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BANCHE IN CRISI: UN MODELLO DA SUPERARE?

atlanteNel novembre scorso il salvataggio delle quattro banche  fallite e “risolte” dal governo ha innescato un ciclone di proporzioni gigantesche. La prima applicazione del “bail-in” ha prodotto un panico vero tra i risparmiatori e avviato una crisi sistemica altamente pericolosa.

Molte questioni sono ancora aperte, le nuove banche cercano compratori, altre banche sono a rischio fallimento o affrontano situazioni critiche. Il difficile aumento di capitale delle due banche venete ha spinto il governo alla rapida creazione del Fondo Atlante, con dotazione prevista di 6 miliardi, da parte di Intesa, Unicredit, CDP, Fondazioni e via via le altre banche minori. BPVI ha già assorbito 1,5 miliardi (l’aumento è stato un disastro, Atlante ha dovuto comprare tutto e la quotazione non è riuscita). Con Veneto Banca si rischia di replicare. Il resto delle risorse andrà a fare da paracadute ad altri casi aziendali problematici.

E’ ora di fare un bilancio critico di 25 anni di privatizzazioni del sistema bancario. Il disastro è sotto gli occhi di tutti. La ritirata del settore pubblico, la mancanza di investimenti privati, la ritrosia delle banche nel fare credito per concentrarsi su attività più remunerative, hanno prodotto una contrazione dell’economia e dei tassi di crescita. La crisi scoppiata nel 2008 ha dato il colpo di grazia e dopo la caduta non si vede ripresa all’orizzonte. Le banche italiane sono gravate da sofferenze nette molto pesanti (peraltro imputabili spesso al credito di “relazione”), quindi sono aggredibili e scalabili: quelle quotate e quelle in procinto di esserlo sono un obiettivo esplicito di interessi forti che puntano ad impossessarsene a poco prezzo dopo averle fatte a pezzi. Si impone una riflessione sul ruolo del credito e sul rischio di vedere il nostro sistema depredato, tramite scalate ostili, di una delle ultime risorse appetibili: il risparmio degli italiani. Anche come lavoratori bancari, quanto sta accadendo non ci può lasciare indifferenti.

In due situazioni complicate, dove siamo presenti con il nostro sindacato, MPS e Carige, abbiamo proposto la soluzione della nazionalizzazione. Il perdurare della crisi rende questo scenario (non solo per le due banche citate) sempre più probabile, per cui il vero problema non è se nazionalizzare, ma come farlo.

Nazionalizzare una banca non è più tabù neppure nel regno del pensiero liberista, persino USA e Gran Bretagna sono ricorsi in passato a queste misure per salvare importanti istituti di credito. Il problema è che questi interventi si sono tradotti nella classica pubblicizzazione delle perdite, con peso tutto a carico del bilancio dello stato e con le banche che hanno continuato imperterrite con le loro pratiche speculative: passata la bufera, sono ritornati anche i bonus stellari dei manager, i veicoli fuori bilancio e i comportamenti illegali nella manipolazione dei mercati (di cui le multe patteggiate sono prova concreta).

Quando suggeriamo (non più soli) la nazionalizzazione delle banche in crisi, non intendiamo certamente riproporre questi esempi. Un’operazione del genere deve essere l’occasione per introdurre un diverso modello di banca, tema  rimosso troppo velocemente dal rinnovo del CCNL 2015: non un ritorno al passato, ma l’apertura verso un futuro dove il credito abbia un ruolo strategico.

Occorrono  aziende di credito sganciate dal modello dominante, banche che facciano le banche, che tornino ad essere strumento di tutela dei risparmi dei cittadini e di impulso alle piccole e medie imprese, con un forte radicamento nel territorio, conoscenza del tessuto produttivo e corretta gestione del credito. Rompiamo con le pratiche clientelari e la collusione con i poteri locali che abbiamo visto negli ultimi anni: il nuovo modo di fare banca può e deve diventare alternativa concreta e  concorrenziale ai banchieri attuali.

Questo richiede gruppi dirigenti responsabili e lungimiranti, non manager provenienti da società di consulenza con il sistema delle “porte girevoli”; devono conoscere davvero il lavoro del settore, saper valorizzare le professionalità e le capacità interne, non puntare forsennatamente ad utili trimestrali strabilianti e insostenibili.

L’obiettivo è la crescita di lungo periodo di tutto il sistema socio-economico circostante, l’opposto della politica predatoria fondata sulle pressioni commerciali,  diventate ormai una drammatica costante, che impoveriscono la società.

Il circolo vizioso innescato dai tassi sottozero della BCE dimostra che l’uso della sola leva monetaria, in assenza di politiche di sviluppo della domanda, droga il mercato, favorisce il capitale finanziario e speculativo, non produce investimenti e mette a rischio i risparmi dei cittadini comuni: la maggior parte delle banche oggi non è in grado di proporre investimenti tranquilli, ancorché poco redditizi, ma spinge prodotti dall’esito incerto per i clienti e ricchi di commissioni per i collocatori.

I manager bancari non hanno interesse ad uscire da questo meccanismo, da cui estraggono corposi incentivi economici. Per cambiare serve un intervento, sia dall’alto che dal basso, che cambi un modello di banca dannoso per tutta la collettività e per il paese, oltre che per i lavoratori bancari, ridotti al rango di venditori sempre più stressati.

L’intervento pubblico per stendere una rete di protezione che tuteli le banche investite dal “bail-in” deve essere l’occasione per riaprire un dibattito franco su questo tema, senza le ipocrisie e le contraddizioni che vediamo nel rapporto tra governo e istituzioni comunitarie. Lo stato deve poter garantire il risparmio e la stabilità, quindi la normativa sul “bail-in” va rivista.

Le banche devono tornare a fare credito, le pressioni commerciali devono cessare e le rivendicazioni contrattuali devono sganciare lo stipendio dai risultati. I sistemi incentivanti vanno aboliti, non contrattati. Il credito è un’attività troppo delicata per lasciarla in mano ai privati.

Il suo esercizio va orientato per programmare, progettare, finanziare innovazione tecnologica e sviluppo sociale, crescita dell’economia e miglioramento del benessere collettivo. A cominciare dalla sicurezza dei risparmiatori e dal clima aziendale che vivono i lavoratori. Se puntiamo a questi obiettivi, anche il periodo turbolento che stiamo attraversando potrà acquistare un senso, in una direzione ben determinata.

CARIPARMA: TORNIAMO A PARLARE DI STRESS LAVORO-CORRELATO


 

cariparma10Da un comunicato dei sindacati firmatari del 5 aprile, apprendiamo della volontà dell’azienda di  procedere all’avvio “della fase di “valutazione approfondita” nell’ambito del processo di valutazione del rischio stress lavoro correlato previsto dal D.lgs 81/2008 – Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.

Si può dedurre da questo impegno che, evidentemente, finora, la valutazione approfondita non lo fosse e che la nostra iniziativa di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Torino sull’argomento fosse fondata.

Il  D.lgs 81/2008 è chiaro ed in tema di stress lavoro-correlato impone alle aziende di ridurlo il più possibile.

Cariparma, invece (seppure in buona compagnia), sembra impegnarsi in direzione opposta.

Particolarmente drammatica ed oramai cronica è la carenza di organici. Da qui discendono tutti i problemi perchè lavorare con la coperta permanentemente corta è inevitabilmente fonte di stress.

Su questa base, già fragile, l’introduzione di Agenzia per Te ha completato l’opera.

Gli stessi volantini dei sindacati firmatari confermano che le filiali ristrutturate secondo il nuovo modello sono un campionario di violazioni del  D.lgs 81/2008, dal microclima all’ergonomia, dall’illuminazione ai problemi con i pc portatili.

Un particolare accanimento viene mostrato verso il cassiere superstite visto che, quasi sempre, la postazione dell’accoglienza e quella della cassa “light” sono negli angoli opposti della filiale. Così il cassiere deve correre avanti e indietro per tutta la filiale; d’accordo che un po’ di movimento fa bene, però….

Se quindi l’azienda volesse seriamente affrontare il tema dello stress lavoro-correlato, le prime  cose che dovrebbe fare sarebbero assumere altri dipendenti, ridurre le pressioni commerciali e rivedere il progetto di Agenzia per Te.

Dubitiamo che lo farà, per cui ci prepariamo per nuovi esposti.

 

TRA I DUE LITIGANTI (BRESCIA e BERGAMO) IL TERZO GODE (FONDI)

ubi-bresciani-per-storia-e-per-tradizioneEcco l’inevitabile effetto della trasformazione delle popolari in spa voluta dal governo con un decreto varato in fretta e furia e prontamente recepito da UBI Banca: siamo nelle  mani dei fondi comuni.

Certo che, se Bergamo e Brescia avessero messo da parte antichi rancori e avessero unito le forze (al di là della lista comune presentata in assemblea),  probabilmente la lista di Assogestioni non avrebbe raccolto il 51% dei consensi, ma ormai è tardi per piangere sul latte versato, anche se qualcuno a Bergamo sta gia’ pensando di rafforzare il patto dei soci per cercare di pesare di più e arrivare almeno al 5% (oggi vale il 3%).

Che la cosa debba preoccuparci o meno rispetto alla gestione precedente, quando sulle ‘’cadreghe’’ della stanza dei bottoni sedevano le ricche famiglie di Bergamo e Brescia, lo vedremo a breve, visto che a giugno sarà pronto il nuovo piano industriale e per fine anno è prevista la nascita della banca unica che farà definitivamente sparire ogni campanile che, da sempre, ha rappresentato valori, tradizioni ma soprattutto poteri locali che dal 02/04/2016, data dell’assemblea per il rinnovo del CDS, sono stati soverchiati dai vari Blackrock e Silchester di turno che, da soli, ora detengono il 10% del capitale azionario.

La presenza ingombrante dei fondi comuni nel capitale non sarà comunque ribaltata automaticamente nel nuovo  CDS, in quanto solo 3 dei 15 consiglieri ne sono espressione diretta.

I vertici di UBI sono stati confermati, Moltrasio rimane il presidente e serafico afferma:  ‘’una quasi sconfitta che fa piacere’’ e che dimostra  la bontà della gestione precedente. Il fondo rimane sullo sfondo…ma la presenza e’ inquietante.

Ma cosa cambierà per noi lavoratori di questa azienda in questo nuovo contesto ?

Quali nuove strategie per vincere la sfida del mercato  verranno ora attuate? Che influenza avranno ora questi fondi sulle decisioni di governance visto che ora i ‘’padroni’’ del capitale non sono più i nostri  ricchissimi compaesani, ma qualche inafferrabile ed evanescente realtà rappresentata da circa 750 fondi?

Da tempo l’economia capitalista ha visto cambiare gli assetti proprietari, sempre più è gestita e controllata dal potere finanziario, che si esprime con nomi altisonanti come fondi sovrani, hedge funds, fondi comuni, sicav, ecc.. Questi organismi, spesso opachi nella loro attività, detengono  grandissimi pacchetti azionari, sono presenti nelle più grandi aziende multinazionali del mondo e possono decidere le sorti di una società o dell’economia di uno stato semplicemente spostando i loro asset con un semplice click. Basti pensare che solo Blackrock è presente in vari settori per circa 4500 mld di dollari (il doppio del nostro debito pubblico).

Difficilmente costoro presteranno particolare attenzione per il territorio specifico cui appartenevano le banche o al benessere del personale (ammesso che prima lo si facesse) come ai tempi di Ubi ‘’popolare’’, se non sarà più che conveniente dal punto di vista economico, ma del resto questo è il mercato bellezza.

Insomma, dal modello paternalistico/clientelare rischiamo di passare direttamente al modello più spregiudicato di stampo anglosassone. Non pensiamo che per superare un modello sbagliato si debba passare ad uno ancora peggiore.

Questa vicenda deve indurre a riflettere su qual’è il modello di banca più utile per i cittadini e per il paese e la riflessione deve partire dall’alto, ma coinvolge anche noi lavoratori quando, in veste di  “consulenti’’, proponiamo determinati prodotti.

I nodi irrisolti del sistema bancario italiano stanno venendo al pettine e le nostre idee su modello di banca e ruolo dei bancari sono sicuramente ben diverse da quelle di questi banchieri, ma anche da quello che hanno in testa i sindacati firmatari” che vorrebbero trasformarci tutti in una sorta di tuttologi, da commercialisti a fiscalisti a immobiliaristi e magari, un domani, perché no, anche agenti matrimoniali,,… vista la crisi di promesse nuziali  di questi ultimi anni.

INSIEME CONTRO IL BARATRO N. 7

Continuano a pervenire i contributi dei colleghi/e.
In questo numero ospitiamo un esilarante contributo dall’Emilia Romagna ed un documento dalla Lombardia, che tocca vari argomenti di attualità, dalle ferie, agli orari, alle pressioni commerciali.
Non tutto quello che pubblichiamo coincide al 100% con quello che pensa il nostro sindacato, ma d’altronde questo spazio è volutamente aperto alle denunce ed alle proposte dei lavoratori e delle lavoratrici.
Quello che compare in questa rubrica sono comunque le riflessioni di lavoratori veri e che affrontano tutti i giorni la realtà lavorativa vera e non quella virtuale del mondo fantastico di Insieme per la crescita e altre amenità simili.
Si parla con un pò di ironia dei Tarm e, in modo molto serio, di forzature sulle ferie, di pressioni commerciali che proseguono imperterrite, dei disagi degli orari estesi.
Leggete e continuate a farci avere i vostri contributi.

GRUPPO CARIGE, DOVE VAI?

BANCA CARIGELa recente lettera della BCE, che richiede a Carige un nuovo piano industriale ed una nuova svalutazione dei crediti, impone una riflessione che vada oltre i limiti solitamente imposti dal pensiero dominante.

Le cause della crisi del gruppo sono abbastanza note: una gestione a dir poco incauta (se ci saranno poi risvolti penali lo stabilirà la magistratura) del gruppo dirigente raccolto attorno a Berneschi, fondata sul sottobosco di poteri forti locali e con l’aggiunta del disastroso tentativo di allargare il raggio d’azione della banca con acquisti di sportelli, poco prima della crisi finanziaria del 2008, a prezzi esorbitanti.

A seguito delle indicazioni della BCE ufficializzate a inizio marzo, la Banca ha dovuto svalutare integralmente l’avviamento residuo, pari a circa 57 milioni di euro. Questo ha comportato la rilevazione di una perdita netta per l’esercizio 2015 pari 101,7 milioni di euro anziché di 44,6 milioni (comunicati al mercato in data 11 febbraio 2015).

Dopo il cambio del gruppo dirigente (o almeno con l’avvicendamento sul ponte di comando, con l’allontanamento di Berneschi e l’ingresso come socio “forte” dell’imprenditore Malacalza) si è continuato a navigare a vista, con un contesto nazionale ed internazionale che non ha certamente favorito i tentativi di rimettersi in carreggiata.

Le difficoltà di Carige, come quelle di altre banche oggi al centro delle cronache, richiedono una svolta radicale nella gestione del sistema bancario.

Dubitiamo che questa potrà venire dal nuovo Consiglio di Amministrazione che, probabilmente, sarà nominato il 31 marzo 2016 e, immaginiamo, imporrà ricette conosciute come esternalizzazioni, ulteriori tagli del costo del lavoro, aumento delle pressioni commerciali, riduzione dei giorni e/o delle ore lavorate. Teniamo conto che il Gruppo ha appena utilizzato il Fondo Esuberi e che è stata aperta la strada a contrattazioni individuali finalizzate a nuove uscite anticipate. E’ necessario opporsi al continuo peggioramento delle condizioni normative, va respinta la logica del meno peggio che, arretramento dopo arretramento, rischia di far arrivare anche ai licenziamenti.

Come abbiamo argomentato anche per il caso Monte Paschi, per dare davvero una svolta, è necessario procedere alla nazionalizzazione delle banche più in difficoltà. Quello che proponiamo, però, non è la consueta pubblicizzazione delle perdite, cioè il mettere a carico della collettività i costi delle malefatte dei banchieri privati. La nazionalizzazione, nella nostra visione, deve essere accompagnata da un nuovo modello di banca, tema che era al centro del rinnovo contrattuale di settore e che è stato eluso nella conclusione delle trattative.

Serve una banca che torni a fare la banca, che sia strumento di tutela dei risparmi dei cittadini e di impulso all’economia locale e alle piccole e medie imprese del territorio. Quando diciamo questo non intendiamo certo il ritorno alle pratiche della vecchia gestione, a quella commistione di interessi tra potere politico e potere economico ligure che tanti danni ha prodotto alla banca. Fare banca significa avere un gruppo dirigente di manager non provenienti da società di consulenza, che conoscano davvero il lavoro del settore, che sappiano valorizzare le professionalità e le capacità interne.

Il nuovo modello di banca richiede anche un nuovo modello di sindacato: quello che ha chiuso gli occhi sulle malefatte dei vertici, sperando che alla fine qualche briciola potesse arrivare comunque ai lavoratori, ha fatto il suo tempo. Un sindacato critico e conflittuale, che sappia contrastare le politiche dei vertici aziendali quando sono sbagliate e contrarie agli interessi dei lavoratori, non può che fare bene, oltre ai lavoratori, alla banca stessa.

Naturalmente una proposta come quella che avanziamo non è facile da realizzare. Però è una parola d’ordine su cui si può tentare di mobilitare i lavoratori ed anche la clientela, sensibilizzare l’opinione pubblica, smuovere una dirigenza politica troppo attenta a garantire l’impunità dell’alta dirigenza bancaria che gli interessi collettivi.

Anche la banca può diventare un “bene comune”.

Trivelle: Referendum del 17 Aprile

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Il 17 aprile si vota per il referendum abrogativo che punta a fermare (anche prima dell’esaurimento del giacimento) gli impianti di trivellazioni petrolifere collocati entro 12 miglia marine dalle coste italiane.

L’iniziativa è promossa dai Comitati NoTriv e da nove regioni ed è sostenuta da un ampio arco di forze politiche e sindacali.

Anche la CUB-SALLCA ritiene importante il successo del SI al referendum e si impegnerà a diffonderne le ragioni tra le lavoratrici ed i lavoratori del settore.

In primo luogo, alleghiamo un vademecum esplicativo sul quesito referendario che invitiamo tutte/i a leggere con attenzione e diffondere quanto più possibile.

Altro materiale lo potete trovare sul sito:

http://www.notriv.com/ 

o alla pagina 

https://www.facebook.com/Coordinamento-Nazionale-No-Triv-1428315400765373/

Naturalmente sono attivi o stanno sorgendo in questi giorni anche molti comitati locali attraverso i quali si può ottenere materiale aggiuntivo e/o conoscere le iniziative a livello territoriale.