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I 1064 esternalizzati da Banca MPS SPA sono al quinto anno di vita lavorativa, e non, nella Fruendo SRL: il mai esistito “ramo d’azienda”, concepito prima ed inventato di sana pianta nel corso del 2013 dai tre ”incaricati” di Banca MPS SPA, Dalla Riva, Profumo e Viola,spalleggiati dai politici di Banca MPS SPA e dai sindacati di Banca MPS SPA, quelli che firmarono gli accordi sull’esternalizzazione (siglando la preesistenza ed autonomia funzionale di un ramo d’azienda mai esistito, appunto) voluta da Banca MPS SPA; ma anche, indirettamente, quelli che non li firmarono, ripromettendosi, a loro dire, di agire (quando?) nelle sedi opportunenei confronti dei loro omologhi firmatari.
La risposta degli esternalizzati ci fu (contammo circa 700 cause individuali verso Banca MPS SPA), e c’è stata quando 250 esternalizzati da Banca MPS SPA hanno presentato un esposto/querela alla Procura della Repubblica di Siena sull’operato di quei sindacati, e sindacalisti, che firmarono quegli accordi con Banca MPS SPA; e c’è, con le 79 cause per l’esecuzione della sentenza d’appello che ha condannato Banca MPS SPA per le quali si attende sentenza il prossimo 2 marzo.
Banca MPS SPA, intanto, continua a nascondersi dietro la sua invenzione ed a prendere tempo.
Riteniamo che la maggior parte degli esternalizzati sia grata alla Banca MPS che, in passato, li ha assunti, alla Banca che ha consentito loro l’acquisto della prima casa, la tutela della salute propria e dei familiari, i contributi allo studio per i figli. Forse nessuno di loro si sarebbe aspettato un calcio nel fondoschiena da quella stessa Banca MPS che li aveva assunti. Banca MPS SPA, che si èlasciata depredare fino all’orlo del fallimento, per poi permettere solo l’esternalizzazione di 1064 persone, senza nessun vantaggio economico o strategico. Anzi.
Chiediamo a Banca MPS SPA se quell’esternalizzazione è stata la risposta, o la soluzione, ai suoi problemi. Chiediamo a Banca MPS SPA se gli stipendi ai suoi manager (a quelli, in particolare, che si possono vantare solo di aver cacciato fuori dalla Banca una selezione di 1064 persone) sono stati giustificati e giustificabili. Chiediamo inoltre a Banca MPS SPA se in assenza di un “vero” codice etico dispone almeno di un codice di decenza.
In un colpo solo i lavoratori hanno perso fiducia nei sindacati firmatari e nell’azienda, ma dal disincanto si deve passare ad una maggiore consapevolezza.
A nostro avviso questa vicenda dimostra che nessuno può sentirsi al sicuro: quello che è successo agli esternalizzati di Fruendo può accadere a tutti. Per ora la scelta delle azioni legali è stata vincente, ma non si può delegare sempre agli avvocati la soluzione dei nostri problemi.
Se riteniamo inadeguati i sindacati aziendali, la rappresentanza dobbiamo crearcela da noi. Invitiamo i lavoratori, che hanno intrapreso azioni legali e non hanno subito passivamente gli accordi sindacali, non ad aderire al nostro sindacato, ma a farsi essi stessi sindacato, auto organizzandosi per la tutela dei propri diritti.
Noi mettiamo a disposizione la nostra sigla di sindacato di base, la nostra esperienza e volontà di combattere. Lavoriamo insieme per una rappresentanza sindacale che difenda i lavoratori senza compromessi al ribasso e collusioni con la controparte.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Fruendo
Un altro pezzo di reddito fisso è stato sacrificato sull’altare della concertazione, il 27/01/18, con l’accordo tra azienda e sindacati firmatari per quello che una volta veniva chiamato, appunto, ‘’premio fedeltà’’.
Piccola nota per i colleghi più giovani: nelle diverse banche reti che, unite, hanno dato vita a UBI Banca spa, veniva riconosciuto ai colleghi un importo al raggiungimento di una certa soglia di anzianità (25/30/35 anni), quale riconoscimento appunto del loro lavoro, dell’impegno e dello spirito di appartenenza dimostrati nel corso degli anni.
Tale previsione, anche molto diversa in base alla banca di provenienza (dai 2500 ai 6000 euro), era stata cancellata dopo la disdetta dei vari CIA nel 2012, tuttavia tutte le vecchie banche hanno continuato ad elargire tali somme a titolo di liberalità aziendali, una sorta di ‘’regalo del padrone’’.
Con la firma dell’accordo si mette fine a questo ‘’insostenibile’’ onere per UBI, che, sottolineamo, gode di ottima salute dal punto di vista economico, distribuisce dividendi agli azionisti, strapaga i propri dirigenti e punta a raggiungere oltre 1 miliardo di euro di utili alla fine del 2020, ma non riesce più a gratificare e a riconoscere ai propri dipendenti un meritato premio, nemmeno dopo una vita di‘’ fedele’’ e onorato lavoro.
Per ora, chi matura il ‘’diritto’’ alla corresponsione entro il 2018 si vedrà riconosciuto il 100% dell’importo previsto, in base agli accordi vigenti nell’azienda di provenienza e dovrà accettare di percepire la somma per il 50% in contanti e il 50% sotto forma di welfare.
Ancora una volta, quindi, trattamenti diversi per colleghi che da oltre 10 anni lavorano per la stessa banca!!
Dall’anno prossimo la percentuale dell’importo diminuisce costantemente, fino ad arrivare nel 2026 ad un misero 30% dell’attuale e solo nella forma welfare, poi il nulla…o, meglio, per i colleghi che maturerebbero il diritto dopo il 2026 solo una mancetta di 200 euro in conto Welfare.
Come al solito, per giustificare la presunta bontà dell’accordo, i sindacati firmatari nel loro volantino unitario (e non si capisce perché debbano essere 5 sindacati con 5 sigle diverse se poi sono sempre tutti d’accordo nel firmare le stesse cose!!! Unitevi e fate il sindacato unico!!!) ci tengono a farci sapere che l’azienda voleva azzerare tali premi ma, grazie alla caparbietà e la tenacia che contraddistingue da sempre il loro operato in difesa dei diritti dei lavoratori, sono riusciti a strappare con le unghie ed il coltello tra i denti l’accordo migliore possibile!!
Ma del resto il mondo là fuori è cambiato e noi bancari dobbiamo essere pronti ad affrontare le sfide del mercato con nuovi strumenti, dobbiamo accettare il fatto che non possono più esserci le vecchie tutele e garanzie del passato a salvaguardare il posto di lavoro ed il reddito.
Un lavoratore, presente in una delle ultime riunioni con la direzione per la presentazione e l’esaltazione del nuovo modello distributivo che la banca ha calato dall’alto sulla testa di noi tutti e che sta creando non pochi problemi e malumori, sia tra i colleghi che tra la clientela, nonché forti perplessità rispetto alla sua reale efficacia, ha riferito che, secondo l’azienda, d’ora in avanti dovremo dedicarci sempre di più al lavoro commerciale ed alla cosiddetta consulenza.
In realtà, molto più prosaicamente, il tutto si traduce nel piazzare i soliti tre prodotti a tutti indistintamente, senza riguardo per le esigenze reali del cliente. Hanno sottolineato che noi come UBI abbiamo anche la responsabilità di guidare il mercato e in quanto banca prevalente sul territorio dobbiamo indurre la gente a indebitarsi sempre di più, indipendentemente dal fatto che lo vogliano o meno (perché se non lo facciamo noi lo fanno gli altri..).
Si è cercato di convincere i colleghi più scettici facendo leva sull’importanza del nostro operato a beneficio del bene comune, dobbiamo essere consapevoli ed orgogliosi di agire per uno scopo superiore, oltre che per il vantaggio e l’utile della propria azienda, per la comunità tutta, per il rilancio dei consumi, per aumentare il PIL nazionale, insomma abbiamo una mission da compiere. Naturalmente si è sorvolato sui danni che queste politiche aggressive hanno causato al sistema finanziario, fino alle crisi bancarie intervenute degli ultimi 10 anni che, nei casi più gravi, hanno trascinato nel baratro migliaia di risparmiatori, famiglie, economie e destabilizzato intere aree del pianeta.
Ma si sa la memoria e’ corta e allora basta con la vecchia figura del bancario stanco e annoiato dietro a quintali di carta e pratiche amministrative che non portano nessun valore aggiunto, dobbiamo metterci in gioco, quindi valorizzare la competitività, lo spirito commerciale, unica strada da percorrere per mantenere o recuperare alti livelli di redditività, spingiamo i colleghi a mettersi in competizione l’uno con l’altro, certo nel rispetto della MIFID, premiamo economicamente coloro che vincono la battaglia del budget, basta con il salario uguale per tutti, avanti con l’idea che il compenso deve essere rapportato al risultato ottenuto dal singolo lavoratore e non sulla base di una contrattazione collettiva che unisce tutti in uno spirito di solidarietà e appartenenza.
In soldoni, viva il salario variabile e incerto e abbasso il salario fisso, qualche briciola a chi vende e gli altri tirino la cinghia!!
Purtroppo anche la cancellazione del premio fedeltà va dritta in questa direzione…con il beneplacito dei nostri rappresentanti sindacali!!
Scusate se i nostri volantini sono sempre molto prolissi, ma del resto gli spazi di comunicazione sono sempre minori, le assemblee non si tengono quasi più e l’unico modo per far sentire la nostra voce rimane quello di scrivere, cercando di svegliare la categoria dal torpore anestetizzante in cui sindacati firma tutto e banche a braccetto vorrebbero tenerci per sempre.
Noi pensiamo che sia giusto e possibile resistere e contrastare certe logiche che sembrano inarrestabili ed un modello di banca che sta deteriorando sempre di più il clima lavorativo.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Ubi Banca
Lo “stabilimento” di Via Molfetta di UBIS, a Roma, è collocato in un’area lontana da Dio e dal mondo e soprattutto da mezzi pubblici. Davanti ad un bellissimo parco ed in mezzo a ad un complesso urbanistico popolare, per lo più fatiscente, frequentato, durante la sera, da drogati, malviventi, prostituzione di ogni tipo.
L’ingresso principale, su Via Molfetta appunto, è posto immediatamente dopo una curva, solo il Padreterno sa come, fino ad oggi, non sia mai accaduto un incidente, con un solo marciapiede, sulla parte opposta.
L’ingresso secondario dà su una stradina, Via Manduria, scarsamente illuminata e teatro, quanto meno, della succitata prostituzione o altro, visto il materiale specifico che ogni giorno si trova sulla strada.
Il parcheggio, dato appunto il complesso popolare, è scarso, le strade adiacenti, piccole ed anguste, a mala pena riescono a contenere le automobili dei residenti.
Furti e vandalismi sono all’ordine del giorno, così come retate con elicotteri e dozzine di pattuglie delle forze dell’ordine. Qualche negozio aperto nella zona, forse 5, compresa una farmacia, per il resto serrande abbassate e spazzatura, spazzatura, spazzatura, dalle camere da letto alle cucine, dalle decine di ruote (di motocicli o automobili) alle (sempre) decine di cassafortine per alberghi, calcinacci, e tutto il repertorio possibile ed inimmaginabile.
Sì, sì avete letto bene.
In questo contesto così armonioso e variegato l’unica nota positiva è il vasto, vastissimo parcheggio interno, in superficie e in garage (sembra che ci sia un ulteriore garage ad un altro livello, che funzionava prima che arrivasse UBIS a mettere le strutture “a norma”).
Parcheggio ovviamente destinato ai dipendenti di UBIS. Ma a Via Molfetta non ci stanno solo dipendenti, ma anche decine e decine di consulenti esterni, a cui ovviamente è vietato l’accesso al parcheggio.
Il vecchio responsabile – purtroppo per noi, per fortuna per lui, non più tra noi – utilizzando la logica del buon padre di famiglia che cosa aveva disposto? I consulenti che venivano con i motocicli parcheggiavano dentro, anche perché fuori non li avrebbero ritrovati, e a quelli con le automobili veniva consentito l’accesso dopo l’orario di uscita dei dipendenti, anche e soprattutto in considerazione del fatto che i consulenti si trattengono sempre fino a tardi, qualche volta tardissimo. Fra loro ci sono ovviamente molte donne.
Adesso, all’improvviso, qualche genio si è inventato che NO, I CONSULENTI NON ENTRANO PIU’, per non si sa quale motivo che non sia: PERCHE’ LE POLICY … L’ASSICURAZIONE … LA SICUREZZA … tutte fesserie di questa portata.
In tutto questo la quintuplice sindacale, che ovviamente rappresenta gli interessi dei … uhmmm lavoratori? Tutti? No, probabilmente solo quelli della logistica – tacciono, sono sensibili al tema ed alla problematica, partecipano al disagio, ma tacciono, stanno fermi, come il famoso semaforo/Prodi di guzzantiana memoria.
Ancora più allucinante, se possibile, è stata la reazione di qualche “collega” dipendente, che non approva la battaglia per il mantenimento dello status quo, ritenendo che questo possa essere un incentivo a pretendere, da parte di UBIS, una maggior presenza in azienda.
In effetti il sindacato non fa altro che rappresentare le istanze dei propri iscritti e lavoratori. E noi, allora, facendoci interpreti delle istanze di 111 lavoratori, chiediamo all’Azienda UBIS di Via Livio Cambi 1 – 20151 MILANO, ai responsabili di Sicurezza e Logistica (e magari pure logica), di consentire ai “colleghi” esterni la fruizione del parcheggio, così come era fino ad oggi, o al 1° febbraio – data del “FUORI TUTTI” – così che possano lavorare tranquilli, almeno dal lato dei mezzi di trasporto.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Unicredit
Nel nostro precedente volantino avevamo ironizzato sul pieno successo del piano aziendale, che ha ottenuto il consenso all’uscita della stragrande maggioranza dei lavoratori aventi diritto all’esodo e la cui volontà di fuga sembra essere l’unico argomento su cui la disponibilità aziendale è generosa.
Appare, quindi, del tutto fuori luogo il tono del comunicato dei sindacati firmatari, i quali, senza timori di cadere nel ridicolo, rivendicavano di aver prima chiesto ed ottenuto di ampliare la platea di chi poteva andare in esodo a chi maturava la pensione entro il 2023, ed ora di aver “conquistato” l’uscita di tutti coloro che l’avevano chiesta.
Immaginiamo quale resistenza aziendale abbiano dovuto superare, vista la ritrosia della controparte a beneficiare della possibilità di risparmiare 675 milioni di Euro all’anno a partire dal 2021 dopo aver mandato a casa quasi gratis gli esodati.E questo sia perché il tesoretto statale conseguente all’affaire banche venete è parametrato su una permanenza media nel fondo superiore a quella che si realizzerà (e quindi coprirà molto più delle 4.000 teste inizialmente previste) sia perché per il triennio 2017-2019 anche il “normale” ricorso al Fondo Esuberi è beneficiato da un robusto contributo pubblico, grazie alle misure previste nella legge di stabilità 2017.
Inoltre, a fronte di 6.500 esodi (più le uscite per pensionamenti, oltre ai 1.000 esodati delle ex banche venete), ottengono 1.500 assunzioni, 500 delle quali nella forma delle famigerate assunzioni miste, un’altra “conquista” di cui i firmatutto e senza vergogna si vantano, ma che rappresenta un ulteriore passo verso la precarizzazione della categoria, con giovani assunti col jobs act (cioè liberamente licenziabili) per 600 Euro circa al mese e la necessità di procacciarsi il resto del reddito cercando clienti da gestire come consulenti finanziari autonomi (i vecchi promotori).
Ci chiediamo se al tavolo di trattativa qualcuno ogni tanto rifletterà sul degrado delle condizioni lavorative che ha determinato questa fuga di massa (degrado cui contribuiscono, in parte, anche i brillanti accordi firmati negli ultimi anni) e sul fatto che si potrebbe fare almeno un timido tentativo per escludere i nuovi assunti dalla normativa del jobs act.
Facciamo i migliori auguri a tutti coloro che hanno avuto accesso o lo avranno all’esodo (pur nella permanente incertezza sui tempi di uscita, lasciati alla discrezionalità aziendale). Per coloro che restano al lavoro e vivono male la loro condizione, suggeriamo di non limitarsi ad aspettare, rassegnati, il loro turno per i prossimi esodi, ma di reagire con noi per migliorare la qualità lavorativa.
C’è molto da fare: segnare gli eventuali straordinari che vengono fatti e pretendere (col nostro aiuto) la compensazione, senza accettare di giustificarli con la causale NRI. Pretendere che la formazione sia a carico dell’azienda e non della buona volontà del lavoratore. Documentare e segnalare richieste improprie ed illegittime per il raggiungimento dei budget (compreso il controllo delle agende elettroniche). Più in generale segnalare ogni comportamento di responsabili che può diventare fonte di stress lavorativo, compreso la violazione di regole e normative aziendali. Invitiamo gli stessi responsabili a segnalarci comportamenti scorretti dei loro superiori gerarchici.
Viviamo in una situazione in cui il potere aziendale sembra non avere limiti e possa essere esercitato in modo arbitrario. Tutto questo non può essere accettato. Dobbiamo ristabilire un clima lavorativo accettabile, con ritmi e carichi di lavoro sopportabili, il rispetto della dignità delle persone, il rispetto delle regole.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Le condizioni agevolate applicate ai dipendenti dell’azienda non sono contrattate sul piano sindacale, ma rappresentano da tempo uno dei punti di forza dell’intero pacchetto “welfare” per fidelizzare il personale ed attrarre talenti professionali e figure specialistiche nel “posto migliore in cui lavorare”. Tuttavia non mancano anche qui evidenti “sbavature”.
Dal completamento della fusione tra Intesa e Sanpaolo, quindi da oltre 10 anni, esiste il “nuovo pacchetto”, che fornisce ai dipendenti del Gruppo condizioni agevolate omogenee per accedere ai prodotti e servizi della banca. Di particolare valore i tassi sui finanziamenti ed in particolare sui mutui immobiliari, che consentono di accedere ad un bene primario come la casa a tassi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato (sebbene la forbice si sia ridotta alquanto, con il calo dei tassi e l’aumento della concorrenza, per mutuatari “sicuri”).
Da qualche anno a questa parte il pacchetto mutui si è arricchito di un ulteriore strumento, il “mutuo amico”, dedicato a quei lavoratori che hanno un reddito familiare lordo annuo inferiore ai 35.000 euro: una categoria che sta acquisendo “spessore”, visto il progressivo pensionamento dei bancari più costosi, il forte contenimento degli aumenti contrattuali delle ultime tornate, le varie formule di salario d’ingresso per i neo-assunti ed il lento ma costante peggioramento delle condizioni retributive per il personale entrato in banca negli ultimi lustri.
Inizialmente si poteva accedere con il mutuo amico ad un finanziamento non superiore ai 100.000 euro, poi elevato a 200.000 euro con la revisione del pacchetto attuata tre anni fa, che includeva, tra le altre cose, la possibilità anche per i dipendenti di rinegoziare i mutui già in essere e l’innalzamento a 600.000 euro del plafond complessivo utilizzabile nel corso della propria vita per comprare casa per sé o per i propri figli. Tanta roba, verrebbe da dire…
Certamente pesavano le condizioni generali di mercato: tassi bassi, offerta competitiva da parte dei concorrenti, liquidità illimitata a costo zero messa a disposizione dalla BCE. Alla fine anche i mutui ai colleghi fanno budget, sebbene i tempi e le ansie per ottenere le relative delibere da parte degli organi preposti siano spesso lunghi, prolungati e penosi (tranne qualche “scavalcamento” per pratiche più prioritarie di altre, naturalmente…).
Mentre però le innovazioni migliorative vengono strombazzate subito ai quattro venti per fare propaganda, le modifiche peggiorative subiscono una diversa sorte. A giugno 2017 le relazioni industriali hanno deciso di modificare il parametro reddituale su cui calcolare e concedere il mutuo amico: non più l’imponibile lordo Irpef, ma l’imponibile Inps, ben più
alto del primo. Le modifiche non sono state rese note che con le FAQ di fine settembre e
soltanto i colleghi che erano alle prese con richieste di mutuo in corso hanno avuto la
possibilità di rendersene conto.
Accade così l’ennesimo giro di giostra degli imponibili utilizzati dalla/e azienda/e per i
diversi scopi, utili sempre però per realizzare risparmi di costo. Un imponibile su cui
calcolare l’accantonamento del TFR e un altro per conteggiare il contributo alla previdenza
integrativa (che negli ultimi due rinnovi contrattuali hanno finanziato i risibili aumenti dei
contratti stessi), adesso un diverso imponibile anche per le erogazioni dei mutui ai
dipendenti. Una vera e propria geometria variabile degli imponibili!
L’utilizzo dell’imponibile INPS per verificare la congruità del Mutuo Amico non ha alcuna
giustificazione: il reddito effettivo del lavoratore è legato al suo reddito lordo (già gravato
da un peso fiscale rilevante), mentre il rapporto rata/reddito è giustamente calcolato sul
reddito netto percepito. Cosa c’entra l’imponibile Inps con la sua situazione reddituale?
Questa modifica taglia via dal perimetro di applicazione sin da subito centinaia di colleghi
e in prospettiva svariate migliaia: gli interessi applicati sono ben diversi e l’incidenza delle
rate sui mutui più lunghi ha ben altra consistenza, con forte aggravio sui colleghi più
giovani e famiglie monoreddito. In caso di utilizzo del massimale del plafond, su durate
elevate, la differenza può ammontare a centinaia di euro al mese e a decine di migliaia di
euro sul piano di ammortamento completo. Le modalità della sua introduzione hanno
seriamente danneggiato chi aveva già intrapreso operazioni di acquisto, facendo conto
sulle precedenti condizioni. A nulla sono valse le richieste di applicazione graduale della
nuova normativa, per salvaguardare le operazioni in corso ed evitare la retroattività, anche
per tenere conto delle modalità poco trasparenti e tempestive di comunicazione e
informativa.
Stigmatizziamo questa iniziativa aziendale, il generale silenzio che ha circondato
l’operazione e la rigidità nel rifiutare ogni deroga per le operazioni immobiliari già
impostate. Auspichiamo che questa improvvida decisione venga rivista e si ritorni al più
presto alla normativa precedente.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Circa un mese fa, i legali dei lavoratori di Fruendo, che avevano aperto una vertenza legale contro l’esternalizzazione, si sono visti recapitare da MPS e Fruendo una proposta per rinunciare al rientro in banca, in cambio di una clausola di salvaguardia, valida fino al 2031, che prevede il ritorno in MPS al verificarsi di una serie di eventi negativi.
Questa mossa aziendale dimostra, come prima evidenza, che gli avvocati, indirettamente, sono già riusciti a strappare condizioni migliori di quelle ottenute dai sindacati che firmarono lo sciagurato accordo di cessione.
In secondo luogo, a fronte dei comprensibili timori dei lavoratori per l’esito del ricorso in Cassazione, questa offerta tardiva, da parte aziendale, dimostra che i timori della controparte sono ancora più forti.
In una situazione come questa, ci aspetteremmo che i sindacati che non firmarono l’accordo di cessione, ma che, contrariamente a noi, hanno il potere di indire assemblee, si attivassero in tal senso, per evitare che ogni lavoratore con ricorso in piedi sia lasciato da solo a fare la sua scelta.
Noi pensiamo che non solo le vertenze legali debbano andare avanti, ma che andrebbe aperta una vertenza sindacale per il rientro di tutti i lavoratori in MPS. Le vertenze legali, a nostro parere, hanno sempre una funzione complementare e non sostitutiva dell’azione sindacale.
Nel caso di esito favorevole delle cause anche in Cassazione avremmo una situazione paradossale, nella quale alcuni lavoratori (chi ha tenuto in piedi la causa) rientrerebbero in MPS, altri (chi avesse accettato la conciliazione) che resterebbero in Fruendo con garanzie rafforzate e altri ancora, chi non ha fatto causa, che resterebbero in Fruendo con le sole garanzie dell’accordo sindacale.
Mps, a seguito delle sentenze giunte fino al secondo grado, è in un’oggettiva situazione di debolezza e si deve percorrere la strada per garantire il rientro a tutti i lavoratori.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo MPS
UBI Banca nasce nel lontano 1 aprile 2007 dall’integrazione di 7 banche e una serie di società prodotto e di servizi.
Ogni realtà presentava una propria storia distinta e i lavoratori godevano di trattamenti diversi sulla scorta di quanto erano riusciti ad ottenere con i loro CIA nel corso degli anni.
Da oltre 2 lustri però le divisioni valevano solo per i dipendenti: le azioni erano quotate sotto il nome di UBI, le strategie aziendali, i piani industriali e le decisioni più importanti si prendevano in UBI, solo i lavoratori rimanevano divisi in base all’azienda di provenienza.
Le differenze di trattamento, derivanti dai diversi contratti integrativi erano anche molto marcate, sia per quanto riguarda l’aspetto economico che per quello normativo.
Ora sappiamo bene che uniformare tutti questi accordi non era operazione fattibile dall’oggi al domani da un punto di vista tecnico.
Tuttavia si poteva tentare di coinvolgere i lavoratori, magari mobilitarli, per cercare di raggiungere obiettivi collettivi che, tendenzialmente, dovevano puntare all’uniformità ai livelli più alti per tutti, o perlomeno provarci.
Invece la trattativa per il nuovo CIA è stata una mediazione mediocre tra i diversi trattamenti delle ex banche, togliendo qualcosa a qualcuno e aggiungendo a qualcun altro, al punto che commentare gli accordi raggiunti era davvero difficile.
Naturalmente, nel solco della totale mancanza di democrazia che contraddistingue il nostro settore, il tutto si è svolto senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori, sia in fase preventiva, con la stesura di una piattaforma rivendicativa, sia nella fase finale di legittimazione dell’accordo, attraverso il voto assembleare.
Forse per compensare chi ha perso qualcosa sulla parte normativa, a qualcuno è venuto in mente di accordarsi per un diverso trattamento per il Vap.
Fino ad oggi il premio di produzione è stato calcolato, più o meno tenendo conto dei risultati ottenuti dalle singole realtà, con notevoli differenze tra le varie banche del gruppo, differenze che, se possiamo anche accettare per il passato, risultano incomprensibili e odiose se applicate per il futuro.
Il Vap 2017 (erogato nel 2018) è apparentemente uguale per tutti (la parte dove si può scegliere tra conto welfare e cash), ma vi è una parte che è stata contrattata separatamente nelle banche pre-esistenti.
Partendo da una buona idea (consolidare in modo stabile una parte del premio) è stato fatto un pasticcio indigeribile.
Intanto lo strumento scelto per questa erogazione è soltanto il conto welfare (senza possibilità dell’opzione cash), che ha ormai un’ampia casistica di spese rimborsabili, ma che non è detto possa essere utilizzato da tutti.
Diciamo che, piuttosto che confliggere con l’azienda, viene più facile accordarsi con essa su come eludere il fisco, facendo risparmiare al datore di lavoro tasse e, soprattutto, contributi previdenziali.
Ma la beffa finale è che il premio consolidato, ispirato a criteri di uguaglianza, in quanto fisso e uguale per tutti i livelli contrattuali, è però diverso per le banche di provenienza, con importi differenziati da 320 euro fino a 725 euro, tendenzialmente per sempre!!!
I nostri sedicenti rappresentanti, pur di salvaguardare l’interesse particolare, sono riusciti a mantenere un piccolo residuo di differenze, quasi a ricordo perenne degli oltre 10 anni passati con condizioni e diritti anche molto differenti tra i dipendenti.
Anche in questo episodio emerge la mancanza di un’azione di largo respiro e di capacità di rappresentanza generale.
Rilanciamo il nostro invito ad autorganizzarci e aderire ad un sindacato libero, che non teme il confronto con i lavoratori e il conflitto con la controparte e che abbia, tra gli altri, come obiettivo anche il riconoscimento di uguali diritti per tutti i lavoratori di UBI….TUTTI!!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Ubi Banca
Per quanto ovvio, la CUB-SALLCA ha seguito e segue con estrema attenzione ogni singolo passaggio del progetto di chiusura della Cassa di Previdenza SanpaoloIMI, l’ultimo gioiello di famiglia dei vecchi sanpaolini di diritto pubblico. A supporto della nostra consigliera Amalia Piccinino abbiamo costituito un gruppo di lavoro estremamente qualificato e che si avvale anche di competenze professionali specifiche esterne alla nostra organizzazione.
Ai pochi distratti, ricordiamo che da oltre un decennio le/i candidate/i della CUB-SALLCA risultano sistematicamente le/i più votate/i dalle/dagli iscritte/i alla Cassa (siamo quindi sindacato di maggioranza relativa) ma, ciò nonostante, l’assenza di democrazia sindacale che caratterizza il nostro settore affida questo tipo di trattative alle cosiddette “fonti istitutive” (azienda e sindacati firmatari) i cui rappresentanti nel CdA della Cassa si adeguano poi supinamente ed acriticamente agli accordi raggiunti.
Noi siamo fuori da questo tipo di giochi e diremo ai lavoratori (quando saranno espliciti tutti i parametri tecnici dell’operazione) quello che riterremo giusto dire per aiutarli nel fare la scelta più opportuna, che ovviamente dipenderà anche dalla loro situazione individuale. Questo, quindi, non è altro che un primo volantino sull’argomento. Ci aiuta, per fortuna, il fatto che avremo molto tempo per approfondire i vari aspetti dell’operazione visto che l’offerta aziendale sarà quantificata ad ognuno degli iscritti verso giugno ‘18 e si avranno poi tre mesi per decidere il da farsi.
Vediamo ora quali sono i principali punti di un accordo che, con un’accelerazione degna di un centometrista, le famigerate “fonti istitutive” hanno firmato per dare il colpo (quasi) finale alla previdenza a prestazione definita. Ovviamente, nonostante la rilevanza del tema, non è stata fatta alcuna assemblea e nessuna informativa è circolata tra i colleghi interessati salvo qualche scarno e impreciso comunicato delle sigle sindacali.
Volontarietà e mantenimento dei diritti
Sicuramente l’aspetto più positivo dell’accordo ma non è certo una conquista della contrattazione. Molto più semplicemente le esperienze passate per altri fondi a prestazione definita hanno “insegnato” che i colpi di mano non pagano se non in termini di ricorsi alla Magistratura con esiti praticamente sempre soddisfacenti per i colleghi. Come noto, le posizioni dei non aderenti all’offerta verranno trasferite in una sezione dedicata del Fondo Banco Napoli che cambierà nome ed il cui Statuto verrà adeguato alla bisogna.
Pensionati
Qui l’accordo è semplice e, per fortuna (o… magari qualcuno si è fatto sentire …), le fosche anticipazioni contenute nel volantino del 29/11 sono state riviste. La decurtazione è stata fissata al 6% (dal 10% iniziale) ed è stata introdotta una soglia sotto la quale non si applica. Su questo tema è bene ricordare che la decurtazione era stata presentata come inevitabile (“viene solitamente previsto per le capitalizzazioni anticipate delle prestazioni previdenziali”). In realtà era un mettere le mani avanti perché in un’operazione del genere il “di solito” non esiste mentre il 10% è, molto più semplicemente, l’applicazione della decurtazione prevista per le capitalizzazioni nei fondi ex Banco Napoli. Farlo passare come standard di mercato era un’operazione di marketing piuttosto discutibile.
