società con la partnership di un operatore industriale (si teme a maggioranza non ISP, per cedere 10 miliardi di euro di NPL e 700 lavoratori, con trattativa in fase avanzata con l’operatore svedese IntrumIustitia, ma di questo il Piano non parla…). Inoltre si accenna al progetto “Pulse” per creare un’unità interna dedicata alla gestione dei crediti retail alla prima fase di deterioramento, centralizzando le attività ora svolte in filiale, con 1.000 persone in organico entro il 2021.
Naturalmente si insiste per l’estensione del nuovo contratto di lavoro “misto”, con un contratto part-time da dipendente bancario e l’altro come consulente finanziario, tutto nella stessa persona. Un modello precursore che rischiamo di trovarci sul tavolo al prossimo CCNL per estensione all’intero settore. Intanto i 9.000 esodati e pensionati verrebbero sostituiti da sole 1.650 risorse, mentre altri 5.000 lavoratori seguiranno un percorso di riconversione verso ruoli “ad elevato valore aggiunto”.
Ovviamente non si fa cenno ai rischi di esecuzione del Piano: una nuova fase di instabilità finanziaria, uno storno dei mercati, i nuovi vincoli della MIFID II, la fine delle politiche monetarie ultra-espansive, la diffidenza del mercato italiano verso strumenti di tutela come le polizze private, lo scarso interesse perla consulenza evoluta, la difficoltà di espandere il credito sano, le politiche austeritarie tuttora operanti, la carenza di un mercato liquido degli NPL.
Quello che invece è certo, almeno per noi, ma sottaciuto dagli stessi “rappresentanti dei lavoratori” che hanno la titolarità di trattare, anche senza mandato, è l’enorme grado di tensione che questo piano provocherà nel clima aziendale, la sofferenza psico-fisica cui saranno sottoposti i lavoratori che dovranno realizzarlo in mezzo a difficoltà operative, procedurali, commerciali. Avremo un ulteriore aumento di pressioni commerciali, cui non hanno posto argine né i protocolli etici e sostenibili, né le caselle “io segnalo”, né l’accordo ABI di più recente conclusione. Vedremo ancora salire la richiesta di obiettivi impossibili, l’applicazione di metodi di controllo invasivi, l’invito a forzare le regole, lo straordinario non pagato, la pretesa di ottenere i risultati anche se nessun contratto lo prevede o lo impone.
Dobbiamo ricostruire un tessuto di solidarietà tra lavoratori che ci consenta di resistere e difenderci rispetto ad un’azienda che ha perso il senso della realtà ed elabora piani funambolici. Dobbiamo mantenere la nostra coerenza professionale, applicare le normative e fare un lavoro di qualità, rispettando le esigenze reali dei clienti che abbiamo davanti. Questo significa difendere il proprio futuro, nel lungo periodo. La sostenibilità del modello produttivo non è compatibile con chi vuole strafare…
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo