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Secondo un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, dal titolo fin troppo evocativo[1], nei prossimi anni da qui al 2020 sono previsti 20-25mila esuberi nel settore. In un altro articolo[2], che illustra le linee di un accordo tra l’ABI e il governo per gestire le prossime ristrutturazioni, il numero dei tagli al personale arriva ad ipotizzare 50mila esuberi. Al di là delle cifre ballerine, l’elemento strutturale su cui convergono gli articoli menzionati e le voci dei più informati osservatori, è che siamo alla vigilia di un processo che cambierà radicalmente le caratteristiche del comparto. Nulla di nuovo potrebbero affermare i diretti interessati, i lavoratori. Alle svolte epocali, alle trasformazioni dal sapore quasi apocalittico, l’orecchio dei bancari è ormai avvezzo. Così come forse uno sbadiglio potrebbe strappare l’ennesima discussione sul nuovo modello di banca, che si trascina ormai da lungo tempo, tema che viene trattato in stretta correlazione con l’annuncio dei forti dimagrimenti di cui sopra. Mai fidarsi però dell’apparente fluire degli eventi, lasciandosi cullare dall’ipnotica ripetitività di quelli che ci appaiono sfibranti deja-vu.
Per la prima volta, stando alle notizie di stampa, l’accordo tra governo e parti sociali includerebbe un sostegno economico pubblico per rendere possibile un esodo di tali proporzioni bibliche. Questa novità seguirebbe quella di carattere normativo che ha permesso di allargare la possibilità dei prepensionamenti da 5 a 7 anni prima della maturazione dei requisiti per andare in pensione. Finalmente potrebbe dire qualcuno. Era ora.
Ma l’illusione dura il tempo di una lettura che non ha bisogno neanche di andare a cercare troppo tra le righe, potendo soffermarsi già semplicemente su quanto alcuni attori del dibattito, non si fanno scrupolo neanche più di mascherare con le consuete sottili formule linguistiche, di chi è abituato a propinare tempeste con le parole di chi annuncia il sereno. Può succedere allora di trovarsi di fronte ad un mondo alla rovescia, in cui Eliano Omar Lodesani, Chief Operating Officer del Gruppo Intesa Sanpaolo e presidente del Comitato Affari Sindacali e del Lavoro di Abi, arrivi a richiedere, con un accorato appello da sindacalista, l’ascolto del governo per trovare le possibili soluzioni nell’interesse dei…lavoratori, mentre Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, si soffermi, con l’afflato avveniristico del più rampante tra gli amministratori delegati, sul programma d’azione che per lui deve prevedere un “riprendersi funzioni, fare consulenza fiscale, previdenziale, conquistare nuove attività. Come del resto succede nel modello americano”.
Ma come si fa a diventare americani? Niente paura, ce lo spiega Andrea Airoldi, che dobbiamo ringraziare per la solidarietà che dimostra fin dall’uso dei verbi riflessivi che lo dipingono come uno di noi, nonostante sia senior partner della società di consulenza Roland Berger (i cervelloni che elaborano i piani industriali e il nostro futuro, sgravandoci di simili preoccupazioni): “Non ci sono alternative: bisognerà ridursi e trasformarsi”- dice il nostro solidale consulente – “da qui a dieci anni mi aspetto che le filiali siano meno della metà e anche molto del personale in rete e al centro adibito all’operatività sarà superfluo, sostituito da processi digitalizzati e da clienti sempre più indipendenti. Sta per partire una rivoluzione del lavoro in banca come quella nell’industria italiana degli anni ’70-80.”
Oltre al solito mantra della mancanza di alternative, un passaggio importante il nostro consulente ce lo offre quando avanza un’analogia con le ristrutturazioni industriali degli anni 70-80. Interessante notare innanzitutto che questa analogia è anche sulla bocca degli esperti del settore, che nell’introdurre la necessità del sostegno statale, parlano di “una misura straordinaria per un momento straordinario visto che il comparto sta attraversando una crisi paragonabile a quella vissuta dal manifatturiero alla fine degli anni Settanta”.
È bene ricordare, che le ristrutturazioni richiamate, rappresentano l’avvio di un processo di deindustrializzazione che ha condotto alla distruzione di gran parte del tessuto produttivo del nostro Paese, senza che ai piani lacrime e sangue seguisse un suo successivo rilancio. Se fossimo psicoanalisti parleremmo di lapsus freudiano. Ma non possiamo credere che l’obiettivo sia l’affossamento del settore e la sua totale subordinazione ai capitali di provenienza estera. Non siamo malpensanti. Anche perché se fosse così, potremmo farci un’idea realistica di quella che sarà la nostra vita di bancari, dalle parole che uno dei rappresentanti del capitale globalizzato, l’azionista Bnp Paribas ha riservato alla partecipata Bnl. Non tanto per i numeri pur significativi (700 uscite, 12 giornate di solidarietà, chiusura di altri 100 sportelli, ecc…), ma per la motivazione addotta, che configura la natura dei cambiamenti di cui tutti parlano: la necessità di alzare la redditività.
Con un passaggio magistrale dal punto di vista politico, la questione degli esuberi viene sganciata dal suo contesto naturale, lo stato di crisi, per essere vincolata alla accettabilità o meno del livello dei profitti. Questo principio, che viene introdotto con un cavallo di Troia ideologico di quelli destinati a segnare le coordinate dei rapporti tra capitale e lavoro dei prossimi anni, sarà la fonte primaria, la Costituzione verrebbe voglia di dire, su cui poi si costruiranno contratti collettivi e aziendali, fino ad arrivare alla più minuta delle disposizioni idonee ad avere un impatto sulla realtà lavorativa. Tutto dovrà uniformarsi ad un livello arbitrario e variabile di profitto. In barba a quel resta dell’attuazione del principio costituzionale della funzione sociale dell’attività di impresa, il ruolo del lavoro viene completamente estromesso dai processi decisionali. Mai siamo stati così tanto merce.