Da parte nostra riteniamo che tecnicamente è sempre auspicabile introdurre una maggiore gradualità piuttosto che uno scalino secco: il 10% poteva anche essere “accettabile” per chi percepisce un’integrazione di 30 o 40.000 euro l’anno mentre lo è meno il 6% per chi è sopra la soglia di esenzione per pochi euro. Infine occorre tener presente che la posizione viene liquidata in contanti e quindi l’imposizione fiscale è un aspetto da valutare attentamente.
Attivi, esodati e differiti
Per questi colleghi la determinazione del capitale offerto è più complessa perché occorre trovare un modo per calcolare la misura dell’integrazione attesa. L’accordo specifica che l’offerta individuale verrà calcolata sulla base del principio contabile IAS 19 che prevede di considerare l’anzianità maturata al 31 dicembre 2017 in quanto gli accantonamenti della Banca vengono determinati utilizzando questo approccio contabile. Per gli attivi più “giovani” ciò comporta una penalizzazione piuttosto pesante posto che ogni anno in meno vale il 2,25% in meno di integrazione! Il volantino dei sindacati firmatari ribadisce che questo criterio è quello previsto dalle norme statutarie ma in realtà l’attuario incaricato di valutare gli oneri previdenziali produce regolarmente un secondo documento (Italian Gaap) nel quale il debito previdenziale viene calcolato considerando l’anzianità che si raggiungerebbe al momento della maturazione dei requisiti pensionistici e non solo quella già maturata! È infatti quest’ultimo approccio, che consente di valutare il valore della prestazione previdenziale e, stando alle ultime valutazioni espresse dall’attuario in nostro possesso, il differenziale è di almeno 170 milioni!
Proprio per ovviare a questa penalizzazione implicita nella scelta dell’approccio con cui calcolare il capitale da offrire all’iscritto, è prevista l’introduzione di una contribuzione previdenziale aggiuntiva del 4% (peraltro calcolata solo su un sottoinsieme di voci retributive). Quanto sopra fa emergere una oggettiva difficoltà nel valutare complessivamente l’accordo. Ma forse intorbidire le acque è proprio ciò che si voleva …
Per quanto riguarda la liquidazione, è prevista unicamente la zainettizzazione nel Fondo Pensione di Gruppo a Contribuzione Definita le cui regole ne determineranno la tassazione e le condizioni di disponibilità. In particolare, gli esodati potranno riscuotere fino al 50% a condizioni fiscalmente estremamente vantaggiose (tra il 9% ed il 15% contro il 23% previsto per le anticipazioni prima casa e per cause diverse del Fondo Pensione).
Il diavolo sta nei dettagli
Una volta definito il quadro dell’accordo, si tratta ora di attendere i conti di fine anno. Oltre al modello di valutazione che incide sull’anzianità da considerare, il calcolo (tecnicamente molto complesso) utilizza tutta una serie di altri parametri che incidono in modo determinante sul risultato finale: tavole attuariali, tassi di incremento della retribuzione, tasso di attualizzazione, ecc. In particolare, il tasso di attualizzazione, ovvero il tasso con il quale si trasformano gli euro di domani in euro di oggi, è un parametro assai rilevante: una variazione dello 0,5% incide per oltre 150 milioni sul debito previdenziale complessivo. Considerando che i tassi di interesse Eur sono negativi fino a 3 anni e non superano l’1,5% neanche nel lunghissimo periodo, il tasso di sconto da applicare dovrà essere ben inferiore al 2,17% utilizzato lo scorso anno!
Su questo aspetto l’accordo, nelle Norme Finali, prevede che le fonti istitutive operino “un approfondimento sui criteri attuariali adottati nella predisposizione delle offerte”. Quello che sembra un messaggio rassicurante è invece un aspetto che ci preoccupa moltissimo. La determinazione da parte dell’attuario dell’onere previdenziale complessivo è una questione che riguarda tipicamente il CdA della Cassa in quanto responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio che, appunto, si basa sulle valutazioni con il metodo IAS. Perché si vuole “scippare” la competenza su questo aspetto all’organo societario preposto, peraltro l’unico democraticamente eletto? Perché le fonti istitutive si arrogano il diritto di valutare parametri tecnici non di loro competenza visto che ormai hanno già determinato l’approccio contabile (ovviamente quello meno favorevole) da utilizzare?
Prendere o lasciare
L’operazione si configura come un’offerta straordinaria per capitalizzare i flussi futuri di integrazione della rendita previdenziale ma la liquidazione prevista non si basa su una valutazione equa della prestazione e non include alcuna remunerazione del rischio previdenziale. Una prestazione definita è l’unica vera, concreta ed effettiva protezione previdenziale verso eventuali cambiamenti del quadro normativo complessivo. È una proposta che ognuno è libero di accettare o meno ma che, nei fatti, appare più attraente per chi ha già un reddito previdenziale significativo. Ricordiamo che, grazie al passaggio al Fondo Banco Napoli, sarà possibile operare nuovamente la scelta al momento della maturazione del requisito pensionistico (AGO): è infatti previsto che in quell’occasione sia possibile incassare l’intero capitale con una penalizzazione del 6%.
Per quanto ovvio non mancheremo di far sentire la nostra voce e pretendere un percorso trasparente ed informato ed in tal senso abbiamo già chiesto precise garanzie che, al momento della comunicazione della cifra offerta, vengano resi disponibili tutti gli elementi e gli strumenti utili affinché ognuno possa valutare consapevolmente l’operazione.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
La preoccupazione dei lavoratori per la sorte della Banca è forte e le difficoltà non possono certo essere nascoste, tuttavia è necessario ragionare con calma e lucidità sulla linea da seguire.