“Questo è un business di persone, il prodotto si copia in poco tempo”, precisa il manager Lodesani. Da numeri, da merce, ritorniamo il perno del sistema. Qual è la verità?
Lo scenario è quello costruito in trent’anni di politiche economiche, aziendali e, soprattutto, culturali. La gestione dei benefici del progresso tecnologico, che nel nostro settore si manifesta con l’uso sempre più massiccio della multicanalità e con la digitalizzazione dei processi produttivi, è sottratta ad un pur sia minimo rapporto dialettico tra parte datoriale e rappresentanti dei lavoratori. Lo spostamento dei lavoratori da un segmento produttivo seriale (back office) ad uno relazionale (consulenza) in realtà si esprime in un’organizzazione del lavoro formalmente nuova, che utilizza il supporto delle nuove tecnologie, per mascherare il più bieco e vetusto sfruttamento delle energie psicofisiche dei lavoratori, con un contenuto schiacciato sul solo aspetto commerciale. Tra queste contraddizioni della narrazione manageriale, vanno inserite le leve con cui scoperchiare un disegno, che ci condurrà ad una subordinazione ancora peggiore. Come? Costruendo un’agenda minima che coinvolga noi lavoratori, un primo passo di un generale ridisegno del pezzo di esistenza che trascorriamo sul posto di lavoro. Come CUB-SALLCA del MPS, proponiamo di discutere sui seguenti punti:
- L’assunzione di un ruolo paritetico dei lavoratori rispetto ai rappresentanti delle imprese, nella gestione delle ricadute determinate dal progresso tecnologico, interrompendo una latitanza che ai profitti conseguiti con la contrazione dei costi operativi, ha favorito il mantenimento di una ingessata struttura degli orari di lavoro (che anzi ha avuto sussulti in senso estensivo, e la cui flessibilizzazione sul modello del settore del commercio, è posta con disinvoltura accanto ai più arditi scenari fanta-bancari…).
- Il coinvolgimento sostanziale dei lavoratori nella definizione dei nuovi profili professionali (e della conseguente formazione), rendendoli funzionali a soddisfare l’offerta di servizi sempre più qualificati di consulenza globale, indirizzati ad attività economiche svolte in linea con uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile.
Questo sforzo, deve partire dalla capacità autorganizzativa dei lavoratori. Unica strada per non essere più convitati di pietra nelle discussioni riguardanti il nostro futuro. Noi della CUB SALLCA ci siamo.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Monte Paschi
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[1] Addio al mito del “posto in banca”: così il bancario cambia mestiere, La Repubblica, 10 ottobre 2016
[2] Banche, accordo tra governo e Abi per 50mila prepensionamenti, La Repubblica 12 ottobre 2016
Vogliamo rischiare di apparire noiosi e ripetitivi, ma riteniamo necessario rinnovare l’invito, innanzi tutto rivolto ai colleghi, a non cadere nella spirale perversa budget – pressione commerciale – raggiungimento risultati – gratificazione economica e/o professionale.
Purtroppo ci accorgiamo di rimanere inascoltati ed apparire come quelli che “remano contro” le sorti aziendali ed i suoi interessi. Non è così !
Ancora di recente nel Banco di Napoli si sono realizzate truffe ai danni della banca attraverso l’erogazione di prestiti personali a nuova clientela. Nella fattispecie clientela presentata da promotori privi di accreditamento e di qualsiasi altro titolo che ne garantisse la loro attività. Spesso costoro, all’atto dell’avvenuta erogazione, esigevano, dal cliente che aveva ottenuto il prestito, un compenso per la loro utile mediazione, stazionando in filiale o nei pressi.
Da qui è iniziata la vorticosa circolazione di messaggi di allarme da parte delle funzioni centrali e di controllo, che hanno analizzato i casi, rilevato i tratti comuni che li caratterizzavano (nuovi clienti, importo del prestito, residenti fuori zona di competenza, documentazione falsa, ecc) e diffidato direttori e responsabili vari dall’agire senza tenere conto di tutte le avvertenze e le circolari che, nel tempo, l’azienda ha emesso.
Il tutto, però, come recita un recente comunicato indirizzato al Direttore di Area, al Direttore Regionale, ai Direttori commerciali Retail e Personal e a tanti altri, “senza dover necessariamente pregiudicare le leve commerciali alla base del successo nel collocamento del prodotto”.
In poche parole la botte piena e la moglie ubriaca. Come l’ esperienza ci insegna, la botte è quasi sempre manomessa e sulla fedeltà della moglie gravano sempre dubbi.
Ma c’è poco da scherzare. I colleghi devono svolgere il proprio lavoro osservando la “diligenza del buon padre di famiglia”, mantenere un comportamento etico-professionale corretto e operare con senso di responsabilità, osservando le regole che sono a supporto della nostra attività.
Lasciamo alla coscienza ed alla coerenza dei nostri capi il dubbio se ciò che viene perentoriamente richiamato nelle circolari e nelle guide operative corrisponde alla lettera a ciò che viene detto nelle riunioni di tipo commerciale, in cui la collocazione dell’ultimo prodotto sfornato diviene l’obiettivo primario da raggiungere e sul cui altare si può benissimo sacrificare qualche norma che ci lega le mani.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Federazione della Campania
L’accanimento aziendale contro i Lavoratori delle Tesorerie è degno di miglior causa. Ancora vivo è il ricordo della job rotation nel secondo semestre del 2015 con conseguenti (e note) difficoltà operative. Così come permane la irregolare “personalizzazione” delle lavorazioni degli Enti passati in gestione da Torino a Roma con l’assunzione non dovuta di rischi operativi per i colleghi coinvolti. In quell’occasione fu già denunciata la creazione in vitro sulla piazza di Roma di esuberi giustificata da malfunzionamenti prodotti ad arte.
Una situazione di estrema delicatezza se si considera, da un lato la vigenza del D. Lgs. 231/2001 che attribuisce ai colleghi la responsabilità del loro operato, dall’altro l’operatività fuori norma che gli stessi colleghi sono “costretti” a svolgere, ed infine la mancata stesura – come chiedemmo – di un Ordine di servizio o di una disposizione scritta da parte del Responsabile della Struttura che ne sanasse il vulnus. A distanza di un anno nulla è migliorato. Anzi.
È di pochi giorni fa l’informativa aziendale che i prossimi 28, 29 e 30 settembre 2016 negli uffici di Tesoreria di Roma Anzani alcuni consulenti della COMDATA avvieranno un progetto pilota denominato Robotic Process Automation. Da notare che COMDATA è specializzata in servizi di “Business Process Outsourcing” e che al Banco Santander ha proceduto al trasferimento del ramo di azienda relativo ai servizi di back office a favore proprio della Comdata Spa. Un’operazione, forse, in odore di conflitto di interessi.
Ad essere analizzati nell’ambito di questo progetto (che sarà pilota per altre realtà di Ubis) saranno due non specificati processi di tesoreria ai quali sarà applicato un altrettanto non specificato processo di “elevato automatismo” con l’obiettivo di superare l’attuale “componente manuale di basso profilo”.
Innanzi tutto è da stigmatizzare l’intollerabile utilizzo da parte dell’Ufficio del Personale della formula “componente manuale di basso profilo”, la quale appare gravemente offensiva del lavoro svolto dai nostri Colleghi, la qualità del quale non dipende certo dalla loro volontà o dalle loro capacità professionali di cui hanno dato sicura prova in passato in ben altre realtà societarie. Una infelice formula che sembra richiamare, cambiandone il segno, le felici “posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza”, tramite le quali nell’Accordo del 15.9.2012 (art. 2 – norma transitoria) l’Azienda permise a sei sindacalisti dalla firma facile di salvarsi dal licenziamento ex lege 223/91. Insomma: i lavoratori colpevoli di svolgere attività semplici vengono di fatto resi esuberi; sindacalisti con meriti di firma furono salvaguardati dagli accordi da loro stessi firmati. C’è qualcosa che non quadra.
La chiusura, pardon, la razionalizzazione del polo di Tesoreria di Trento (circa 90 persone), la cui attività consiste prevalentemente nella gestione del caricamento dei bilanci degli Enti e delle successive delibere di variazione, implica il trasferimento delle relative lavorazioni a Roma senza, allo stato, aumento di personale. La cosiddetta “componente manuale di basso profilo” è comunque da intendersi quella relativa ai processi autorizzativi di mandati, reversali e bonifici non effettuati tramite mandato informatico (attività svolta, ad esempio, dai telelavoratori), nonché quella relativa a bilanci e delibere.
Sorge il sospetto quindi che l’indagine della COMDATA sia propedeutica all’eliminazione della maggior parte delle lavorazioni massive/elementari e al mantenimento della sola gestione delle eccezioni e ad accentuare la criticità in termini di esuberi della piazza romana. Si tratta di un processo a tendere che sembra preludere al superamento della Tesoreria, quanto meno in ambito Ubis.
Da un punto di osservazione macroeconomico l’operazione in oggetto si inserisce in una pericolosa fase di transizione industriale all’interno della quale l’occupazione ed interi settori industriali sono persi per sempre e dove i percorsi di ricollocazione e formazione non hanno mai rappresentato una possibilità seria di nuovo lavoro, ma solo un grande e proficuo business da realizzare sulle spalle degli esuberi (prima) e dei licenziati (dopo).
Uno scenario aggravato il 1° settembre dall’ennesimo accordo sottoscritto con la Confindustria dal vago sapore collaborazionista, neocorporativo e concertativo per la gestione degli esuberi: grazie alla cosiddetta “offerta conciliativa” – tecnicismo per indicare la proposta economica e formativa per indurre ad accettare il licenziamento e conseguente chiusura tombale del rapporto di lavoro – i lavoratori considerati in esubero vengono consegnati nelle mani dell’impresa che, autorizzata ed incentivata a licenziare, non solo potrà beneficiare di una certezza dei costi dell’operazione, ma avrà cosi la garanzia di una condivisione sindacale definita centralmente che non può essere messa in discussione azienda per azienda.
Accordo che, come da recenti articoli apparsi sul Sole 24 Ore, non spende una parola per fermare le delocalizzazioni, la cessione di rami d’impresa e le tante altre furbate padronali costruite per attaccare salari e occupazione ed avallate nella nostra azienda, anche in presenza di violazioni di contratto, da chi oggi si propone come fautore e promotore di una “nuova via”.
Invitiamo i colleghi coinvolti nell’interazione con COMDATA, pur nel rispetto delle DISPOSIZIONI SCRITTE ricevute, a non facilitare lo scavo delle fosse proprie e dei colleghi. A proposito di collaborazionismo e di concertazione.
L’autunno è appena iniziato e si preannuncia caldo, in UniCredit e non solo.
In attesa di conoscere i dettagli della nuova rivoluzione copernicana (ormai annuale) per fine settembre due rapidi aggiornamenti su tematiche di attualità:
Tablet
In questi giorni stiamo ricevendo gli agognati tablet che siamo riusciti a ottenere a parziale e teorico compenso del fatto che ci hanno ulteriormente diminuito il VAP. Capita di sentire strane voci incontrollate sull’uso che si dovrebbe farne per cui è opportuno chiarire alcune cose:
- il tablet è fornito dall’azienda in comodato d’uso, per cui fino al riscatto (che dovrebbe avvenire fra 18 mesi) è una proprietà di UniCredit concessa in uso gratuito. Non può essere venduto o ceduto a terzi e deve essere custodito “con la diligenza del buon padre di famiglia”.
- NON si configura in nessun modo come strumento di lavoro e l’uso che ciascuno può farne è completamente discrezionale;
- nello specifico non è obbligatorio scaricare e installarci alcunchè, né tantomeno sottoscrivere o attivare abbonamenti a proprie spese. Chiunque disponga di un abbonamento internet a casa o anche solo di un cellulare abilitato a navigare in rete può utilmente sfruttare i gigabyte che già ha senza regalare altri soldi alla TIM (posto che gli interessi usare il tablet per navigare);
- SE si decide di accedere al portale UniCredit tramite il tablet bisogna installare e configurare Airwatch Container, che è sostanzialmente un applicativo che garantisce la sicurezza della rete dati (da e verso le applicazioni della banca). Al di là di usi personali secondo gli interessi e le necessità di ciascuno (es. accesso a UniCa, al cedolino stipendio ecc.) il fatto che si POSSA (ma NON si debba) aprire la casella mail di lavoro sul tablet non comporta obbligo di reperibilità e/o di risposta fuori dall’orario di lavoro. Fra l’altro per numerosi ruoli professionali “caldi” da questo punto di vista è già previsto il cellulare di servizio, che riceve anche e-mail come molti di noi hanno tristemente presente. Anche qui, il fatto di disporre di un apparecchio mobile che riceve e trasmette fuori dall’orario di lavoro non comporta automatica disponibilità né obbligo a farlo.
People Survey
Altro regalo dell’autunno caldo. Il nuovo CEO ci tiene tantissimo e le figure di sintesi sono state già debitamente “intrattenute” (che brutte espressioni si trovano…) sul fatto che tutti, ma proprio tutti la debbano fare.
La People Survey è ciò che tecnicamente si definisce un’”indagine di clima” e rientra nell’ampio filone delle indagini di mercato che più o meno tutte le aziende fanno in modo più o meno molesto nei confronti dei loro clienti. In questo caso i “clienti” siamo noi, e se l’indagine è anonima quanto i questionari del TRIM Index siamo a cavallo…
L’utilità della Survey dipende come sempre dal punto di vista. Per la dirigenza è un modo per sostenere che i problemi dell’Azienda sono attentamente soppesati e valutati, per dimostrare che c’è democrazia interna e ognuno può dire la sua. E’ appena il caso di notare che, in base a un’esperienza ormai più che decennale, l’obbiettivo è la QUANTITA’ delle risposte che se elevata decreta automaticamente il successo dell’iniziativa, indipendentemente da cosa sia stato effettivamente risposto. Che da noi ci sia malessere e sfiducia lo si può verificare mettendo piede in un’Agenzia o Ufficio qualsiasi, non occorrono i soloni di qualche società di consulenza che predisponga un sondaggio. Ma facendo ricorso a complicati algoritmi si dimostra sempre in modo inequivocabile, a distanza di qualche mese dal trionfale annuncio che la Survey ha avuto successo, che i problemi sono piccoli, circoscritti e sono stati già portati all’attenzione delle funzioni competenti.
Dal nostro punto di vista questo sondaggio non ha nessuna rilevanza pratica: ciascuno può farlo o non farlo a suo piacere, evitando magari di scriverci cose non vere per paura di chissà quale rappresaglia (ma senza illudersi che “vuotare il secchio” possa davvero servire a qualcosa). Gli strumenti per farsi sentire sono altri e hanno diversa valenza giuridica. Per esempio, iniziative come esposti alle competenti autorità sul tema dello stress lavoro correlato, già presentati dal nostro sindacato in altre aziende bancarie, sembrano più utili per sensibilizzare i vertici aziendali sullo stato di disagio lavorativo.
Chiunque sia interessato a ricevere, via mail, il materiale prodotto dalla CUB-SALLCA, sia sul Gruppo Unicredit sia su tematiche di settore o di carattere generale,
può richiederlo inviando un messaggio su
precisando l’indirizzo (casa o lavoro) al quale desidera ricevere le nostre comunicazioni.
Le Cards vanno via. I colleghi andranno in SIA dopo essere transitati per la Newco ITALIA (che fantasia), il cui pacchetto azionario sarà poi ceduto SIA.
Ricordiamo che SIA è partecipata da numerosi soggetti, comprese Unicredit e Banca Intesa (2% cadauna), il più importante dei quali è FSIA con il 49.48%, società che è di proprietà per l’80% del Ministero del Tesoro, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, e per il 20% dalla Banca d’Italia (che a sua volta è detenuta da tutte le banche italiane).
Torniamo alla famigerata Newco ITALIA ed alla cessione del pacchetto azionario, operazione che, ci riferiscono i Quintuplici (mancano UGL e SINFUB), impedirebbe ai sindacati di utilizzare “quegli articoli di legge messi a tutela dei lavoratori”.
Evidentemente dall’ultima esternalizzazione è passato molto tempo e certi concetti sono stati dimenticati.
C’è da dire però che in precedenza, anche in presenza di “quegli articoli di legge messi a tutela dei lavoratori”, nonché di articoli del CCNL (art. 3 – attività appaltabili), i quintuplici non è che li abbiano utilizzati per impedire le esternalizzazioni.
Nemmeno davanti alle diffide delle colleghe e dei colleghi. Storiche furono le suppliche dell’A.D. Cederle alla redazione regionale del Friuli (30/3/2013) e dell’allora direttore generale Schiattarella (http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2013/03/31/news/ubis-i-pericoli-esistono-solo-senza-accordo-sindacale-1.6795579), che addirittura “vendeva i giocatori al Real Madrid e al Barcellona, mentre loro stavano nell’Udinese o al massimo nella Fiorentina”.
In questo caso perciò, dicono i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB), non si può usare l’art. 2112, perché c’è cessione del pacchetto azionario.
Mettiamo in chiaro due cose.
- i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) non denunciano, non combattono, non si ribellano al fatto che venga costituito ad hoc un contenitore (poco importa che sia una società, un servizio o una BL – come piace ai ns vertici) dove mettere delle persone già sapendo che verranno esternalizzate;
- i colleghi comunque finiranno nella Newco ITALIA con le previsioni del 2112 (che ricordiamo essere un articolo del Codice Civile) ed in questa fase si porteranno appresso, oltre a tutti i diritti acquisiti (anzianità, ferie, indennità, comporto e quant’altro), tutto quello che il sindacato ha “conquistato” in precedenza ed applicato alle altre cessioni di ramo d’azienda.
A partire dal famigerato art. 9 dell’accordo di costituzione di UBIS del 17/2/2012 (firmato in contemporanea ad uno sciopero indetto in splendida solitudine dalla FISAC/CGIL di UBIS di Roma con manifestazione in Piazza SS. Apostoli partecipata da circa 400 lavoratori.
Articolo 9 che, raccontano le fonti, fu ispirato proprio dal sindacato “per mettere l’Azienda al riparo da possibili, eventuali, futuri speculatori”, e che recita nella sua parte peggiore:
“Nel caso di cessione di UBIS ovvero di suoi rami d’azienda a soggetti esterni al Gruppo, ove le tensioni occupazionali dovessero emergere successivamente entro il limite massimo di sei anni dalla data dell’evento, UniCredit e le aziende trasferenti si renderanno disponibili a riallocare – ove possibile nell’ambito della provincia/area metropolitana, presso l’Azienda di origine ovvero presso altra azienda del Gruppo – il personale che dovesse risultare in eccesso a seguito di decisioni del Gruppo UniCredit (come a titolo di esempi non esaustivi, processi di insourcing di attività, trasferimento di attività già esternalizzate ad altro soggetto, cessazione del contratto di servizio per decisione del committente) ovvero di fallimento comunque connesso a tali eventi.”
Si dà il caso che recentemente DOBANK (ex UCCMB) degli americani Fortress e Prelios abbia inviato ad UBIS la disdetta dell’appalto (contratto di back-office), perché ritenuto non più conveniente, facendo decadere quelle che potevano essere le garanzie dell’art. 9.
Situazione del resto più volte rappresentata sempre in splendida solitudine da un gruppo di sindacalisti facinorosi e legulei (secondo la definizione di una autorevole ex segretaria nazionale della Fisac sanzionata dalla Commissione di Garanzia per violazione delle regole democratiche proprio in relazione ad un’esternalizzazione).
I Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) si sono scatenati in un crescendo di grassetti e caratteri urlati, di critiche e denunce sdegnate, di (pen)ultimatum di chiaro stampo oltranzista, di avvertimenti al popolo tutto (ma la categoria ed il gruppo non sembra abbiano raccolto queste grida di dolore e di chiamata alle armi) proclamando uno sciopero, addirittura, a livello nazionale.
Tutto bello se non fosse che lo sciopero in questione – peraltro con tentativo di conciliazione del 27 luglio, esito negativo datato 3 agosto, lo stesso giorno dell’informativa ai sindacati e della diffusione del comunicato stampa alla comunità finanziaria – non serve a niente se non a “certificare l’esistenza in vita” di alcuni sindacalisti. Lo dicono loro stessi “Avrete le leggi, gli articoli, le procedure, la libertà d’impresa …” BASTA, NOI NON CI STIAMO !!!”
I Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) parlano di “decine” di studi di fattibilità, quindi sapranno pure le aree di intervento, e allora perché non le rilevano al di là della millanteria?
E sempre i Quintuplici (ma immaginiamo d’accordo anche UGL e SINFUB) annunciano che “sarà la prima di una serie di iniziative …”. In attesa delle iniziative serie, le uniche che ricordiamo sono le svariate firme messe su accordi per le esternalizzazioni, per i demansionamenti, per i prepensionamenti (salvando gli amici sindacalisti che ricoprivano livelli apicali, qualcUNO evitando anche tre provvedimenti e uscendo con bonus tripli rispetto ai comuni mortali).
Ricordano un po’ quella combriccola di toscani – un bugiardo, un condannato con sei processi sulle spalle, una bella donna con il padre promosso per “meriti” – che ha rovinato migliaia di famiglie e che vuole riformare la Costituzione.
Affermare – numericamente parlando – che lo sciopero del 9 settembre è stato partecipato dal 60% dei colleghi delle Cards, ma dal 18% del resto di UBIS, con punte infime sulla piazza di Roma, potrebbe far pensare ad un successo. Il punto è un altro, è qualitativo.
I colleghi devono sapere che garanzie e tutele dei diritti non possono essere invocate (o rivendicate) da personaggi screditati che in occasione di precedenti operazioni di esternalizzazioni si sono dimostrati conniventi e subalterni e che sicuramente anche stavolta riproporranno il solito accordo fotocopia, con il toner vieppiù sbiadito, con il solo cambio dei nomi delle società e delle date.
Se si vuole avere ancora uno straccio di seguito e riconquistare una credibilità almeno parziale tra i Lavoratori, tra le proposte immediate ed indifferibili suggeriamo:
- di “liberarsi” innanzitutto di tutti quei pseudo rappresentanti dei lavoratori conniventi e subalterni che hanno lasciato mani libere all’azienda suicidando il sindacato.
- di disdire a livello nazionale l’accordo del 27/2/2001 che inseriva i bancari nei servizi pubblici essenziali.
- di creare una task force di sindacalisti che a livello nazionale verifichi, società per società, struttura per struttura, stanza per stanza, persona per persona tutti i consulenti presenti con relativo contratto, ruolo, livello, mansione, come si fece in Capitalia Informatica nel giugno 2005.
Chissà, allora, se stavolta lasceranno le penne a casa.
Tanto le penne, quelle vere, con le esternalizzazioni ce le lasciano i lavoratori.
A proposito di “macelleria sociale”.
Gli ultimi due messaggi che abbiamo diffuso parlavano di una collega aggredita da una cliente (che non era stata servita perchè era stato superato l’orario di chiusura delle casse) e dell’estenuante richiesta di report sui risultati che ora, nelle filiali Personal, ha fatto un salto di qualità con la richiesta di prevedere anche il futuro.
E’ poi uscito un volantino dei sindacati firmatari dell’Area Torino, relativo alle condizioni penose del servizio di cassa (a conferma delle continue denunce che abbiamo sempre fatto sull’argomento), che ci consente di riflettere sul legame che tiene insieme queste tre notizie.
I vertici aziendali, di fronte all’impossibilità di tenere il ritmo di risultati fuori dalla realtà, stanno imponendo un modello di servizio devastante, fatto di sollecitazioni insopportabili verso i gestori e di tagli continui al servizio di cassa. Tutto questo determina un degrado del servizio e l’esasperazione dei colleghi e dei clienti, con il ripetersi di scene di litigi con l’utenza, che possono degenerare in rischi per l’incolumità dei lavoratori. Si pensi che, nello zelo di aumentare l’uso dei CSA, la Direzione Regionale Campania si era inventata di tenere le casse totalmente chiuse fino a che le operazioni ai bancomat non avessero raggiunto il livello desiderato!
Nel volantino dei sindacati firmatari viene detto che “la Banca, nell’ambito della sua autonomia organizzativa, fornisce delle direttive (spostare l’attività della clientela dalle postazioni di cassa alle macchine) ma ricordiamo ai nostri Direttori di Area che non c’è una correlazione diretta tra ricevere una direttiva e spegnere immediatamente il cervello”. Noi aggiungiamo che l’autonomia organizzativa aziendale trova dei limiti nelle leggi, in particolare nel Dlgs 81/2008, che all’art. 28 comma 1 richiama “l’obbligo per il datore di lavoro di valutare preventivamente tutti i rischi, ivi compresi quelli collegati allo stress lavoro correlato, secondo i contenuti dell’accordo quadro Europeo dell’8 ottobre 2004″.
Chiudere le casse a prescindere dall’affluenza, chiedere in modo assillante report sulle vendite, stilare classifiche individuali per mettere sotto accusa chi ha numeri più bassi, convocare i lavoratori a colloqui in cui si chiede conto del mancato raggiungimento dei budget (che non significa automaticamente scarso impegno lavorativo) sono tutti comportamenti che violano la norma citata e che abbiamo denunciato e continueremo a denunciare alle autorità competenti.
Ma questo non basta: dopo l’estate dovremo discutere collettivamente, gestori e cassieri, colleghi dei centri imprese e delle sedi centrali e di ISGS, di come contrastare questo modello lavorativo che lede la dignità dei lavoratori.
Nel frattempo, ricordiamo a tutti/e che il modo migliore per resistere alle pressioni commerciali è ignorarle: abbiamo detto e lo ripetiamo che non raggiungere i budget o il numero di appuntamenti previsti dal “modello” non costituisce violazione disciplinare, mentre alcuni comportamenti di responsabili, a vari livelli, violano accordi e norme di legge.
Allo stesso modo, chi lavora in cassa deve operare con calma, tutelarsi pretendendo il rispetto delle normative e delle pause previste, chiudere l’operatività all’ora prevista. Soprattutto deve evitare di affrontare discussioni con l’utenza; nei momenti più critici va spiegato, nel caso, che siamo vittime come loro delle scelte dei vertici aziendali ed i clienti vanno invitati a chiedere ulteriori spiegazioni ai responsabili.
A questi ultimi ci permettiamo di consigliare, anche per evitare gli insulti dei clienti, di non applicare meccanicamente le disposizioni che arrivano dall’alto: lavoriamo insieme per avere un clima lavorativo decente.
Intesa Sanpaolo ha superato positivamente gli stress test, ma ai dipendenti chi lo fa il test sullo stress lavorativo?
Le recenti necessarie comunicazioni ufficiali che tutti gli iscritti dovrebbero aver ricevuto
(principalmente via mail) hanno annunciato la costituzione del “Fondo Pensione a contribuzione
definita del Gruppo Intesa Sanpaolo”.
Il nuovo fondo, figlio degli accordi aziendali sottoscritti nel 2015, nasce dalla fusione per
incorporazione del FAPA di Gruppo e del Fondo Spimi a cui si aggiungono, mediante il
trasferimento collettivo delle posizioni individuali, le sezioni a contribuzione definita del Fondo
Pensione del Banco di Napoli e di Banca Monte Parma.
Se finora il nuovo Consiglio di Amministrazione ha principalmente operato al fine di garantire la
continuità operativa con i fondi preesistenti, ora è necessario affrontare le prime importanti
questioni aperte che si originano in un processo di fusione, evento tutt’altro che comune
soprattutto quando sono presenti patrimoni rilevanti come in questo caso.
Un primo fondamentale passo di natura tecnico-amministrativa è il trasferimento dei dati relativi
agli iscritti provenienti dai diversi fondi costituendi. Proprio per consentire questo passaggio si
è reso necessario interrompere alcune normali attività normalmente svolte dal fornitore dei servizi
di amministrazione mentre altre potranno essere garantite anche durante la delicata fase di
passaggio:
- fino al 30 settembre è stata sospesa l’erogazione di anticipazioni e prestazioni; al fine di
garantire comunque le prestazioni nei casi di assoluta urgenza e di significativo importo per
spese relative a spese mediche straordinarie e per l’acquisto della prima casa, l’Azienda ha
concordato di attivare un’apertura di credito straordinaria a tasso zero (la valutazione
dell’urgenza è gestita dagli uffici delle Relazioni Sindacali);
- sempre fino a settembre non sarà possibile modificare la propria allocazione
patrimoniale (switch) e neppure effettuare variazioni sui comparti di destinazione dei flussi
contributivi; tra le novità del nuovo fondo ricordiamo che la contribuzione aziendale non è
più legata ad un obbligo di contribuzione minima da parte dell’iscritto (in assenza di
comunicazione da parte dell’iscritto, continuerà ad essere applicata l’aliquota a suo
tempo indicata);
- continuerà invece ad essere possibile aderire al Nuovo Fondo Pensione utilizzando la
modulistica disponibile sul sito;
- l’iscritto che ha conferito solo tacitamente il TFR potrà attivare il contributo aziendale
(per ora il 2,5%) semplicemente dichiarando la propria esplicita adesione utilizzando il
modulo di richiesta a disposizione sul sito.
Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, sono iniziati i primi incontri volti a definire il modello di
investimento ed i comparti che costituiranno l’offerta previdenziale a disposizione degli iscritti. In tal
senso riteniamo fondamentale che venga garantita ampia libertà di scelta all’iscritto sulla scelta
del comparto a cui aderire e che continuino ad essere previste linee di investimento a capitale
garantito ed etiche. Anche nei comparti finanziari occorre prevedere proposte a basso rischio e
bassa complessità in grado di limitare la volatilità dei mercati e minimizzare i rischi di perdite
in conto capitale.
L’obiettivo di arrivare ad attivare i nuovi comparti con l’inizio del 2017 è sicuramente auspicabile
ma sicuramente si tratta di un passaggio fondamentale che condizionerà il funzionamento dell’ente
previdenziale per molto tempo ed andrà quindi attentamente individuato con un processo che
potrebbe avere tempi anche incerti e non prevedibili.
Ovviamente vi terremo informati dell’evoluzione dei lavori che in autunno vedranno una decisa
accelerazione e ci auguriamo che vengano indette assemblee che favoriscano il coinvolgimento
dei colleghi dando ampia informativa di quanto avviene. Nonostante le Fonti Istitutive (i firmatutto
sempre e comunque) si arroghino il diritto di prendere qualunque decisione senza la minima
consultazione dei colleghi, i soldi sono i nostri, frutti del nostro sempre più stressante lavoro.
ASSEMBLEA DEI DELEGATI DEL FONDO SANITARIO INTEGRATIVO DI GRUPPO
Milano 23 giugno 2016
In allegato potete leggere la dichiarazione di voto che il nostro rappresentante all’Assemblea dei Delegati del Fondo Sanitario Integrativo di Gruppo (chiamata ad approvare il Bilancio 2015) è, più o meno, riuscito a fare.
Più o meno, perché il clima della riunione è stato tutt’altro che sereno, in primo luogo per una gestione da parte della Presidente Angela Rosso inutilmente brusca ed astiosa che non ha fatto altro che rinfocolare i motivi di polemica tra “attivi” e “quiescienti”.
Dopo le relazioni introduttive, la bagarre si è accesa sin dal primo intervento, quello del rappresentante dei Pensionati Francesco Vimercati che, certo, è stato un po’ lungo ma comunque corretto nei modi e interessante nei contenuti (condivisibili o meno).
Il collega è stato più volte interrotto ed apostrofato dalla Presidenza e, addirittura, sbeffeggiato nel successivo intervento-replica di Filippo Pinzone (First-Cisl), tra l’altro altrettanto ma più inutilmente lungo.
Dopo di che la Presidente ha richiamato tutti al rigido rispetto dell’ordine del giorno che prevedeva, negli auspici generali, una plebiscitaria alzata di mano ed un rapido deflusso dalla stanza.
Chi si era ancora segnato per parlare (ben due !!) ha avuto quindi difficoltà nel farlo soprattutto se provava correttamente ad interloquire sui temi che erano stati posti all’attenzione da chi era intervenuto in precedenza o dalle oltre cento lettere di protesta degli iscritti in quiescenza che sono state inviate agli amministratori del Fondo nei mesi scorsi.
Il nostro rappresentante, nella concitazione, ha oltre tutto commesso il grave errore di citare termini quali “lavoratori” e “sindacato” provocando mormorii di disapprovazione da parte di alcuni delegati di parte aziendale, subito rilanciati dal tavolo di presidenza.
Ricordiamo a questi signori che mentre loro sono dei “nominati” di parte aziendale il cui unico compito è alzare la mano a comando (comportamento che purtroppo coinvolge anche la maggior parte dei delegati di parte sindacale), noi siamo stati eletti dai lavoratori su liste che si caratterizzavano non con nomi di “animali da cortile” o “fiori esotici” ma con quelli delle organizzazioni sindacali di appartenenza.
Nel merito delle questioni, noi continuiamo a credere che nella gestione del FSI ci siano molte criticità strutturali ed operative. Ed è su queste, chiunque le ponga all’attenzione (siano essi i pensionati di oggi o quelli di domani…), che crediamo si debba discutere ottenendo risposte puntuali e valutando nel massimo della trasparenza le possibili soluzioni alternative.
Lo abbiamo detto nel Convegno sul Welfare di Gruppo che abbiamo organizzato a maggio e abbiamo tentato di ripeterlo con la dichiarazione di voto allegata che nuovamente invitiamo tutti a leggere.
Dopo di che, naturalmente, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate e se condividete le nostre posizioni. E questo riguarda sia chi ci ha votato sia quelli che non l’hanno fatto, abituati a credere che “tanto non cambia nulla”.
E, a questo proposito, ci permettiamo di chiedere agli iscritti alle altre sigle di andare a verificare (sui siti del loro sindacato o sulle caselle mail) che tipo di informativa hanno ricevuto sulla riunione del 23 giugno e se, alla luce del resoconto che ne abbiamo fatto, ritengono di poterne essere soddisfatti.
Eccoci a commentare il nuovo piano industriale 2017/2020 che di nuovo, a parte il nome, sembra abbia davvero ben poco.
Gli annunci sono roboanti, le prospettive del gruppo per il CEO Victor Massiah sono quelle da ‘’milleeunanotte’’, dispensate senza tentennamenti o incertezze.
Di seguito, una breve carrellata degli ambiziosi obiettivi degni di un braveheart del credito:
-utili a 870 milioni nel 2020 (7 volte quelli registrati a dicembre 2015).
-indice Rote oltre il 10%
-maggior copertura sui crediti fino al 60%.
-dividendi distribuiti fino al 40% dell’utile (payout)
-indici patrimoniali in costante miglioramento…e via cantando.
L’ottimismo e’ insomma alla stelle, ma come raggiungeremo questi traguardi in un contesto cosi’ negativo? Rimarra’ in mano ai soliti noti il famigerato cerino o questa volta cambiera’ davvero la musica?
Dispiace constatarlo ancora una volta, ma le ricette sono le stesse di sempre: tagli, chiusure e maggiore flessibilita’.
Vengono annunciati circa 2750 esuberi e solo questo dato dovrebbe irritarci non poco visto che, a causa della scarsita’ di organici, soprattutto nel periodo estivo, molte filiali faticano ad aprire!! A parziale compensazione vengono promesse 1100 nuove assunzioni in 3 anni.
Da sottolineare comunque il dato che il gruppo UBI al 2020 perdera’ circa 4500 dipendenti (24% della forza lavoro) rispetto al 2007 anno della sua nascita!!
Confermata la chiusura di altri 280 filiali, si passera’ quindi dagli iniziali 1922 ai 1250 sportelli (-35%).
I soliti gufi si lamentano perche’ manca personale e cassieri nei punti operativi? Eccoti la soluzione: si realizzeranno 350 filiali cashless (senza cassiere, anche se sarebbe piu’ corretto tradurre senza contanti).
Macchine vs. uomini, la sfida del futuro…si ipotizza saranno 4 su 10 le filiali interessate alla trasformazione.
Con abile mossa di marketing, per evitare che la clientela si senta lontana ‘’affettivamente’’ e non si riconosca in questo nuovo ‘’bancone’’, rimarranno tutte le vecchie insegne e marchi delle banche rete fuse nella holding.
Sara’ solo un illusione ottica mentre in realta’ verranno create 5 macro aree che rispecchieranno la presenza storica dei vecchi istituti nei territori di riferimento.
Avremo quindi per il Nord Ovest la BRE, per Milano la BPCI, per Bergamo la BPB, per Brescia il BBS e BVC e per il centro sud Carime e BPA.
Come gia’ successo in passato questi piani industriali cosi ambiziosi si sono dimostrati dei gran bei castelli di sabbia, pronti a crollare alla prima ondata imprevista, piani a cui non crede piu’ nessuno e forse nemmeno chi li redige.
Lo scenario attuale e le previsioni degli stessi esperti (o almeno così ce li presentano) ci dicono che potremmo vivere ancora per lungo tempo questa fase di tassi ai minimi storici e cio’ non permettera’ agli istituti di credito grossi margini di guadagno in quella che dovrebbe essere la principale fonte di redditivita’ della banca e cioe’ quella della intermediazione bancaria.
Si spingera’ quindi ancora di piu’ sulla vendita di prodotti maggiormente remunerativi, non sempre nell’interesse del cliente, accompagnati da sempre maggiori pressioni commerciali.
Siamo seriamente preoccupati quando lo stesso amministratore delegato asserisce che nei nostri confronti ‘’sara’ indispensabile un aumento di flessibilita’ e un rafforzamento della quota di retribuzione variabile’’.
Per noi la strada da seguire e’ un’altra, la banca deve tornare ad essere vicina ai reali bisogni dei clienti e non continuare col consueto modello commerciale aggressivo che tanti danni ha prodotto anche nel recente passato.
Il salario deve essere contrattato perche’ quello variabile si accompagna a politiche di vendita poco etiche, in cui il cliente fa la parte di un limone da spremere e riduce i colleghi a ruolo di meri piazzisti, con sempre meno professionalita’ e sempre maggiore spregiudicatezza.
Forse sarebbe meglio crescere un po’ meno, ma su basi più solide e utili per tutti.
Con gli accordi di secondo livello dell’ottobre scorso è stata varata anche l’unificazione di VAP e premio incentivante, creando il Premio Variabile di Risultato (PVR). La prima applicazione concreta, relativa al 2015, si é tradotta a maggio 2016 in una delusione generale: i lavoratori hanno misurato con mano la miseria delle cifre erogate, l’azienda ha lamentato l’appiattimento egualitario del meccanismo concordato. E questo in un anno in cui il bilancio é andato splendidamente, macinando record irripetibili.
Neanche i pochi che hanno avuto l’eccellenza hanno tratto soddisfazione, mentre l’agognata trasparenza (a parole uno degli obiettivi dell’accordo) é stata seppellita da 36 slides incomprensibili che l’azienda ha fornito in ritardo per illustrare i criteri utilizzati: “geroglifici” sono stati definiti dagli stessi sindacati firmatari. E di difficile comprensione devono essere stati anche per chi ha costruito il meccanismo, visto che la stessa azienda si è trovata di fronte a risultati inattesi e spesso paradossali.
L’accordo del 20 maggio 2016, firmato senza clamori, replica il copione già visto per il 2015 e introduce ulteriori peggioramenti. Le parti di premio Base e Aggiuntivo diminuiscono per tutti, spesso in modo molto consistente, tranne che per i Direttori di Area (+56%).
Il percorso per conseguire tali premi si complica ancora di più, finendo per assomigliare ad un perverso gioco dell’oca, in cui succede di tornare al punto di partenza per fattori legati al puro caso. Ma la cosa più grave é l’allargarsi degli elementi di divisione fra i lavoratori. L’accordo infatti amplia la platea di società del Gruppo cui verranno applicati sistemi di premio in gran parte diversi da quello contrattato il 20 maggio, specifici per quelle realtà e di cui ben poco si conosce. In una situazione che vede il continuo indebolimento del contenuto economico del Contratto Nazionale (recentemente il segretario di una delle organizzazioni firmatarie ha ammesso pubblicamente che l’ultimo accordo nazionale é avvenuto a somma zero) il salario aziendale, che dovrebbe compensarne gli effetti, si rivela avaro e assai poco trasparente.
Le prospettive di unire in futuro i lavoratori per rivendicare retribuzioni più eque diventano sempre più incerte, alla luce anche degli sviluppi sugli inquadramenti e le relative indennità, se possibile ancora più oscure e incontrollabili persino per i firmatari degli accordi.
Per permettere la piena consapevolezza di quanto succede alleghiamo una scheda dettagliata del nuovo accordo.