Sono usciti due comunicati della Fisac aziendale che manifestano valutazioni diverse tra i sindacati della Banca: non vogliamo entrare nel merito di questa polemica e restiamo in attesa di conoscerne meglio gli sviluppi, ma riteniamo che alcuni punti fermi vadano affermati.
In maniera contraddittoria, l’azienda ha avanzato varie richieste, dall’annuncio della disdetta del contratto integrativo, a proposte sulla mobilità in deroga al contratto nazionale.
L’idea che si vorrebbe insinuare è che, nello sforzo per risanare i conti della Banca, anche i lavoratori debbano contribuire con ulteriori e inevitabili sacrifici.
Riteniamo che questa idea non sia solo iniqua, ma anche sbagliata e fuorviante. I problemi della Banca non derivano da un eccesso di tutele dei lavoratori (che, anzi, a livello di sistema bancario, oramai, sono tra quelli meno retribuiti e maggiormente “precarizzati”), ma dalla sciagurata gestione dei suoi dirigenti e d taluni soci di riferimento, dalla nota collusione, di storica data, tra i poteri forti liguri e la Banca stessa (vedi esponenti politici, sindacati firmatari, imprenditori, coop, ambienti della Curia, rappresentanti di enti pubblici locali, ecc.).
Dire questo è ovvio, ma va anche aggiunto che i risultati della malagestione sono, verosimilmente, irreparabili e che il recente aumento di capitale rappresenta un ultimo, disperato, sforzo che produrrà solo un prolungamento dell’agonia.
E, come se ce ne fosse stato bisogno, le modalità e la tempistica con cui si è arrivati alla costituzione del consorzio per l’aumento di capitale ha provocato un’ulteriore perdita di credibilità, sia agli occhi dei dipendenti, dei clienti che dell’opinione pubblica in generale, non più arginabile.
Accettare accordi peggiorativi non servirebbe in nessun modo a risolvere i problemi di Carige, ma produrrebbe solo un aggravamento gratuito delle condizioni dei lavoratori.
Abbiamo già scritto che solo un intervento dello stato, sul modello di MPS, può risolvere la situazione e siamo convinti che questo sarà l’unico sviluppo possibile.
L’idea migliore, associata allo sciopero del 21 novembre, è stata quella del volantinaggio ai cittadini a Genova. Si deve tentare di costruire un asse tra lavoratori e clienti per tutelare entrambi. Va richiesto con forza che si vada al salvataggio di Carige tutelando i risparmiatori e chi lavora.
Come abbiamo sollecitato anche per MPS, l’intervento dello stato, con l’uso dei soldi dei contribuenti, non deve solo essere finalizzato al salvataggio della Banca, ma deve anche portare ad un nuovo modello di impresa, funzionale agli interessi della collettività e ad una ripresa di redditività sostenibile e socialmente compatibile, che porti, nel lungo termine, anche al recupero dell’investimento pubblico.
Ti proponiamo di operare, anche in Carige, per tentare di costruire un sindacato alternativo e al di fuori delle solite logiche di potere, che da sempre ha dimostrato piena autonomia e coerenza nella difesa dei diritti, in generale, e in ambito lavorativo in particolare.
Il tempo è scaduto. Se sei interessato contattaci.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Carige
DA CUB SALLCA
A ISCRITTE/I DI BANCHE E ASSICURAZIONI
Si è svolto il 27 ottobre lo sciopero generale dei sindacati di base, di cui diamo conto nel volantino allegato. Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato, provocando chiusure parziali o totali di punti operativi. E’ stata una bella giornata di lotta, nonostante i tentativi (alcuni ridicoli, altri dannosi) che in vario modo hanno cercato di ostacolarne la riuscita. Nelle banche non sono mancati i responsabili aziendali che hanno tentato di mettere in dubbio la legittimità dello sciopero. Ricordiamo ancora una volta che lo sciopero è un diritto dei lavoratori, che può essere esercitato da tutti e non solo dagli iscritti alle organizzazioni che l’hanno indetto; che viene preavvisato sempre a nostra cura con il rispetto delle previsioni di legge e degli accordi di settore; che è compito delle aziende esporre il preavviso al pubblico con congruo anticipo.
Passando a cose più serie, è stata grave la decisione del Ministro Graziano Delrio, che ha ridotto d’autorità la durata dello sciopero nel settore trasporti da 24 ore a sole 4 ore. Ancora una volta è stato violato il diritto di sciopero, ricorrendo ad una forzatura giuridica.
Altri due fatti gravi e importanti si erano verificati nei giorni precedenti: la Corte Costituzionale aveva rigettato i ricorsi legali dei pensionati per i mancati adeguamenti al costo della vita, stabilendo il principio che i vincoli di bilancio (definiti da lor signori) vengono prima dei diritti.
Inoltre l’Istat, nel pieno del dibattito sull’età per il pensionamento, aveva fatto il “miracolo” di riallungare la vita degli italiani, dopo che, due anni fa, il rapporto di Osservasalute aveva rilevato, per la prima volta, una riduzione della speranza di vita.
Tutto si tiene quando si tratta di prolungare le politiche d’austerità che continuano a prostrare l’economia e la società. Ne abbiamo parlato nel convegno del 6 ottobre su “Euro e banche” di cui è possibileoraconsultare i video: